Energia nucleare? No, grazie!
Liberazione del 12 settembre 2008, pag. 19
di Marco Amagliani
Il rientro prossimo venturo dell'Italia nel novero degli Stati che utilizzano l'energia nucleare è già stato salutato come un passo importante verso la "modernizzazione del Paese".
Chi ancora possiede una minima capacità di critica sa bene che invece si tratterebbe nient'altro che di un "ritorno al passato", una ulteriore azione di retroguardia cui il nostro povero Paese sembra condannato. Azione utile forse ad arricchire i soliti noti, molti di quelli che vengono etichettati come "poteri forti", ma nulla di più.
Molti autorevoli commentatori, anche su questo giornale, hanno spiegato come la scelta del nucleare sia fuori dal tempo.
Vorrei provare a dimostrare i vantaggi di una scelta alternativa molto più utile e conveniente.
Un noto e avveduto esperto di energia come Leonardo Maugeri (il responsabile per la ricerca del gruppo Eni, non certo un ambientalista irriducibile), nel suo ultimo libro "Tutta l'energia possibile" sostiene che l'uscita dall'età del petrolio avverrà, non subito, attraverso l'energia solare, l'unica sorgente davvero in grado di fornire al pianeta Terra tutta l'energia di cui ha bisogno.
Anche secondo Maugeri il ruolo dell'energia nucleare non può che essere marginale e riservato a chi possiede già centrali. Pensare di rientrare ora in quel contesto è un assurdo sia tecnico che economico.
Investire sull'energia solare o, meglio, sull'insieme delle energie rinnovabili, è invece la strada maestra che può portare alla modernizzazione del Paese, oltre a consentirgli di governare meglio la riduzione delle emissioni di gas serra necessaria al fine di porre un freno al cambiamento climatico.
Tutto ciò, sia dal punto di vista tecnico, perché ormai tutti gli esperti sono concordi nel riconoscere che le energie rinnovabili hanno le qualità tecniche per risolvere i problemi energetici globali del futuro, sia dal punto di vista economico e sociale. E questo è il punto che m'interessa enfatizzare.
E' ben noto che i paesi che negli anni recenti hanno creduto di più nelle energie rinnovabili, sole, vento, biomasse, (Giappone, Germania, Danimarca e Spagna) hanno ricevuto in cambio la nascita di un'industria che crea molti posti di lavoro sul territorio, sostenibili e stabili. Questo è un aspetto che si tende a sottacere ma che va invece urlato.
La stessa Commissione Europea, nel documento di lancio della strategia energetica per il futuro del Continente, nota come 20-20-20 (20% di energie rinnovabili e taglio dei gas serra del 20% al 2020), emanato all'inizio del 2008, dice:
«Le tecnologie per le energie rinnovabili hanno già un fatturato di 20 miliardi di euro e hanno creato 300 000 posti di lavoro. Una quota del 20% di energie rinnovabili dovrebbe comportare per il 2020 la creazione di quasi un milione di posti di lavoro nel settore, un numero che potrebbe crescere se l'Europa utilizzerà il proprio potenziale per divenire un leader mondiale in questo campo. Inoltre il settore delle energie rinnovabili ha un'elevata intensità di mano d'opera; esso si basa su numerose piccole e medie imprese e distribuisce posti di lavoro e sviluppo in ogni angolo d'Europa: altrettanto vale per l'efficienza energetica degli edifici e dei prodotti».
E c'è anche un aspetto ideologico. A volte serve anche questo. L'energia rinnovabile è democratica e pacifista. E' una verità tanto banale quanto sconvolgente, capace di stravolgere gli equilibri geo-politici così come li conosciamo oggi: siccome il sole ce l'hanno tutti è impossibile scatenare una guerra per il sole. Sono già storia le guerre per il petrolio, non è impossibile prevedere una guerra per l'uranio, nessuno mai potrà fare una guerra per il sole o per il vento che muove le pale eoliche.
Con queste premesse la sfida risiede tutta nella capacità di creare presso l'opinione pubblica la consapevolezza delle reali potenzialità delle tecnologie rinnovabili. Conviene a molti mantenere in giro l'idea che le rinnovabili siano un giocattolo per ambientalisti "sognatori".
In questa maniera gli ingenti sussidi e incentivi che continuano a sostenere il nucleare e le fonti fossili (nell'incredibile silenzio della comunicazione ufficiale) possono rimanere dove sono.
Se invece si fa strada il concetto che il sole può dare (in un'ora arriva sulla terra l'energia consumata dall'umanità in un anno) e la tecnica è in grado di assorbire tutta l'energia necessaria a coprire l'intero fabbisogno globale, allora è ragionevole pensare che l'atteggiamento cambi.
Tale cambio di atteggiamento è, a detta di molti, l'unico strumento che potrà far crollare la barriera che ancora impedisce alla classe dirigente, soprattutto a quella italiana, di vedere quale direzione prendere per modernizzare davvero il Paese.
Bisogna riconoscere che i molti movimenti di opinione, i "comitati", che si oppongono alla realizzazione di quasi tutte le infrastrutture sul territorio potrebbero giocare un ruolo importante al riguardo.
Ragionando in positivo, un possibile denominatore comune dei "comitati" potrebbe allora essere quello di funzionare da catalizzatori verso le scelte virtuose di cui si parlava più sopra. Se si riesce a rendere fattibile ed efficace il modello di generazione distribuita previsto ad esempio dal Piano Energetico Ambientale Regionale delle Marche, con lo slogan "produrre energia dove serve, quanta ne serve e quando serve" allora la strada verso le energie rinnovabili è in discesa.
--------------------------------------------------------------------------------
NOTE
assessore all'Ambiente Regione Marche
Liberazione del 12 settembre 2008, pag. 19
di Marco Amagliani
Il rientro prossimo venturo dell'Italia nel novero degli Stati che utilizzano l'energia nucleare è già stato salutato come un passo importante verso la "modernizzazione del Paese".
Chi ancora possiede una minima capacità di critica sa bene che invece si tratterebbe nient'altro che di un "ritorno al passato", una ulteriore azione di retroguardia cui il nostro povero Paese sembra condannato. Azione utile forse ad arricchire i soliti noti, molti di quelli che vengono etichettati come "poteri forti", ma nulla di più.
Molti autorevoli commentatori, anche su questo giornale, hanno spiegato come la scelta del nucleare sia fuori dal tempo.
Vorrei provare a dimostrare i vantaggi di una scelta alternativa molto più utile e conveniente.
Un noto e avveduto esperto di energia come Leonardo Maugeri (il responsabile per la ricerca del gruppo Eni, non certo un ambientalista irriducibile), nel suo ultimo libro "Tutta l'energia possibile" sostiene che l'uscita dall'età del petrolio avverrà, non subito, attraverso l'energia solare, l'unica sorgente davvero in grado di fornire al pianeta Terra tutta l'energia di cui ha bisogno.
Anche secondo Maugeri il ruolo dell'energia nucleare non può che essere marginale e riservato a chi possiede già centrali. Pensare di rientrare ora in quel contesto è un assurdo sia tecnico che economico.
Investire sull'energia solare o, meglio, sull'insieme delle energie rinnovabili, è invece la strada maestra che può portare alla modernizzazione del Paese, oltre a consentirgli di governare meglio la riduzione delle emissioni di gas serra necessaria al fine di porre un freno al cambiamento climatico.
Tutto ciò, sia dal punto di vista tecnico, perché ormai tutti gli esperti sono concordi nel riconoscere che le energie rinnovabili hanno le qualità tecniche per risolvere i problemi energetici globali del futuro, sia dal punto di vista economico e sociale. E questo è il punto che m'interessa enfatizzare.
E' ben noto che i paesi che negli anni recenti hanno creduto di più nelle energie rinnovabili, sole, vento, biomasse, (Giappone, Germania, Danimarca e Spagna) hanno ricevuto in cambio la nascita di un'industria che crea molti posti di lavoro sul territorio, sostenibili e stabili. Questo è un aspetto che si tende a sottacere ma che va invece urlato.
La stessa Commissione Europea, nel documento di lancio della strategia energetica per il futuro del Continente, nota come 20-20-20 (20% di energie rinnovabili e taglio dei gas serra del 20% al 2020), emanato all'inizio del 2008, dice:
«Le tecnologie per le energie rinnovabili hanno già un fatturato di 20 miliardi di euro e hanno creato 300 000 posti di lavoro. Una quota del 20% di energie rinnovabili dovrebbe comportare per il 2020 la creazione di quasi un milione di posti di lavoro nel settore, un numero che potrebbe crescere se l'Europa utilizzerà il proprio potenziale per divenire un leader mondiale in questo campo. Inoltre il settore delle energie rinnovabili ha un'elevata intensità di mano d'opera; esso si basa su numerose piccole e medie imprese e distribuisce posti di lavoro e sviluppo in ogni angolo d'Europa: altrettanto vale per l'efficienza energetica degli edifici e dei prodotti».
E c'è anche un aspetto ideologico. A volte serve anche questo. L'energia rinnovabile è democratica e pacifista. E' una verità tanto banale quanto sconvolgente, capace di stravolgere gli equilibri geo-politici così come li conosciamo oggi: siccome il sole ce l'hanno tutti è impossibile scatenare una guerra per il sole. Sono già storia le guerre per il petrolio, non è impossibile prevedere una guerra per l'uranio, nessuno mai potrà fare una guerra per il sole o per il vento che muove le pale eoliche.
Con queste premesse la sfida risiede tutta nella capacità di creare presso l'opinione pubblica la consapevolezza delle reali potenzialità delle tecnologie rinnovabili. Conviene a molti mantenere in giro l'idea che le rinnovabili siano un giocattolo per ambientalisti "sognatori".
In questa maniera gli ingenti sussidi e incentivi che continuano a sostenere il nucleare e le fonti fossili (nell'incredibile silenzio della comunicazione ufficiale) possono rimanere dove sono.
Se invece si fa strada il concetto che il sole può dare (in un'ora arriva sulla terra l'energia consumata dall'umanità in un anno) e la tecnica è in grado di assorbire tutta l'energia necessaria a coprire l'intero fabbisogno globale, allora è ragionevole pensare che l'atteggiamento cambi.
Tale cambio di atteggiamento è, a detta di molti, l'unico strumento che potrà far crollare la barriera che ancora impedisce alla classe dirigente, soprattutto a quella italiana, di vedere quale direzione prendere per modernizzare davvero il Paese.
Bisogna riconoscere che i molti movimenti di opinione, i "comitati", che si oppongono alla realizzazione di quasi tutte le infrastrutture sul territorio potrebbero giocare un ruolo importante al riguardo.
Ragionando in positivo, un possibile denominatore comune dei "comitati" potrebbe allora essere quello di funzionare da catalizzatori verso le scelte virtuose di cui si parlava più sopra. Se si riesce a rendere fattibile ed efficace il modello di generazione distribuita previsto ad esempio dal Piano Energetico Ambientale Regionale delle Marche, con lo slogan "produrre energia dove serve, quanta ne serve e quando serve" allora la strada verso le energie rinnovabili è in discesa.
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NOTE
assessore all'Ambiente Regione Marche
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