martedì 27 maggio 2008

Le tante favole sul nucleare

Le tante favole sul nucleare

Il Manifesto del 27 maggio 2008, pag. 13

di Massimo Serafini

Ribellarsi alla sciagurata decisione di riaprire l’avventura nucleare è giusto, necessario, possibile e mi auguro divertente. «Nucleare no grazie» perché non aiuta questo paese a ridurre i gas serra e a cogliere le opportunità che farlo produce, ma lo condanna solo al declino, lo espone a pericoli, a proibitivi costi dell’energia, a un’opprimente centralizzazione di ogni decisione. Non sarà facile ribellarsi, visto che una centrale elettrica, ma anche una discarica, sono state equiparate a siti militari «invalicabili» e per chi protesta le botte di Napoli saranno la regola. Ma se si vuol bene a questo paese bisogna, come vent’anni fa, ribadire quel «no grazie» che pronunciammo allora: rimane una tecnologia intrinsecamente insicura che non si sa come dismettere, né come smaltirne le scorie.



Ribellarsi anche alla falsa informazione di gran parte dei giornali che da mesi imbottiscono di balle l’opinione pubblica, come quando scrivono di quarta generazione dei reattori, omettendo che per ora si tratta solo di una ricerca che forse fra dieci, quindici anni darà qualche frutto.



Ribellarsi perché i costi di questa scelta saranno scaricati sulla collettività e non su qualche imprenditore disposto a rischiare. Chi pagherà, ministro Scajola, l’annunciato primo mattone e quelli successivi, la cui posa lei ha promesso, entro la legislatura, a una platea di imprenditori che festeggiavano la loro presidentessa, Emma Marcegaglia, nota nuclearista nonché convinta che Kyoto consista solo in «lacci e lacciuoli»?



Ministro, faccia il nome e il cognome di un imprenditore interessato a rischiare i suoi soldi in questa avventura. Sapendolo gli potremmo chiedere a quanto, per guadagnarci, dovrà vendere alla rete elettrica il kwh, dopo avere investito per costruire la centrale, ricostruire la filiera, la gestione e il riprocessamento dell’uranio e del plutonio, le necessarie strutture di verifica e controllo, lo smantellamento delle centrali a fine vita, l’immagazzinamento delle scorie per migliaia di anni e l’impegno militare per proteggere le centrale da attacchi terroristici? Altro che elettricità meno cara. Faccia dunque un nome ministro o se le cose stanno come per le cordate dell’Alitalia ci lasci chiedere ai «soliti noti» di ribellarsi.



Mi rivolgo al ministro ombra dell’ambiente per sollecitarlo a convincere il suo governo a fare una determinata opposizione a questa scelta. Non le chiedo solo di dire no, ma di avanzare proposte alternative. Ad esempio potrebbe convocare architetti, ingegneri, muratori, pianificatori, e insieme a loro definire un progetto per eliminare, dalle 200 milioni di tonnellate equivalenti petrolio che consumiamo ogni anno, una parte di quel 50% di sprechi. Ad esempio quelli per riscaldare, rinfrescare e illuminare il nostro patrimonio abitativo. Oppure presenti un piano alternativo che produca, fra un anno e non fra dieci, gli stessi 10000 mw delle centrali previste, sfruttando il vento, il sole, i salti dei fiumi, i residui dei boschi e dei campi. E ancora proponga come prima grande opera le infrastrutture necessarie a trasferire in cinque anni il 10% delle merci da gomma a cabotaggio e ferro. Molti «ribelli» si metteranno in marcia per il clima e un’altra energia il sette giugno a Milano. Lo faranno dicendo no a nucleare e carbone e sì a un modello dì democrazia energetica fatto di fonti rinnovabili diffuse nel territorio, di gas perla transizione e di efficienza, ma anche di stili di vita più rispettosi del fatto che l’energia servirà presto a sette otto miliardi di persone.

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