Il partito del nucleare si ferma col caldo. Centrali bloccate in mezza Europa ma in Italia c’è chi l
di Tiziana Barrucci
Liberazione del 04/08/2006
Il premier britannico Tony Blair rilancia la seconda era nucleare e ufficializza un piano di costruzione di nuove centrali, la Francia lo segue imperterrita, approvando un altro impianto e autorizzando lo scarico delle acque di raffreddamento a temperature più alte del normale, la Finlandia già comincia i lavori della prima centrale europea nuova nell’ultimo decennio. Tutto sembra a suo posto, e i sostenitori della nuova era sono soddisfatti: le innovative tecnologie sofisticate prenderanno il posto delle vecchie e porranno rimedio ai problemi di sempre, alzando gli standard di sicurezza e creando rifiuti meno pericolosi. E invece ogni giorno porta la sua pena nucleare. Ieri la Svezia ha confermato la chiusura di 10 reattori per motivi di sicurezza. Solo pochi giorni fa diverse centrali francesi, spagnole e tedesche hanno dovuto chiudere i battenti, almeno temporaneamente per il caldo, quello estivo. Perché con le alte temperature i rischi sono diversi: da un lato i fiumi si seccano e quelli che normalmente vengono usati per il raffreddamento non sono più utili, dall’altro semplicemente l’innalzamento della temperatura climatica influenza le temperature scaturite dai processi fisici che avvengono all’interno degli impianti stessi portandole oltre le soglie di pericolosità. E l’idea del nucleare può essere affrontata con maggiore ponderazione e realismo si fa nuovamente strada. Proviamo a fare il punto con scienziati ed esperti del settore. Tra di loro Giorgio Cortellessa, uno dei fisici nucleari italiani più apprezzati dalla comunità scientifica internazionale, Stefano Ciafani, responsabile dell’ufficio scientifico di Legambiente e Tommaso Sodano, presidente della commissione ambiente di palazzo Madama. Dove sta andando il nucleare europeo? E l’Italia, può cambiare la sua rotta? «Se parliamo di nucleare in Italia perdiamo solo tempo - taglia corto Ciafani - se anche domani il premier facesse un discorso pro nucleare e si decidesse di prendere quella strada, ci vorrebbero venti anni perché quella strada diventi realtà. Esistono diversi studi internazionali che avvertono sui costi esorbitanti che i paesi che hanno dimesso il nucleare dovrebbero affrontare in caso volessero riprendere quella strada. La Chicago University ma anche il Mit di Boston spiegano che il nucleare come fonte di energia non ha futuro». Gli fa eco Cortellessa: «Cerco di essere chiaro, con le centrali nucleari si fa soltanto elettricità e per la verità soltanto il 20% dell’energia totale. Nella realtà le centrali nucleari sono soprattutto necessarie per costruire armi. I motivi sono semplici e sono soprattutto di carattere economico e di sicurezza. I costi sono molto alti: per far funzionare una centrale nucleare c’è bisogno di uranio arricchito, che ci si deve procurare dagli stati che hanno sviluppato una tecnologia, altrimenti produrlo da soli ha costa troppo. E i paesi che hanno l’uranio arricchito sono soprattutto Stati uniti e Russia, sono loro che determinano il mercato e quindi i prezzi, ovviamente alti. E poi c’è la questione sicurezza: a parte gli incidenti noti, sono tantissimi quelli che avvengono e di cui poco si parla. Di solito quando ci sono meno di dieci morti si dice che l’incidente non era grave. Ma chi pensa ai morti di qualche settimana o anno dopo? E’ sempre difficile collegare le morti a quegli incidenti».
Sull’Italia Sodano è chiaro: «Esiste molta ignoranza in materia e il partito del nucleare è trasversale. Ci sono settori di confindustria che spingono per il nucleare, c’è l’Enel che partecipa a gare per la costruzione di centrali in altre parti d’Europa, ci sono lobby forti che provano a spaventare l’opinione pubblica con la paura dei black out e del restare al buio». «Quando invece i nostri black out non sono ovviamente legati a carenze di energia - conclude Cortellessa - la differenza tra il picco di assorbimento e la nostra potenza è abbondante. Abbiamo circa 70mila megawatt di potenza a fronte di un picco di 50mila e di una potenza usata in media di 34-40mila di media. I nostri problemi sono legati alla gestione dei vari settori legati all’energia, non certo al bisogno di nucleare». Eppure anche il fondatore di Greanpeace, James Lovelock, sostiene che solo l’atomo potrà fermare il riscaldamento della Terra… «Nessuno dice che il signore è stato allontanato da Greanpeace? E che queste affermazioni evidentemente sono dettate da altri aspetti che la conoscenza o l’onestà scientifica?».
di Tiziana Barrucci
Liberazione del 04/08/2006
Il premier britannico Tony Blair rilancia la seconda era nucleare e ufficializza un piano di costruzione di nuove centrali, la Francia lo segue imperterrita, approvando un altro impianto e autorizzando lo scarico delle acque di raffreddamento a temperature più alte del normale, la Finlandia già comincia i lavori della prima centrale europea nuova nell’ultimo decennio. Tutto sembra a suo posto, e i sostenitori della nuova era sono soddisfatti: le innovative tecnologie sofisticate prenderanno il posto delle vecchie e porranno rimedio ai problemi di sempre, alzando gli standard di sicurezza e creando rifiuti meno pericolosi. E invece ogni giorno porta la sua pena nucleare. Ieri la Svezia ha confermato la chiusura di 10 reattori per motivi di sicurezza. Solo pochi giorni fa diverse centrali francesi, spagnole e tedesche hanno dovuto chiudere i battenti, almeno temporaneamente per il caldo, quello estivo. Perché con le alte temperature i rischi sono diversi: da un lato i fiumi si seccano e quelli che normalmente vengono usati per il raffreddamento non sono più utili, dall’altro semplicemente l’innalzamento della temperatura climatica influenza le temperature scaturite dai processi fisici che avvengono all’interno degli impianti stessi portandole oltre le soglie di pericolosità. E l’idea del nucleare può essere affrontata con maggiore ponderazione e realismo si fa nuovamente strada. Proviamo a fare il punto con scienziati ed esperti del settore. Tra di loro Giorgio Cortellessa, uno dei fisici nucleari italiani più apprezzati dalla comunità scientifica internazionale, Stefano Ciafani, responsabile dell’ufficio scientifico di Legambiente e Tommaso Sodano, presidente della commissione ambiente di palazzo Madama. Dove sta andando il nucleare europeo? E l’Italia, può cambiare la sua rotta? «Se parliamo di nucleare in Italia perdiamo solo tempo - taglia corto Ciafani - se anche domani il premier facesse un discorso pro nucleare e si decidesse di prendere quella strada, ci vorrebbero venti anni perché quella strada diventi realtà. Esistono diversi studi internazionali che avvertono sui costi esorbitanti che i paesi che hanno dimesso il nucleare dovrebbero affrontare in caso volessero riprendere quella strada. La Chicago University ma anche il Mit di Boston spiegano che il nucleare come fonte di energia non ha futuro». Gli fa eco Cortellessa: «Cerco di essere chiaro, con le centrali nucleari si fa soltanto elettricità e per la verità soltanto il 20% dell’energia totale. Nella realtà le centrali nucleari sono soprattutto necessarie per costruire armi. I motivi sono semplici e sono soprattutto di carattere economico e di sicurezza. I costi sono molto alti: per far funzionare una centrale nucleare c’è bisogno di uranio arricchito, che ci si deve procurare dagli stati che hanno sviluppato una tecnologia, altrimenti produrlo da soli ha costa troppo. E i paesi che hanno l’uranio arricchito sono soprattutto Stati uniti e Russia, sono loro che determinano il mercato e quindi i prezzi, ovviamente alti. E poi c’è la questione sicurezza: a parte gli incidenti noti, sono tantissimi quelli che avvengono e di cui poco si parla. Di solito quando ci sono meno di dieci morti si dice che l’incidente non era grave. Ma chi pensa ai morti di qualche settimana o anno dopo? E’ sempre difficile collegare le morti a quegli incidenti».
Sull’Italia Sodano è chiaro: «Esiste molta ignoranza in materia e il partito del nucleare è trasversale. Ci sono settori di confindustria che spingono per il nucleare, c’è l’Enel che partecipa a gare per la costruzione di centrali in altre parti d’Europa, ci sono lobby forti che provano a spaventare l’opinione pubblica con la paura dei black out e del restare al buio». «Quando invece i nostri black out non sono ovviamente legati a carenze di energia - conclude Cortellessa - la differenza tra il picco di assorbimento e la nostra potenza è abbondante. Abbiamo circa 70mila megawatt di potenza a fronte di un picco di 50mila e di una potenza usata in media di 34-40mila di media. I nostri problemi sono legati alla gestione dei vari settori legati all’energia, non certo al bisogno di nucleare». Eppure anche il fondatore di Greanpeace, James Lovelock, sostiene che solo l’atomo potrà fermare il riscaldamento della Terra… «Nessuno dice che il signore è stato allontanato da Greanpeace? E che queste affermazioni evidentemente sono dettate da altri aspetti che la conoscenza o l’onestà scientifica?».
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