martedì 23 settembre 2008

Nucleare, ritorno a Caorso

Nucleare, ritorno a Caorso

Corriere della Sera del 23 settembre 2008, pag. 10

di Giangiacomo Schiavi

Dicono che si riparte da qui.

Da quest’angolo di Padania dove il nucleare è sepolto tra l’autostrada e il Po. Ci sono i canneti, le vecchie cascine, una garitta deserta. E c’è una centrale spenta, un relitto che aspetta di essere abbattuto. Per farla funzionare, quarant’anni fa, l’Enel ha investito 468 miliardi di lire; per tenerla ferma, vent’anni fa, lo Stato ne ha bruciati diecimila.



Impossibile dimenticare Caorso. E il day after del nucleare all’italiana, un caso d’eutanasia su un paziente sano. Nel 1969 doveva essere la centrale più potente d’Europa. Nel ‘78, in funzione, poteva accendere otto milioni di lampadine da cento watt, una potenza in grado di illuminare una città come Milano. Si è fermata, guastata ed è ripartita. Ha fatto risparmiare 1.700 miliardi sulla bolletta petrolifera. Dopo Chernobyl e il referendum è finita in un angolo morto della storia. Dal 1988 ammuffisce nel deserto della Bassa: chiuso il centro d’informazione, dimenticato il raddoppio, accantonata l’ipotesi di farne una nave scuola per tecnici e ingegneri. Un caso da manuale degli sperperi: da ferma la centrale costava 300 milioni al giorno.



Per anni 177 operai e tecnici hanno aspettato il segnale di una ripartenza, come i soldati di Buzzati nella Fortezza Bastiani. Il segnale è arrivato, ma molti di loro sono già in pensione. Adesso si sente dire che sulle ceneri della vecchia centrale ne può nascere un’altra. L’ipotesi non è campata in aria: è realistica. Di raddoppio si è sempre parlato. Più il premier Berlusconi e il ministro Scajola insistono sul ritorno del nucleare in Italia, più intorno a Caorso si aspetta, o si teme, la nomination.



Ci si mette anche il leader della Lega, Umberto Bossi, a fare da sponda: «Le centrali nucleari? In Padania la gente le accetterebbe. Siamo gente civile, non vogliamo rimanere senza frigo e condizionatore». Così il sindaco di Caorso, Fabio Callori, Forza Italia, è costretto a mettere le mani avanti: «Se questa è l’intenzione, cominciamo a parlarne. Sarebbe da pazzi dire no al nucleare a Caorso, ma bisogna prima coinvolgere la gente, discutere con gli enti locali, creare il consenso». Concorda il senatore di Forza Italia Guido Possa, responsabile del dipartimento Energia per la Lombardia, già viceministro per la Ricerca e ascoltato consigliere del premier. «L’identificazione dei siti è una scelta delicata. Caorso è la prima cosa che viene in mente quando si parla di nuove centrali. C’è un patrimonio enorme di conoscenza c’è una rete di controllo sociale che non va sprecata. Ma i passaggi da fare sono tanti e siamo solo all’inizio. L’accettazione deve passare attraverso un messaggio chiaro alla popolazione coinvolta e agli enti locali».



Quarant’anni fa non andò così. Lo ricordano nel libro «Piacenza, capitale dell’energia» i protagonisti di quell’avventura. A Caorso non ci fu nessun dibattito. Il Sole non rideva sull’Italia, la legge di Nimby («Non nel mio giardino») era sconosciuta. Un funzionario dell’Enel sbrigò la faccenda da solo, bastarono un paio di incontri in Comune. Il sindaco comunista Pietro Rossetti, un galantuomo in buona fede, disse di sì con la promessa di un risarcimento per i danni di una centralina sul Po. Ti consiglio comunale approvò il reattore con una licenza edilizia, come per un condominio. Un inganno nucleare, denunciò Italia Nostra. Consumato nel silenzio di una stampa interessata più ai miliardi dell’investimento che all’impatto ambientale. Ricorda un altro ex sindaco, Enrico Fanzini, succeduto a Rossetti: «Nessuno di noi sapeva niente di nucleare. Con l’aiuto del partito sentimmo uno scienziato inglese: ci fornì ampie assicurazioni sulla sicurezza». Una. centrale atomica, diceva, è più sicura di un’automobile. Era un altro secolo e c’era un’altra Italia. La Dc al 38 per cento, Rumor presidente del Consiglio, Nenni agli esteri, Tanassi all’Industria In prima prima pagina il crac di Felicino Riva, il rapimento Lavorini, le uova marce alla Bussola. E poi il Sessantotto, gli studenti in piazza, l’autunno caldo che incombe. E Le Monde che fotografa un Paese allo sbando, con il record europeo delle ore di sciopero e 873 giornate di lavoro perse ogni 1.000 lavoratori. «L’Italia ricorda la Grecia alla vigilia del golpe militare: scioperi selvaggi, blocchi stradali, guerriglia, picchettaggi, cortei nelle fabbriche molotov, culto verbale della violenza..». Cominciò così il nucleare all’italiana. Con tanto pressapochismo, bugie, strumentalizzazioni, furberie, confusione. Ma le competenze tecniche c’erano, e anche gli uomini: Caorso, dopo errori e battaglie, diventò un modello da esportare. Normale che se ne riparli. Qui c’è già tutto per una centrale: gli studi sismici, l’acqua del Po per il raffreddamento delle barre di uranio, le convenzioni sulla protezione ambientale, una rete di monitoraggio. C’è anche il famigerato piano d’emergenza, quello che fino agli anni Ottanta era un concentrato di inutile burocrazia chiuso a chiave in prefettura e che è stato riscritto, reinventato da Comune, Provincia e Regione. «State calmi, non è successo niente di grave», si leggeva in un ridicolo volantino da distribuire alla popolazione nel 1979, quando il prefetto rispondeva così a chi gli chiedeva notizie: «Un incidente a Caorso? Facimme ‘e corna».



Che storia. E che brutto finale. Con la centrale fermata dopo tre anni a pieni giri, dal 1982 all’85, e 29 miliardi di chilowattora prodotti. E con la popolazione di Caorso che non firma per il referendum e non sfila alle marce dei Verdi. Un caso unico nell’Italia dei no. Ma c’era Chernobyl nell’86, e la politica energetica in Italia cambiò strada. In piazza a Caorso in quei giorni c’era il vicesegretario del Psi, Claudio Martelli. Lo slogan era «.Atomo, addio». Il Pci si è allineato, la De ha avuto paura. Chicco Testa, futuro presidente Enel, guidava un corteo contro l’atomo. Oggi ha cambiato idea. Ripensiamo al nucleare, scrive. Guido Possa approva: «Il governo Berlusconi ne ha fatto una bandiera». Pierluigi Bersani, ministro ombra del Pd, nella prefazione del libro su Caorso, butta la palla avanti: «Il domani del nucleare appartiene alla quarta generazione». "Sul piatto ci sono però le centrali della terza generazione. E a Caorso, nell’attesa, c’è una pattumiera di vecchie scorie.

mercoledì 17 settembre 2008

Solare batte nucleare: ecco perché

Solare batte nucleare: ecco perché

La Stampa - Tuttoscienze del 17 settembre 2008, pag. 5

di Vincenzo Balzani
Per mettere a fuoco il problema dell'energia bisogna considerare che la Terra è come un’astronave che viaggia nell'immensità dell'Universo. Non consuma sue risorse energetiche per viaggiare, ma ha bisogno di tanta energia per i numerosi passeggeri che trasporta: già oggi sono più di 6,7 miliardi, con un aumento di circa 75 milioni all'anno. Ogni minuto nascono 32 indiani e 24 cinesi.

La storia della civiltà è strettamente correlata al progressivo sviluppo delle risorse energetiche, perché con l'energia si può fare tutto, o quasi. Si può anche rimediare alla scarsità di altre risorse; per esempio, se l'acqua potabile scarseggia, se ne può ottenere a volontà dall'acqua del mare, ma al caro prezzo energetico di un litro di petrolio per ogni 3 metri cubi di acqua.

Nell'attuale fase storica l'energia è fornita quasi esclusivamente dai combustibili fossili, ma ci rendiamo conto che sono un regalo irripetibile e quantitativamente limitato che la natura ci ha fatto. Oggi sappiamo anche che il loro uso massiccio e prolungato reca gravi danni all'uomo e all'ambiente. Partendo da questi incontrovertibili dati di fatto, è necessario compiere scelte sagge e prendere rapide decisioni nel campo della politica energetica.

La questione energetica mette l'umanità di fronte ad un bivio. Da una parte c'è la difesa ad oltranza dello stile di vita ad altissima intensità energetica dei Paesi ricchi. Uno stile di vita che non si fa carico dei danni dell'ambiente, non esclude azioni di forza o, addirittura, di guerra per conquistare le riserve fossili residue, non si cura di ridurre le disuguaglianze, si espone ai rischi della proliferazione nucleare e lascia in eredità alle generazioni future scorie radioattive per migliaia di anni. Dall'altra parte la necessità di rispettare i vincoli fisici del nostro pianeta imporrebbe un cambiamento dello stile di vita, che dovrebbe anche essere visto come una scelta etica: uno stile di vita fondato su più bassi consumi energetici, sobrietà e sufficienza. Questa seconda alternativa prevede un periodo di transizione, nel quale dovrà essere progressivamente ridotto l'utilizzo dei combustibili fossili, evitata l'espansione del nucleare e sviluppati tutti i tipi di energie rinnovabili, diffuse e non inquinanti, ciascuna valorizzata a seconda della specificità del territorio.

Per fare la scelta giusta ci vuole una politica che guardi lontano. De Gasperi ha scritto che proprio in questo sta la differenza fra un politico e un vero statista: il politico guarda alle prossime elezioni, lo statista guarda invece alla prossima generazione. Per agire come statisti, i politici dovrebbero ascoltare più spesso gli scienziati che, avendo minori condizionamenti, possono guardare più lontano.

Questo è fondamentalmente lo scopo che ha spinto un folto gruppo di scienziati a rivolgere al governo un appello (http://www.energiaperilfuturo.it), che è stato poi illustrato in un incontro presso il ministero per lo Sviluppo Economico. L'appello sottolinea l'urgenza che nel Paese aumenti la consapevolezza riguardo la gravità della crisi energetica e climatica, insiste sulla necessità del risparmio e di un uso più efficiente dell'energia, mette in guardia contro un inopportuno e velleitario rilancio del nucleare e, infine, esorta il futuro governo a sviluppare l'uso delle energie rinnovabili ed in particolare dell'energia solare.

L'Italia non ha combustibili fossili e neppure uranio. La sua più grande risorsa è il Sole, una fonte di energia che durerà per 4 miliardi di anni, una stazione di servizio sempre aperta che invia su tutti i luoghi della Terra un'immensa quantità di energia, 10 mila volte quella che l'umanità intera consuma. Guardare lontano, quindi, significa sviluppare l'uso dell'energia solare e delle altre energie rinnovabili, non quello dell'energia nucleare.

E' un guardare lontano nel tempo, perché non lascia alle prossime generazioni un immane fardello di scorie radioattive. E' un guardare lontano nel mondo, perché, a differenza dei combustibili fossili e dell'uranio, l'energia solare e le altre energie rinnovabili sono presenti in ogni luogo della Terra e, quindi, il loro sviluppo contribuirà al superamento delle disuguaglianze e al consolidamento della pace.

L'Italia ha più Sole dell'Austria, ma ha una superficie pro capite di pannelli solari termici 20 volte meno estesa. L'Italia ha più Sole della Germania, ma la potenza fotovoltaica pro capite installata in Germania è 30 volte maggiore. Fa specie che in Italia, dove l'unica risorsa energetica ampiamente disponibile è proprio il Sole, la maggior parte dei politici e degli industriali, e persino alcuni scienziati, non si siano ancora accorti che l'attuale crisi energetica offre al nostro Paese una grande opportunità che nazioni meno ricche di Sole hanno già colto, sviluppando nuove industrie e creando nuove forme di occupazione. Il risparmio, l'uso più efficiente dell'energia e lo sviluppo del solare e delle altre fonti rinnovabili sono le azioni necessarie per affrontare il difficile futuro che ci aspetta e per lasciare in eredità ai nostri figli un Paese vivibile.

NOTE

Università di Bologna

Siti per i rifiuti nudeari Puglia guida il fronte del «no»

Siti per i rifiuti nudeari Puglia guida il fronte del «no»

La Gazzetta del Mezzogiorno del 17 settembre 2008, pag. 10

di Giuseppe Armenise

Nucleare, si annuncia difficile il confronto tra governo e regioni. Il documento con il quale la Calabria, capofila, si presenterà all'incontro della conferenza Stato-regioni di domani sancisce l'indisponibilità dei territori a subire decisioni calate dall’alto tanto per quanta attiene la materiale individuazione del sito destinato allo stoccaggio delle scorie nucleari, quanta per la tipologia dei rifiuti radioattivi da avviare allo stoccaggio stesso.



Dall'incontro di ieri tra tutti gli assessori aU'Ambiente (assente la regione Veneto) è emerso un quadro di grande scetticismo sull’opportunita di riprendere il programma nucleare fortemente voluto dal ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola. A guidare il fronte del no proprio la regione Puglia con l'assessore all'Ecologia, Michele Losappio, il quale ha più volte ribadito l'inopportunità di chiedere ulteriori sacrifici ad un territorio giù abbondantemente marchiato da emergenze ambientali legate ad insediamenti produttivi (Ilva di Taranto e Petrolchimico di Brindisi su tutti).



La Puglia, peraltro, già oggi produce una quantità di energia - pari all'88% in più rispetto al fabbisogno - seconda solo a quella della Lombardia. Seguendo i parametri del protocollo di Kyoto, tali cifre (la Puglia, da sola, fa fronte al deficit di energia prodotta in Campania), sono strettamente legate alle quote di anidride carbonica (CO2) emessa in atmosfera. Un eccesso di CO2 di tali proporzioni mal si concilierebbe - è il ragionamento degli amministratori pugliesi - con l'eventualità di aggiungere altri impianti a quelli già esistenti.



Ma anche le altre regioni hanno espresso le loro perplessità sul futuro del nucleare in Italia e sulla possibilità di accollarsi, sia pure a fronte di incentivi e misure compensative, l'onere di ospitare il sito unico nazionale, ovvero la discarica dei rifiuti radioattivi (scorie e rifiuti sanitari a basso impatto) d'Italia.



Le perplessità si sono trasformate essenzialmente in due proposte che sono altrettante rivendicazioni nei confronti del governo. La prima: il sito-discarica delle scorie deve essere individuato necessariamente attraverso un processo di concertazione con le regioni, eliminando dunque qualsiasi alternativa di tipo imperativo, che consenta al governo nazionale di decidere da solo. La seconda: occorre eliminare dal piano del governo qualsiasi riferimento allo stoccaggio di scorie prodotte da impianti futuri. Dunque, nel sito unico nazionale, secondo le regioni, dovrebbero finire solo i rifiuti radioattivi di tipo sanitario a basso impatto e quelli delle vecchie centrali ormai dismesse da oltre un ventennio (Trino vercellese, Caorso, Rotondella).



Sul tavolo del governo c’è, in questo momento, anche la questione della nascita della nuova agenzia per il nucleare. A questo soggetto (probabilmente farà capo al ministero all'Ambiente) spetterà il compito di fissare i criteri ai quali dovranno rispondere i siti destinati a ospitare tanto la discarica dei rifiuti nucleari quanta le centrali e successivamente di effettuare i controlli tecnici e ambientali sugli impianti.

martedì 16 settembre 2008

Lite sui siti per le scorie nucleari

Lite sui siti per le scorie nucleari

Il Sole 24 Ore del 16 settembre 2008, pag. 26

di Federico Rendina

Senza l’accordo condiviso dalle regioni arriverà una decisione unilaterale del Governo, minaccia Palazzo Chigi. Oggi lo spinoso confronto ufficiale sul primo atto operativo del ritorno all’energia nucleare promesso dal Governo Berlusconi. Faccia a faccia tra gli assessori all’Ambiente e i manovratori del ministero dello Sviluppo e dell’Ambiente sulla prima annosissima questione da risolvere: il deposito unico per le scorie radioattive.



Problema a cui il Governo promette di dare una soluzione definitiva entro fine anno sulla base delle indicazioni di una commissione Governo-Regioni-Enea-Apat (insediata dal precedente governo di centrosinistra ma riconfermata anche dall’esecutivo in carica) chiamata ad individuare entro il 30 settembre almeno le procedure e la metodologia di selezione per realizzare il deposito dei nostri detriti nucleari.



Le premesse non sono affatto buone: una prima riunione informale ha prodotto, il io settembre, un sonoro altolà della regione Puglia. Il Governo - fa sapere l’assessore pugliese all’Ecologia, Michele Losappio - ha confermato la procedura che prevede l’aut aut: in caso di mancato accordo con le regioni il deposito verrà individuato dal Governo tramite la costituenda agenzia nazionale per il nucleare.



«La concertazione è vanificata, e assomiglia ad un bluff» taglia corto Losappio, ipotecando seriamente il confronto ufficiale in calendario oggi. Losappio parla prima di tutto per il suoi territorio. Ma argomenti "fotocopia", salvo poche varianti, sono state già abbozzate da tutti i rappresentanti regionali. Ognuno, nessuno escluso, pensa di avere ottime ragioni per vedere esonerato il proprio territorio da qualunque installazione che abbia anche lontanamente a vedere con l’elettricità da nucleare e relativa gestione delle scorie.



La Puglia «già sfiorata nel 2004 con la scelta berlusconiana di ScanzanoJonico» (il deposito lucano designato dal Governo per decreto e poi "revocato" dopo una vera sommossa popolare) in ogni caso «produce circa ottomila megawatt di energia e ne cede l’88% al resto del Paese» e dunque «dovrebbe essere perlomeno risarcita con la esclusione del suo territorio da ogni ipotesi di sito o di centrale nucleare». Comunque sia la Puglia «negherà il suo consenso nell’iter procedurale» avverte Losappio.



Il Governo cerca intanto di accelerare la nascita della nuova Agenzia per il nucleare, che piloterà sia i criteri per 1’omologazione" dei siti che ospiteranno le future centrali sia i controlli tecnici e ambientali. L’orientamento è quello di assegnare formalmente l’agenzia al ministero dell’Ambiente con un ruolo consultivo del ministero dello Sviluppo. L’Agenzia dovrebbe avere un organico di circa 300 persone, eredità delle vecchie strutture dell’Apat (Ministero Ambiente) con "rinforzi" dall’Enea. Nessun travaso invece (né di uomini né di ruoli) dalla Sogin, che continuerà a svolgere il suo ruolo di decommissioning e di attività di consulenza (retribuita) nel settore, in Italia e all’estero.



Per Sogin si parla piuttosto di un possibile spacchettamento tra le attività pubbliche di decommissioning dei nostri vecchi impianti e competenze ingegneristiche più mirate al business, in vista di una eventuale fusione con Ansaldo Nucleare, scorporata tre anni fa da Ansaldo Energia (Finmeccanica) e destinata alla quotazione all’inizio del prossimo anno.

domenica 14 settembre 2008

Rifkin: «Nucleare? L’Italia ritorna al Medioevo...

Rifkin: «Nucleare? L’Italia ritorna al Medioevo, la sinistra raccolga la sfida dell’energia pulita»
Andrea Carugati - L'Unità - 14 settembre 2008
«Se l’Italia sceglierà il nucleare tornerà al Medioevo, e si avvierà verso il collasso. E non lo dico per motivi ideologici, ma per ragioni economiche: non ci sarebbe nessuna reale convenienza economica». Jeremy Rifkin, economista e saggista statunitense di fama internazionale, è stato ospite ieri della scuola di politica del Pd a Cortona.

«In Europa ho collaborato con governi popolari e socialisti», premette. Ma quando gli si chiede un’opinione sull’annuncio del governo Berlusconi di un ritorno al nucleare, la sua chiusura è totale: «Al mondo ci sono 430 reattori, che producono circa il 6% dell’energia mondiale, una percentuale del tutto insufficiente per far fronte alla sfida dei mutamenti climatici, anche se l’industria nucleare afferma di essere pulita perché non produce emissioni di anidride carbonica. Ma per essere incisivo, il nucleare dovrebbe arrivare al 20% dell’energia mondiale: per far questo servirebbero 4mila nuovi impianti, bisognerebbe realizzarne 3 alla settimana per 50 anni, con costi insopportabili.
Per non parlare dell’uranio: le agenzie internazionali ci dicono che entro il 2035 si manifesterà una notevole scarsità di uranio».

Rifkin vede il nucleare come una «tecnologia da guerra fredda», mentre il futuro «è nelle energie rinnovabili, a partire dal sole». Ed è proprio attorno alle energie rinnovabili che lo studioso ha costruito la sua proposta di una «terza rivoluzione industriale», che prevede un vero e proprio mutamento copernicano, con l’obiettivo di «trasformare ogni edificio in una centrale in grado di produrre l’energia di cui ha bisogno, per poi mettere in rete le eventuali eccedenze».
«Negli Usa e anche in Europa, in paesi come Spagna e Grecia, gli imprenditori sono pronti, stanno solo aspettando un segnale dalla politica, e non importa se si tratta di forze di destra o di sinistra. Se domani Berlusconi mi chiamasse per far partire un progetto del genere io sarei pronto, come sto facendo con Zapatero. Sarebbe un’occasione per creare milioni di posti di lavoro, per far entrare l’Italia in un’era post carbone e post nucleare».
«Non è una questione ideologica- ribadisce- il punto è che bisogna salvare il pianeta dai cambiamenti climatici, altrimenti il rischio è che la razza umana si estingua entro questo secolo, come ha detto James Hansen, il direttore dell’istituto spaziale della Nasa. Abbiamo al massimo dieci anni di tempo per invertire la rotta, dopo sarà troppo tardi».

Secondo Rifkin il ruolo della politica in questa operazione è duplice: «Realizzare le infrastrutture che rendano possibile questo cambiamenti energetico e mettere in rete i soggetti interessati, a partire dagli imprenditori». «È chiaro che servono investimenti massicci, ma ci si può provare con delle partnership tra pubblico e privato, fondi nazionali, europei, delle aziende di costruzione e di quelle che si occupano di energie rinnovabili. In Spagna ci sono già delle esperienze avanzate: nella regione di Aragona una grande fabbrica della General Motors ha realizzato un tetto fotovoltaico in grado di produrre tutta l’energia necessaria per il funzionamento dello stabilimento e di 4700 abitazioni: c’è stato un investimento iniziale di 78 milioni di dollari, che si ripagherà in 10 anni e garantirà altri 50 anni di energia gratuita. Tutti i tetti del sud Europa possono fare la stessa cosa, l’azienda di costruzioni spagnola Acciona sta già realizzando edifici energeticamente autonomi».

Dopo la sua lezione, Rifkin ha incontrato Walter Veltroni: «Spero che il Pd sia all’altezza di questa sfida, Veltroni mi è sembrato molto aperto e impegnato sul fronte delle energie rinnovabili. Ora voglio vedere se passerà dalle parole ai fatti: mi aspetto che, entro gennaio 2009, il Pd sia in grado di lanciare una proposta al mondo imprenditoriale italiano, creando un gruppo di lavoro per la terza rivoluzione industriale e dando vita a un movimento di opinione nel vostro Paese.
Si può fare anche dall’opposizione e la nuova generazione, quella di Internet, è già pronta culturalmente a questa svolta democratica, alla nascita di un nuovo diritto umano, il diritto di accedere alla propria giusta quantità di energia». «Per questo - dice ancora Rifkin - mi auguro che il Pd in Italia faccia da catalizzatore di un processo dove non ci sono più le vecchie contrapposizioni del passato, ma cittadini, imprenditori, movimenti, forze politiche possono marciare uniti».

sabato 13 settembre 2008

Tricastin, nuovo incidente alla centrale "Nessun impatto sulla sicurezza"

Tricastin, nuovo incidente alla centrale "Nessun impatto sulla sicurezza"

La Repubblica del 9 settembre 2008, pag. 15

Prosegue l’estate nera della centrale nucleare di Tricastin, nel sud-est della Francia. Ieri è scattato il quarto allarme in due mesi. La barra di uranio usata come combustibile stava per essere rimossa quando i responsabili del reattore si sono accorti che era posizionata in modo anomalo. L’operazione è stata sospesa per precauzione, ma non ci sono state fuoriuscite di radioattività dalla centrale. «Questo avvenimento non ha alcun effetto sull’ambiente», ha precisato l’azienda Electricité de France.

Energia nucleare? No, grazie!

Energia nucleare? No, grazie!

Liberazione del 12 settembre 2008, pag. 19

di Marco Amagliani

Il rientro prossimo venturo dell'Italia nel novero degli Stati che utilizzano l'energia nucleare è già stato salutato come un passo importante verso la "modernizzazione del Paese".
Chi ancora possiede una minima capacità di critica sa bene che invece si tratterebbe nient'altro che di un "ritorno al passato", una ulteriore azione di retroguardia cui il nostro povero Paese sembra condannato. Azione utile forse ad arricchire i soliti noti, molti di quelli che vengono etichettati come "poteri forti", ma nulla di più.
Molti autorevoli commentatori, anche su questo giornale, hanno spiegato come la scelta del nucleare sia fuori dal tempo.
Vorrei provare a dimostrare i vantaggi di una scelta alternativa molto più utile e conveniente.
Un noto e avveduto esperto di energia come Leonardo Maugeri (il responsabile per la ricerca del gruppo Eni, non certo un ambientalista irriducibile), nel suo ultimo libro "Tutta l'energia possibile" sostiene che l'uscita dall'età del petrolio avverrà, non subito, attraverso l'energia solare, l'unica sorgente davvero in grado di fornire al pianeta Terra tutta l'energia di cui ha bisogno.
Anche secondo Maugeri il ruolo dell'energia nucleare non può che essere marginale e riservato a chi possiede già centrali. Pensare di rientrare ora in quel contesto è un assurdo sia tecnico che economico.
Investire sull'energia solare o, meglio, sull'insieme delle energie rinnovabili, è invece la strada maestra che può portare alla modernizzazione del Paese, oltre a consentirgli di governare meglio la riduzione delle emissioni di gas serra necessaria al fine di porre un freno al cambiamento climatico.
Tutto ciò, sia dal punto di vista tecnico, perché ormai tutti gli esperti sono concordi nel riconoscere che le energie rinnovabili hanno le qualità tecniche per risolvere i problemi energetici globali del futuro, sia dal punto di vista economico e sociale. E questo è il punto che m'interessa enfatizzare.
E' ben noto che i paesi che negli anni recenti hanno creduto di più nelle energie rinnovabili, sole, vento, biomasse, (Giappone, Germania, Danimarca e Spagna) hanno ricevuto in cambio la nascita di un'industria che crea molti posti di lavoro sul territorio, sostenibili e stabili. Questo è un aspetto che si tende a sottacere ma che va invece urlato.
La stessa Commissione Europea, nel documento di lancio della strategia energetica per il futuro del Continente, nota come 20-20-20 (20% di energie rinnovabili e taglio dei gas serra del 20% al 2020), emanato all'inizio del 2008, dice:

«Le tecnologie per le energie rinnovabili hanno già un fatturato di 20 miliardi di euro e hanno creato 300 000 posti di lavoro. Una quota del 20% di energie rinnovabili dovrebbe comportare per il 2020 la creazione di quasi un milione di posti di lavoro nel settore, un numero che potrebbe crescere se l'Europa utilizzerà il proprio potenziale per divenire un leader mondiale in questo campo. Inoltre il settore delle energie rinnovabili ha un'elevata intensità di mano d'opera; esso si basa su numerose piccole e medie imprese e distribuisce posti di lavoro e sviluppo in ogni angolo d'Europa: altrettanto vale per l'efficienza energetica degli edifici e dei prodotti».
E c'è anche un aspetto ideologico. A volte serve anche questo. L'energia rinnovabile è democratica e pacifista. E' una verità tanto banale quanto sconvolgente, capace di stravolgere gli equilibri geo-politici così come li conosciamo oggi: siccome il sole ce l'hanno tutti è impossibile scatenare una guerra per il sole. Sono già storia le guerre per il petrolio, non è impossibile prevedere una guerra per l'uranio, nessuno mai potrà fare una guerra per il sole o per il vento che muove le pale eoliche.
Con queste premesse la sfida risiede tutta nella capacità di creare presso l'opinione pubblica la consapevolezza delle reali potenzialità delle tecnologie rinnovabili. Conviene a molti mantenere in giro l'idea che le rinnovabili siano un giocattolo per ambientalisti "sognatori".
In questa maniera gli ingenti sussidi e incentivi che continuano a sostenere il nucleare e le fonti fossili (nell'incredibile silenzio della comunicazione ufficiale) possono rimanere dove sono.
Se invece si fa strada il concetto che il sole può dare (in un'ora arriva sulla terra l'energia consumata dall'umanità in un anno) e la tecnica è in grado di assorbire tutta l'energia necessaria a coprire l'intero fabbisogno globale, allora è ragionevole pensare che l'atteggiamento cambi.
Tale cambio di atteggiamento è, a detta di molti, l'unico strumento che potrà far crollare la barriera che ancora impedisce alla classe dirigente, soprattutto a quella italiana, di vedere quale direzione prendere per modernizzare davvero il Paese.
Bisogna riconoscere che i molti movimenti di opinione, i "comitati", che si oppongono alla realizzazione di quasi tutte le infrastrutture sul territorio potrebbero giocare un ruolo importante al riguardo.
Ragionando in positivo, un possibile denominatore comune dei "comitati" potrebbe allora essere quello di funzionare da catalizzatori verso le scelte virtuose di cui si parlava più sopra. Se si riesce a rendere fattibile ed efficace il modello di generazione distribuita previsto ad esempio dal Piano Energetico Ambientale Regionale delle Marche, con lo slogan "produrre energia dove serve, quanta ne serve e quando serve" allora la strada verso le energie rinnovabili è in discesa.
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NOTE

assessore all'Ambiente Regione Marche

Ue boccia il sostegno al nucleare

Ue boccia il sostegno al nucleare

ItaliaOggi del 12 settembre 2008, pag. 8

di Sabina Pignataro

L’energia nucleare non è una fonte utile per la lotta al cambiamento climatico e non può essere considerata alla stregua del solare, dell’eolico o delle biomasse. Lo sostiene la commissione industria, ricerca ed energia dei parlamento europeo che ieri ha votato sulla proposta di direttiva con la quale l’Ue vuole portare, entro il 2020, la quota di consumi di biofuel al 10% dei consumi totali di carburanti. 11 voto di ieri non rappresenta ancora quello dell’aula, che si esprimerà nella prossima sessione plenaria, ma offre già un’indicazione chiara dell’aspetto che potrebbe assumere la direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili.



Votando il rapporto firmato dal verde lussemburghese, Claude Turmes, è stato bocciato un emendamento che sosteneva la necessità di «introdurre piani per lo sviluppo di tutte le fonti a bassa emissione di carbonio in Europa», dizione che nascondeva la volontà di promuovere il nucleare all’interno del pacchetto delle rinnovabili, in pratica di considerarlo al pari dell’energia solare, dell’eolica e delle biomasse. Ha ricevuto invece il placet della commissione Iter la proposta di fissare al 45% (contro l’attuale 35%), il tasso minimo di riduzione delle emissioni di gas serra dei biocarburanti rispetto agli analoghi combustibili di origine fossile.



Una soglia del 45% favorirebbe i biocarburanti come l’etanolo ricavato dalla canna da zucchero e il biodiesel da semi di girasole. Saranno penalizzati invece gli agrocombustibili prodotti da barbabietola da zucchero, frumento, mais e anche colza e olio di palma. Ben più alto del 50%, poi, dovrebbe essere il tasso di risparmio di gas serra dei biocarburanti detti «di seconda generazione», ricavati cioè dai residui non alimentari delle colture (e quindi non in concorrenza con la produzione di cibo).



I deputati hanno inoltre immesso un nuovo obiettivo intermedio del 5% di utilizzo di biocarburanti per il 2015. Questo 5% viene suddiviso fra un 4% proveniente dalla produzione agricola (biocombustibili di prima generazione) e il rimanente 1% da fonti di elettricità verde e da biomassa. La stessa suddivisione viene imposta anche nell’obiettivo del 10% per il 2020, portando il tetto dell’agrocombustibile al 6% e quello dell’elettricità verde le della biomassa al 4%.