venerdì 16 maggio 2008

«Chi chiede l'atomo sa che vivrà a rischio»

«Chi chiede l'atomo sa che vivrà a rischio»

di Gemma Contin

Liberazione del 08/11/2007

Intervista a Roberto Mezzanotte, ingegnere dell'Apat, direttore del dipartimento Nucleare, Rischio tecnologico e industriale

Roberto Mezzanotte dirige il dipartimento "Nucleare, Rischio Tecnologico e Industriale" dell'Apat - Agenzia protezione ambiente e servizi tecnici. Liberazione lo ha intervistato sui nodi irrisolti della questione nucleare, che riemergono sempre più concitati con l'aumentare del prezzo del petrolio.

Cominciamo dai costi, dato che oggi il greggio ha sfiorato i 100 dollari al barile. Produrre energia con l'uranio costerebbe di meno?
Guardi, io non mi occupo dell'aspetto economico del nucleare. Mi occupo dei controlli di sicurezza sugli impianti dismessi e su tutto ciò che emette radiazioni ionizzanti, dunque dei rifiuti radioattivi. Posso però dirle che l'apertura di nuove centrali oggi in Italia sarebbe una cosa molto complessa, perché non si tratta soltanto di realizzare l'impianto. Il nucleare non è, non è mai stato e mai sarà una risposta di breve termine. Pensare di rispondere con il nucleare al prezzo del petrolio è una mera illusione.

Chi lo sbandiera come la soluzione ai rincari dice una stupidaggine?
Sì, perché in Italia i tempi sarebbero resi più lunghi dal fatto che oltre a quelli necessari per la localizzazione, la scelta del sito, la realizzazione dell'impianto, tutta la fase di prove, eccetera, dovrebbe esserci anche una fase preliminare di ricostituzione di un sistema che nel giro di vent'anni si è ovviamente ridotto.

Cioè non abbiamo il know-how, le conoscenze, le competenze, l'esperienza che servirebbe?
Dico solo che una parte essenziale da mettere in campo per il nucleare è il sistema dei controlli. E in Italia il sistema dei controlli è commisurato - e anzi bisogna lavorare sodo per tenerlo sempre adeguato - alle attività che oggi devono essere svolte. Cioè è dimensionato per la "decomissioning" degli impianti esistenti, per la gestione dei rifiuti, per il riprocessamento e il deposito di questi rifiuti. Ma nel momento in cui si ripensasse al nucleare si dovrebbe ricostituire una struttura molto più ampia, in grado di reggere alle esigenze e di monitorare passo per passo tutto quello che viene fatto. Bisognerebbe cioè ricominciare daccapo.

Questo in fase di controllo. Ma la progettazione? e la realizzazione?
Diciamo per pura ipotesi che dal punto di vista dell'acquisto e della realizzazione si potrebbe anche pensare di rivolgersi all'estero per avere degli impianti chiavi in mano. Ma poi il controllo non può essere fatto all'estero. Il controllo deve essere fatto in loco. Ecco perché le ho detto che si tratta di ricostituire un sistema al centro del quale c'è il controllo. Tanto per darle un'idea, quando è stata chiusa in Italia l'esperienza nucleare - almeno dal punto di vista produttivo - e c'era da gestire un'eredità che è ancora ampia e impegnativa, c'era un ente addetto ai controlli che dimensionalmente era quattro-cinque volte quello che è oggi. E non si tratta di competenze che si trovano così, chiavi in mano. Sono competenze che vanno costruite con impegno, perché quando si parla del nucleare bisogna avere idee molto chiare su quello che significa come impegno complessivo, sapendo che può dare risultati sul lungo termine, non certo oggi, e che impegnerebbe il paese e molte risorse per un tempo molto lungo. E' una consapevolezza che chi parla di nucleare deve avere.

Parliamo di sicurezza, di bassa radioattività, di reattori di quarta generazione. Ieri Legambiente diceva che ci vorranno trent'anni per i reattori a bassa attività.
Trenta forse no, ma le posso dire che le previsioni - ancora sul terreno della ricerca e dello studio e dovranno poi essere confermate dai fatti - pongono la disponibilità dei diversi progetti tra il 2020 e il 2030.

E per gli incidenti? anche provocati da cose "normali" come un errore umano o un terremoto, come è già avvenuto in Giappone?
Diciamo una cosa: con il nucleare la sicurezza assoluta non potrà mai essere raggiunta. Ci sarà sempre un margine di rischio. Quando si parla di energia nucleare bisogna avere questa consapevolezza: che ci si mette in una condizione di rischio; di dover comunque accettare un rischio ineliminabile. Guardi, io lavoro con l'energia nucleare da molti anni e mi sono fatto questo convincimento: quando si parla di nucleare si parla anche dei rifiuti e si parla degli incidenti; il mio convincimento, dopo infiniti ripensamenti, è che alla fine il problema dei rifiuti è gestibile, ma il problema degli incidenti si colloca in una sfera di imprevedibilità che lo rende ingestibile. Quando si parla di nucleare si deve mettere nel conto la convivenza con il rischio, la cui eliminazione totale deve essere dimostrata.

Capitolo scorie: quelle prodotte da Caorso e Trino o stoccate nel deposito Avogadro sono ancora tutte lì da smaltire. Come si gestiscono? quanti anni ci vogliono per la decontaminazione?
Facciamo alcune distinzioni. Ci sono rifiuti prodotti durante l'esercizio dell'impianto gestibili con relativa facilità, o con minore difficoltà. Le scorie vengono riprocessate, se ne tira fuori quello che può essere reimmesso nel ciclo, quello che resta è a bassa radioattività. I problemi sono legati alle scorie ad alta radioattività, cioè il combustibile irraggiato e quello che rimane quando il reattore viene spento. Qui le possibilità sono due: o si tratta come un rifiuto finale non riutilizzato, oppure si sottopone a un riprocessamento per tirar fuori l'uranio e il plutonio riutilizzabili. In entrambi i casi abbiamo rifiuti ad alta radioattività e lunga vita.

Cosa vuol dire lunga vita?
Decine di migliaia di anni. Tempi inimmaginabili per la decontaminazione. Ci sono ricerche molto attente che devono essere fatte. E' impensabile decidere di stoccarli con un decreto legge che individua un sito di smaltimento qualsiasi, come è avvenuto per Scanzano Ionico. Per darle un'idea, negli Usa esiste un sito, Yucca Mountain nel deserto del Nevada, dove stanno facendo studi da anni e anni. E' possibile che alla fine si dimostri valido. Ma ci vogliono anni e anni di verifiche, sperimentazioni e controlli molto complessi prima di poter decidere che un sito tipicamente "idrofobo", per dirla con una battuta, è adeguato. La risposta potrebbe essere nella trasmutazione, trasformando i rifiuti a vita lunga in molecole a vita più breve. Ma la ricerca è appena nella fase di processi allo studio. Siamo lontani da una soluzione.

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