Corsa all’atomo, potrebbe mancare il combustibile
Il Sole 24 Ore del 26 maggio 2008, pag. 12
di Giorgio S. Frankel
Dopo un’eclissi durata decenni, per il nucleare sembra vicina una spettacolare rentrée sulla scena energetica globale, nel Nord ricco del mondo (dall’Italia alla Gran Bretagna) come nel Sud in via di sviluppo. Ma la futura domanda di nuove centrali elettronucleari e del relativo combustibile potrebbe risultare insostenibile per la lunga "atrofia" del settore. Solo negli Usa si prevede che nel 2007-2009 le società elettriche chiederanno le autorizzazioni per oltre 3o nuovi reattori. Anche la Cina per i prossimi 15 anni progetta 29 reattori (e durante la sua recente visita a Pechino il neo presidente russo Dimitri Medvedev ha annunciato la vendita di un quarto impianto di arricchimento di uranio da oltre 1,5 miliardi di dollari), la Russia 15 e qualcosa si muove pure in Europa.
Fa inoltre scalpore un articolo del Washington Post, secondo cui più di 40 Pvs vogliono centrali atomiche. Tra essi, quasi tutti i Paesi arabi e la Turchia e già questo fa parlare di una possibile "corsa all’atomo" mediorientale in risposta al programma iraniano. Ma in questo allarme c’è, forse, molta propaganda anti-iraniana e antiaraba. In più, si temono altri rischi futuri di "proliferazione", perché alcuni Paesi ricchi di uranio vogliono disporre d’impianti di arricchimento e ritrattamento del combustibile per poi operare su scala commerciale in un settore finora dominato da Usa, Russia e da due consorzi europei, Urenco e Eurodif (controllato da Areva).
Verso il 2020, poi, i cinesi potrebbero esportare centrali in competizione coi costruttori americani (General Electric e Westinghouse, controllata però dalla nipponica Toshiba), europei (Areva, Siemens) e russi (ad esempio Atomstroiexport). Lo stesso potrebbero fare India e Giappone, due Paesi con tecnologia atomica assai avanzata.
Il possibile boom del nucleare civile viene proposto come l’unica risposta (forse) oggi possibile al grave dilemma energetica. Da un lato, il crescente fabbisogno globale, per cui la domanda di energia potrebbe salire del 50% da qui al 2030. Dall’altro, la crescente incertezza sulle future disponibilità fisiche di combustibili fossili (petrolio, gas e carbone) e comunque l’accresciuta necessità di limitarne l’uso per l’effetto serra. L’elettricità di origine nucleare è economicamente competitiva rispetto a quella delle centrali a combustibili fossili e assai più "pulita". La tecnologia è in continuo sviluppo e i "nuclearisti" dicono che le nuove centrali sono sicure.
Oggi sono in attività 439 reattori commerciali in 30 Paesi, che generano il 16% dell’elettricità mondiale. In Europa l’elettricità nucleare è il 30% del totale (80% in Francia) e il 20% negli Usa. Il nucleare è ancora concentrato in pochi Paesi: Usa (104 reattori), Francia (58) e Giappone (55) insieme hanno oltre metà dei reattori commerciali mondiali. Però, dei 36 nuovi reattori oggi in costruzione, la metà è in Asia. E il possibile nuovo round di ordini da parte di 4o e più Pvs contribuirà a mutare la geografia del nucleare nel mondo.
Ma forse a mutare fortemente potrebbe essere l’intero paradigma nucleare. Il previsto boom della domanda globale di centrali, se non è una "bolla", riflette l’ansia di molti Paesi per la propria sicurezza energetica, oggi un fattore-chiave della sicurezza nazionale.
Egualmente, chi investe molto nel nucleare non può poi rischiare di dipendere da pochi fornitori di uranio arricchito e quindi cercherà, se possibile, di gestire un proprio ciclo del combustibile. E i Paesi produttori di uranio avranno un legittimo interesse commerciale a entrare nel comparto dell’arricchimento e del ritrattamento, come stanno facendo (o vogliono fare) Canada, Australia, Argentina, Brasile, Namibia e Sudafrica. Per altri Paesi, lo sviluppo diun’industria nucleare nazionale sarà cruciale per il loro status economico, tecnologico e politico a livello globale.
Il boom del nucleare è però ancora problematico. La crescita della domanda di elettricità e la necessità di sostituire le centrali obsolete costringerà il settore a enormi sforzi solo per mantenere l’attuale quota dell’energia totale, mentre le esigenze ambientali e di sicurezza richiedono un aumento di tale quota. Ma le centrali hanno costi enormi e tempi dì realizzazione assai lunghi, la capacità mondiale di produrre componenti è limitata e c’è carenza di materiali e personale tecnico. Inoltre, resta aperto il problema delle scorie radioattive.
Il Sole 24 Ore del 26 maggio 2008, pag. 12
di Giorgio S. Frankel
Dopo un’eclissi durata decenni, per il nucleare sembra vicina una spettacolare rentrée sulla scena energetica globale, nel Nord ricco del mondo (dall’Italia alla Gran Bretagna) come nel Sud in via di sviluppo. Ma la futura domanda di nuove centrali elettronucleari e del relativo combustibile potrebbe risultare insostenibile per la lunga "atrofia" del settore. Solo negli Usa si prevede che nel 2007-2009 le società elettriche chiederanno le autorizzazioni per oltre 3o nuovi reattori. Anche la Cina per i prossimi 15 anni progetta 29 reattori (e durante la sua recente visita a Pechino il neo presidente russo Dimitri Medvedev ha annunciato la vendita di un quarto impianto di arricchimento di uranio da oltre 1,5 miliardi di dollari), la Russia 15 e qualcosa si muove pure in Europa.
Fa inoltre scalpore un articolo del Washington Post, secondo cui più di 40 Pvs vogliono centrali atomiche. Tra essi, quasi tutti i Paesi arabi e la Turchia e già questo fa parlare di una possibile "corsa all’atomo" mediorientale in risposta al programma iraniano. Ma in questo allarme c’è, forse, molta propaganda anti-iraniana e antiaraba. In più, si temono altri rischi futuri di "proliferazione", perché alcuni Paesi ricchi di uranio vogliono disporre d’impianti di arricchimento e ritrattamento del combustibile per poi operare su scala commerciale in un settore finora dominato da Usa, Russia e da due consorzi europei, Urenco e Eurodif (controllato da Areva).
Verso il 2020, poi, i cinesi potrebbero esportare centrali in competizione coi costruttori americani (General Electric e Westinghouse, controllata però dalla nipponica Toshiba), europei (Areva, Siemens) e russi (ad esempio Atomstroiexport). Lo stesso potrebbero fare India e Giappone, due Paesi con tecnologia atomica assai avanzata.
Il possibile boom del nucleare civile viene proposto come l’unica risposta (forse) oggi possibile al grave dilemma energetica. Da un lato, il crescente fabbisogno globale, per cui la domanda di energia potrebbe salire del 50% da qui al 2030. Dall’altro, la crescente incertezza sulle future disponibilità fisiche di combustibili fossili (petrolio, gas e carbone) e comunque l’accresciuta necessità di limitarne l’uso per l’effetto serra. L’elettricità di origine nucleare è economicamente competitiva rispetto a quella delle centrali a combustibili fossili e assai più "pulita". La tecnologia è in continuo sviluppo e i "nuclearisti" dicono che le nuove centrali sono sicure.
Oggi sono in attività 439 reattori commerciali in 30 Paesi, che generano il 16% dell’elettricità mondiale. In Europa l’elettricità nucleare è il 30% del totale (80% in Francia) e il 20% negli Usa. Il nucleare è ancora concentrato in pochi Paesi: Usa (104 reattori), Francia (58) e Giappone (55) insieme hanno oltre metà dei reattori commerciali mondiali. Però, dei 36 nuovi reattori oggi in costruzione, la metà è in Asia. E il possibile nuovo round di ordini da parte di 4o e più Pvs contribuirà a mutare la geografia del nucleare nel mondo.
Ma forse a mutare fortemente potrebbe essere l’intero paradigma nucleare. Il previsto boom della domanda globale di centrali, se non è una "bolla", riflette l’ansia di molti Paesi per la propria sicurezza energetica, oggi un fattore-chiave della sicurezza nazionale.
Egualmente, chi investe molto nel nucleare non può poi rischiare di dipendere da pochi fornitori di uranio arricchito e quindi cercherà, se possibile, di gestire un proprio ciclo del combustibile. E i Paesi produttori di uranio avranno un legittimo interesse commerciale a entrare nel comparto dell’arricchimento e del ritrattamento, come stanno facendo (o vogliono fare) Canada, Australia, Argentina, Brasile, Namibia e Sudafrica. Per altri Paesi, lo sviluppo diun’industria nucleare nazionale sarà cruciale per il loro status economico, tecnologico e politico a livello globale.
Il boom del nucleare è però ancora problematico. La crescita della domanda di elettricità e la necessità di sostituire le centrali obsolete costringerà il settore a enormi sforzi solo per mantenere l’attuale quota dell’energia totale, mentre le esigenze ambientali e di sicurezza richiedono un aumento di tale quota. Ma le centrali hanno costi enormi e tempi dì realizzazione assai lunghi, la capacità mondiale di produrre componenti è limitata e c’è carenza di materiali e personale tecnico. Inoltre, resta aperto il problema delle scorie radioattive.
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