mercoledì 30 luglio 2008

Tricastin: è psicosi nucleare: evacuata la centrale ma è un falso allarme

Tricastin: è psicosi nucleare: evacuata la centrale ma è un falso allarme

Il Messaggero del 30 luglio 2008, pag. 12

di Francesca Pierantozzi

Suona la sirena per la terza volta in tre settimane al reattore numero quattro della centrale di nucleare di Tricastin. Questa volta è un falso allarme, ma ormai in Francia il riflesso è automatico, e l’informazione ha fatto in pochi minuti il giro dei siti internet e delle televisioni, alimentando preoccupazioni e polemiche che le autorità si sgolano - spesso senza riuscire a farsi sentire - a definire «infondate». Ieri mattina alle 9 e mezzo in realtà non è successo niente alla centrale di Tricastin, dove il 7 luglio si erano riversati 74 chili di uranio nelle circostanti falde acquifere e dove il 23 luglio cento operai sono stati contaminati («leggermente», è stato più volte precisato) da una fuoriuscita di cobalto 58. L’allarme è scattato «accidentalmente» ha poi spiegato, con qualche ora di ritardo, l’ente elettrico Edf. Il sito dell’autorevole settimanale «Nouvel Observateur» ha per primo dato la notizia: «nuovo incidente».L’allarme scattato per sbaglio è stato comunque preso sul serio anche alla centrale. Sono 127 le persone evacuate immediatamente dal sito, 45 sono state portate in infermeria, «due risultano contaminate a livelli molto deboli da sostanze radioattive», conferma in un primo momento Jean Girardi, un ingegnere della centrale intervistato in diretta da Lei, la Cnn francese che interrompe i notiziari per seguire in diretta il presunto «nuovo incidente». Soltanto l’Agenzia nazionale France Presse ha mantenuto il silenzio, fino al tardo pomeriggio, quando ha diffuso la smentita ufficiale da parte di Edf: «niente paura, nessun incidente».


martedì 29 luglio 2008

Nucleare Se dentro l’energia si nasconde un demone

Nucleare Se dentro l’energia si nasconde un demone

La Repubblica del 29 luglio 2008, pag. 36

di Maurizio Ricci

E’ il nucleare la risposta alla crisi dell’energia?Anzitutto, bisogna capire di cosa stiamo parlando. Se il problema è il pieno della vostra macchina, il nucleare non può fare nulla. L’Italia potrebbe essere lastricata di centrali atomiche, ma, fino a quando non ci saranno in giro centinaia di migliaia di auto elettriche, il problema del pieno resterà il problema del petrolio, che è una partita diversa e indipendente dal nucleare. L’energia che può fornire l’atomo, invece, è l’elettricità. E, pur se non serve per auto e aerei, anche l’elettricità che alimentai vostri condizionatori, le vostre lampadine, i vostri televisori è un problema fondamentale dei prossimi decenni. Secondo l’Aie, l’agenzia per l’energia dell’Ocse, l’organizzazione che raccoglie i paesi industrializzati, i consumi di elettricità sono destinati a raddoppiare o triplicare, da qui al 2050. Ma nessuno sa come produrre questi kilowatt. Il gas, che è oggi il combustibile cui più si ricorre per far funzionare le centrali, ha riserve, anch’esse, limitate e fornitori (Russia, Algeria, Qatar, Iran) che molti ritengono poco affidabili. Soprattutto, il gas produce anidride carbonica. Nessuna lotta all’effetto serra sarebbe possibile, con un ricorso sempre più massiccio al metano.



Secondo molti, questo fa del nucleare una ricetta vincente. Il combustibile che alimenta le centrali costa relativamente poco e l’impianto non produce neanche un grammo di Cot. Ma quella ricetta è, probabilmente, solo un’illusione. In uno scenario, disegnato dalla stessa Aie per far fronte ai bisogni di elettricità al 2050, si ipotizza un contributo del nucleare, con la costruzione di un migliaio di nuove centrali (metà destinate a sostituire quelle oggi già in funzione), al ritmo di una trentina l’anno. Una corsa mozzafiato: secondo Charles Ferguson, dell’autorevole Council for Foreign Relations americano, l’ingorgo di appalti e commesse che ne deriverebbe farebbe salire i costi delle centrali a livelli insostenibili. In più c’è il problema uranio. Gli impianti nucleari ne consumano poco, ma, anche così, ai ritmi attuali di produzione, le riserve mondiali durerebbero 70 anni. Con un numero doppio di centrali, si esaurirebbero in 30-40 anni, lasciando a secco i reattori. Infine, anche mille centrali nucleari ridurrebbero la Cot nell’atmosfera solo del 6 per cento.



Se l’atomo non è la bacchetta magica per risolvere il problema elettricità, questo non significa che non possa fornire un contributo più limitato, ma significativo. Anche perché, accanto al costo del combustibile e all’assenza di effetto serra, il nucleare ha un terzo punto di forza: è un matrimonio perfetto con le energie rinnovabili. Vento e sole producono molta energia, quando c’è molto vento o molto sole. Zero, quando non ce n’è. Per far funzionare, in qualsiasi condizione, condizionatori e televisori devono, perciò, essere affiancate da una fonte di energia in grado di fornire uno zoccolo di produzione costante, come quella delle centrali nucleari. Per celebrare questo matrimonio, però, l’atomo dovrebbe superare due ostacoli che, da decenni, gli appesantiscono il decollo. Il primo è la sicurezza. I nuovi reattori sono molto più sicuri di quelli costruiti negli anni’80: meno incidenti, molto più limitati. Mail concetto di sicurezza, per il nucleare, non è lo stesso che si applica agli altri impianti. Una centrale a gas che esplode si traduce in una palla di fuoco che incenerisce centinaia di metri tutto attorno e, forse, provoca qualche decina di vittime. Punto: il disastro si ferma qui. Un incidente in un impianto nucleare ha molte meno probabilità di verificarsi, ma quella probabilità minima potrebbe avere effetti catastrofici a livello globale. Ne abbiamo avuto un piccolo assaggio, in questi giorni, alla centrale francese di Tricastin, dove un modesto incidente ha fatto scattare, fra l’altro, l’allarme falde acquifere, con il divieto di utilizzare l’acqua potabile. La possibilità di una fuoriuscita radioattiva sarà remota, ma i suoi effetti imprevedibili, incontenibili, devastanti. Il secondo problema sono le scorie, il residuo del lavoro del reattore. Nonostante 440 centrali operanti nel mondo, nessuno ha ancora risolto il problema del loro stoccaggio. Le soluzioni trovate finora sono solo temporanee. Ad un costo di cui si parla poco, ma che è pesante. L’Italia sta spendendo 300 milioni di euro (cioè il 15 per cento di quanto costerebbe, nel caso più ottimistico, una nuova centrale) solo per sistemare provvisoriamente le scorie prodotte dai piccoli impianti atomici, in funzione negli anni ‘80, a Trino, a Caorso, a Latina. Paesi con realtà nucleari più importanti, come la Gran Bretagna, si trovano di fronte ad una bolletta di 100 miliardi di euro per la sistemazione delle centrali ormai obsolete.



Allora, il nucleare è un vicolo cieco? Niente affatto. I reattori attualmente allo studio, quelli di quarta generazione, dovrebbero risolvere almeno due dei problemi che incontra oggi una strategia nucleare. Siccome utilizzano più a fondo il combustibile, hanno bisogno di meno uranio e producono meno scorie. Il problema è che non saranno, probabilmente, disponibili prima del 2030. Troppo tardi, per chi pensa che sia necessario affrontare il probabile buco di elettricità disponibile, già con le centrali nucleari nel 2020. Troppo presto, per chi pensa che quelle centrali del 2020 diventerebbero obsolete nel giro di soli dieci anni.



Ma c’è un altro inciampo sulla strada del nucleare subito e comunque. E non ha niente a che vedere con le paure per la salute e le preoccupazioni per l’ambiente. E’ il costo della strategia nucleare. In termini economici, infatti, i punti di forza del nucleare si traducono in debolezze. In una centrale a gas il costo fondamentale è quello del carburante, che incide solo per il 5 per cento nel bilancio di una centrale atomica. Il parametro fondamentale, in questo caso, è il costo di costruzione: il reattore deve vendere i suoi kilowattora ad un prezzo sufficiente a ripagare l’investimento fatto per costruirlo. Qual è questo investimento? La cifra che circola fra gli industriali del settore è ancora di 2 miliardi di euro per una centrale da 1000 Megawatt. Ma uno dei più importanti fra loro - Wulf Bernotat, leader di E.On, uno dei giganti europei del settore - dichiara che il costo reale è, ormai, quasi il doppio: 3,5 miliardi di euro. Secondo Moody’s, una delle agenzie di rating che sarà cruciale nel rendere disponibili i finanziamenti delle nuove centrali, è di 4,6 miliardi di euro. Secondo un gigante americano, impegnato nella progettazione di nuove centrali, Florida Power&Light, si arriva a 5,2 miliardi di euro. Qui, il problema non è soltanto se l’Italia, per dotarsi di dieci centrali da 1000 Megawatt, debba impegnare 20, 35, 46 o oltre 50 miliardi di euro. Il punto è che quel costo vincolerà anche le future bollette. Una centrale nucleare è, economicamente, rigida. Non si può spegnere, come un impianto a gaso eolico: deve sempre funzionare al 90-95 per cento della capacità e vendere la sua produzione ad un prezzo sufficiente a ripagare l’investimento, almeno per 15-20 anni. Altrimenti, va in perdita, come è successo per le centrali inglesi, arrivate alla bancarotta negli anni ‘90. Infatti, i sostenitori del nucleare cominciano a parlare della necessità di assicurare "stabilità dei prezzi". In un mondo, quello dell’energia, in continua evoluzione (sole, vento, carbone pulito) è un impegno difficile da onorare. Presuppone un accordo tra i produttori (cioè un cartello) o un calmiere statale (una nazionalizzazione mascherata). Può darsi che, alla fine, il kilowattora nucleare si riveli il più economico. Ma potrebbe anche rivelarsi il più costoso, fuori mercato. Dopo la sicurezza e le scorie, è la terza scommessa che il nucleare deve vincere.



sabato 26 luglio 2008

Tricastin, lo sfogo degli operai "Troppi silenzi su quell’ incidente”

Tricastin, lo sfogo degli operai "Troppi silenzi su quell’ incidente”

La Repubblica del 25 luglio 2008, pag. 13

di Paolo Griseri

La paura è roba da italiani apprensivi, gente mediterranea che ha la sceneggiata nel dna: «Io non ho paura. Se ce l’avessi crede che lavorerei da 35 anni nelle centrali? Prima in quella delle Ardenne, poi in questa che è uno dei siti nucleari più grandi del mondo? La verità è che ogni lavoro ha i suoi rischi. 1 piloti di formula uno rischiano di più. Qui nessuno ha paura. E da voi, in Italia?». Marcel, 58 anni, dell’Italia conosce solo Berlusconi («spero che lei non sia d’accordo con lui») e poco altro. Ma si stupisce all’idea che 200 chilometri a est del sito nucleare di Tricastin, oltre la barriera delle Alpi, ci sia chi si spaventa per «un leggero incidente, di quelli che capitano spesso durante la manutenzione annuale dei reattori». E spiega l’allarme con il numero dei contaminati: «L’incidente, in sé, non è grave. Ma certo, 97 persone coinvolte sono un numero rilevante».



Qui, a pochi passi dall’autostrada del sole del francesi, quella che collega Parigi a Marsiglia, il nucleare è, nonostante tutto, un’attrazione turistica. E anche oggi, malgrado le notizie non proprio incoraggianti che escono dall’autoradio, ci sono le famigliole che fanno la coda per entrare a visitare una delle meraviglie dell’industria energetica francese. Sul piazzale davanti al cancello della centrale staziona un tir attrezzato per donare il sangue: anche l’associazione dei donatori della regione del Rhone-Alpes non si preoccupa troppo degli effetti delle contaminazioni. E i dipendenti di Edf approfittano della pausa pranzo per compiere il loro gesto di generosità. Il reattore numero 4 della centrale Edf di Tricastin è andato in tilt alle 9,30 di mercoledì: «Una guaina difettosa nell’impianto, una pressione eccessiva nel circuito e la polvere radiottiva ha contaminato i lavoratori che si trovavano nei dintorni», spiegala portavoce della direzione. Che aggiunge dati rassicuranti: «Incidenti di questo tipo accadono, ogni tanto. Ma noi ci preoccupiamo molto della prevenzione. Pensi che dal 1992 a oggi la percentuale di incidenti è scesa dal 14,3 per cento al 4,6 per cento a parità di ore lavorate». Mercoledì mattina sono stati i segnalatori di radioattività a dare l’allarme. E immediatamente sono state portate in infermeria 129 persone. Ma già ieri pomeriggio una parte dei 97 lavoratori risultati contaminati era tornata al lavoro nel reattore.



Tutto tranquillo? Philippe parla protetto dall’anonimato. E uno dei 97 contaminati di mercoledì mattina: «A un certo punto - ricorda - è scattato l’allarme. Siamo andati tutti di corsa a fare la doccia. Ma per diverso tempo abbiamo chiesto di sapere che cosa era successo senza avere risposte soddisfacenti. Poi, intorno alle 14, è arrivato il medico e ci ha visitati. Il problema è che in queste centrali lavoriamo troppo in fretta anche per fare operazioni delicate come quelle della manutenzione. Questo spiega gli errori e gli incidenti».



Virginie Neumayer è la delegata sindacale della Cgt. Lavora a Tricastin da dieci anni. E’ appena uscita dall’incontro con i vertici di Edf. E lancia accuse pesanti: «Ormai c’è una corsa sfrenata ad affidare parti anche delicate del processo produttivo a lavoratori precari di ditte esterne. Persone che non hanno la preparazione necessaria a compiere operazioni delicate come la manutenzione annuale di un reattore. Abbiamo chiesto una trattativa nazionale sul problema del lavoro in subappalto nelle centrali francesi. E a Tricastin chiediamo un monitoraggio medico continuo sui lavoratori contaminati fino a quando non tornerà la normalità».

giovedì 24 luglio 2008

«Quantità di radiazioni e distanza: ecco la mappa del pericolo»

«Quantità di radiazioni e distanza: ecco la mappa del pericolo»

Corriere della Sera del 24 luglio 2008, pag. 16

di Mario Pappagallo

Incidente nucleare, nube radioattiva, contaminazione di acqua e suolo. Torna alla mente l’incubo del dopo Cernobyl: la paura di restare colpiti dagli effetti a distanza della dispersione nell’atmosfera di sostanze radioattive che possono danneggiare la salute anche dopo anni. Per fortuna gli ultimi incidenti, in Slovenia e in Francia, sono molto limitati. Nessun pericolo per la salute dei cittadini.



Ma che cosa sarebbe accaduto se la nube radioattiva fosse andata in giro come nel caso di Cernobyl o se fosse stata contaminata la falda acquifera? «In questo tipo di incidenti - spiega Roberto Orecchia, radioterapista allo leo di Milano - vengono emessi nell’aria o nell’acqua diversi isotopi radioattivi.



Alcuni decadono subito, altri persistono negli anni e sono causa di gravi effetti sulla salute. Per esempio: il cesio perde metà della sua pericolosità in 3o anni, mentre l’uranio addirittura ce ne mette 1.500».



Nel momento dell’incidente tutto dipende dalla quantità di radiazioni. Di solito, nei casi gravi, nel raggio di’ 3oo metri dal luogo dell’emissione i livelli di esposizione superano la dose massima tollerabile dall’uomo: 8 gray (l’unità di misura della radioattività assorbita), che è quella oltre la quale il 50% degli esposti muore. O subito per l’incidente o in base alla dose delle radiazioni: danni alla mucosa che riveste stomaco e intestino (8-10 gray) a partire da 3 giorni dopo l’esposizione; danni all’apparato che produce le cellule del sangue, il midollo osseo (in 3-4 giorni si azzerano i globuli bianchi e non vi sono più difese immunitarie, in 7-8 giorni si abbassano le piastrine e le emorragie si susseguono, in 10-12 giorni calano i globuli rossi).



E oltre i 300 metri? Risponde Orecchia: «Di solito i disturbi non sono letali: i danni all’organismo si possono curare». Può aumentare l’incidenza delle neoplasie a carico del sangue (leucemie e linfomi) dopo 6 anni dall’esposizione, dei tumori solidi (alla tiroide) dopo 8-15 anni. Altri organi sensibili sono mammella e polmone. Per la popolazione i rischi vengono dai cibi e dall’aria che si respira, dopo la contaminazione radioattiva. I bambini fino a io anni sono i più a rischio (leucemia).

Un Paese colabrodo, 4 incidenti in tre settimane

Un Paese colabrodo, 4 incidenti in tre settimane

L'Unità del 24 luglio 2008, pag. 10

di Davide Vannucci

Adesso è ufficiale: il nucleare sicuro è un ossimoro e il sistema francese un vero e proprio colabrodo. Quattro incidenti nel giro di sedici giorni. La centrale di Tricastin, nel Sud-Est del Paese, vicino ad Avignone, a duecento chilometri dall’Italia, ha la stessa consistenza di una groviera. La questione diventa grave se si pensa che Tricastin rappresenta il cuore del nucleare francese. Il sito raggruppa una serie di impianti gestiti da due colossi dell’economia d’Oltralpe, Areva e Edf. Le strutture, dispiegate in ben quattro comuni, rappresentano una delle maggiori centrali del mondo, con una estensione su 600 ettari e circa 5000 impiegati. A Tricastin si fabbrica combustibile nucleare dalla fine degli anni Settanta. Ma l’incidente di ieri conferma che la sicurezza, da quelle parti, è una parola sconosciuta. Lo scorso 7 luglio c’era stata una fuga di acqua contenente 75 chili di uranio in un impianto gestito dalla Socatri, una filiale del gruppo Areva. Il liquido si era riversato nei fiumi circostanti. Inizialmente c’era stata una corsa a minizzare. Alla popolazione era stato chiesto soltanto di non bere acqua e di non mangiare pesce per motivi di precauzione. Poi, quattro giorni dopo, l’Autorità per la Sicurezza Nucleare (ASN) aveva chiesto alla Socatri di sospendere le attività del sito di trattamento. Un’ispezione dell’Autorità aveva riscontrato che «le condizioni della centrale durante l’incidente presentavano delle irregolarità» e aveva parlato di «una serie di disfunzioni e negligenze umane inaccettabili».



L’atomo d’Oltralpe aveva subito un altro duro colpo venerdì scorso, quando a Romans-sur-Isère, sempre nel Sud-Est del Paese, la rottura di una condotta aveva portato alla fuoriuscita di uranio. Una quantità marginale, qualche centinaio di grammi, un incidente interno, circoscritto, senza alcun rischio di contaminazione, perché le falde freatiche dell’area sono situate in profondità, in un terreno fortemente impermeabile. Ma, in ogni caso, una sconfitta per i fautori del nucleare pulito e sicuro. Che aveva allarmato il ministro dell’Ecologia, Jean-Louis Borloo, il quale aveva promesso un’indagine su tutte le falde acquifere vicine alle 58 centrali francesi.



Sempre venerdì scorso, sempre nell’Isère, c’era stato un altro incidente, su cui le autorità avevano taciuto. La coltre di silenzio era stata spezzata lunedì dal quotidiano Dauphin Liberé, che aveva raccontato come nell’impianto nucleare di Saint Alban, di proprietà della Edf, ci fosse stata una fuga radioattiva durante un intervento di manutenzione. Quindici operai erano stati contaminati per cause ancora da chiarire. Anche in questo caso, come ieri a Tricastin, i livelli di contaminazione erano risultati inferiori al limite previsto dal regolamento.



Un incidente ogni quattro giorni non è solo una percentuale che smentisce le magnifiche sorti dell’atomo e dovrebbe indurre a una riflessione seria sulla politica energetica. Crea anche un notevole danno d’immagine. Così i produttori del «Coteaux de Tricastin», un prestigioso vino a denominazione di origine controllata del Midi francese, hanno deciso di correre ai ripari. Dopo l’ennesimo incidente, la parola Tricastin non si può certo associare a un’idea di genuinità e buon gusto. Probabilmente il vino cambierà appellativo entro il 2009, in tempo per la vendemmia. Chissà che non sia un buon bicchiere di vino a far cambiare idea chi sta a Parigi. E a Roma.

"Impianti vecchi, scorie, terrorismo i francesi sono seduti su una bomba”

"Impianti vecchi, scorie, terrorismo i francesi sono seduti su una bomba”
La Repubblica del 24 luglio 2008, pag. 3

di Antonio Cianciullo

«Poche settimane fa, mentre volavo con mia moglie su Parigi pensavo: "I francesi sono seduti su una bomba a orologeria, devono disinnescarla". Quello che ora sta avvenendo conferma, purtroppo, la mia convinzione». Jeremy Rifkin, il profeta dell’era dell’idrogeno, commenta dal suo studio di Washington l’accavallarsi degli incidenti nucleari nel paese dotato delle tecnologie atomiche più affidabili.



Dietro la moltiplicazione degli allarmi c’è un fattore strutturale? C’è l’invecchiamento di un parco centrali nato assieme al sogno della force de frappe?

«Il problema è doppio. Da un lato pesala decisione, non solo in Francia, di allungare la vita media delle centrali per evitare, a fronte di una difficoltà crescente nel costruire nuovi impianti, il crollo della produzione elettrica del settore. A questo punto non si può più pensare che la minaccia venga solo da Est, il rischio riguarda tutta l’Europa. Ma c’è poi un altro fattore strutturale che viene spesso taciuto: l’elenco dei mal funzionamenti e dei guasti nelle centrali nucleari è lunghissimo anche nel caso di reattori nuovi perla semplice ragione che queste macchine non sono sicure. E che le probabilità di un incidente catastrofico non vanno trascurate».



Eppure, per molti anni, i francesi hanno vissuto tranquillamente a fianco dei loro 59 reattori.

«E si possono considerare fortunati per essere arrivati fino a oggi contando solo incidenti di livello non molto grave. Anche perché bisogna tener conto di un fatto fondamentale: il rischio non è legato solo a problemi di funzionamento dei reattori. C’è il trasporto. C’è l’accumulo di una enorme quantità di scorie che resteranno pericolose per ere geologiche. C’è il pericolo terrorismo, che non è solo teorico, come il piano d’attacco recentemente sventato in Australia dimostra. Io temo che il prossimo 11 settembre riguardi una centrale nucleare: l’esposizione è troppo alta e cresce con il crescere del numero dei reattori».



La nuova serie di incidenti è stata data con buona evidenza dalla stampa francese. Vuol dire che qualcosa sta cambiando nell’opinione pubblica?

«Sì, è un processo iniziale ma già netto. Anche perché la Francia si sta concretamente interrogando sul suo futuro e sul ruolo dell’Europa nella grande partita energetica che oggi si è aperta sotto la spinta potente di due fattori inarrestabili: il cambiamento climatico e la crescita del prezzo del petrolio. I combustibili fossili appartengono al passato: il ventunesimo secolo avrà un altro segno e chilo capirà prima ne trarrà anche un vantaggio economico».



C’è chi sostiene che proprio per combattere il cambiamento climatico occorra far ricorso al nucleare.

«Il nucleare è la tecnologia della guerra fredda. Appartiene a un mondo diviso in due in cui gli equilibri erano segnati dal terrore e da una struttura energetica centralizzata figlia, anche economicamente, di quella logica militare. Il secolo che si è appena aperto è il secolo della terza rivoluzione industriale. Il secolo di Internet e dell’energia dolce che viene prodotta dal basso, nei quartieri, nelle case, mettendo in rete, in entrata e in uscita, i flussi dell’informazione e dell’energia. E’ un modello decentrato, democratico, più affidabile sia dal punto di vista dei costi che da quello dell’indipendenza della produzione».



Non le sembra un’utopia in un mondo che lotta disperatamente per il controllo dell’ultimo barile di petrolio?

«Guardi, un segnale di grande speranza viene proprio dalla Francia. Il 13 luglio, a Parigi, è stato firmato l’accordo per la costituzione dell’Unione euro mediterranea dell’energia solare. E’ un evento epocale, che fa pensare al momento in cui un piccolo gruppo di grandi sognatori fondò la Comunità europea per l’acciaio e per il carbone. Quell’atto cambiò il futuro del continente e oggi l’Europa è chiamata a un salto analogo».



Eppure il presidente francese ha rilanciato l’ipotesi nucleare.

«C’è una lotta tra il passato e il futuro. Ma, con la decisione di Nicolas Sarkozy di lanciare l’Unione euro mediterranea dell’energia solare, la Francia ha compiuto una mossa strategica indicando un progetto vincente: usare il potenziale tecnologico della sponda Nord del Mediterraneo per rendere utilizzabile l’enorme quantità di energia solare disponibile sulla sponda Sud e sulla sponda Est. L’Unione euro mediterranea dell’energia solare è il primo pilastro di questo grande progetto. Si tratta di poggiare gli altri: l’idrogeno per immagazzinare l’energia del sole, le reti intelligenti per diffonderla, gli edifici bioclimatici per catturarla. Ma la direzione è quella giusta. Chi avesse ancora dubbi guardi cosa sta succedendo nell’altra Francia: quella del nucleare».

Il governo chieda chiarimenti alla Ue” l’opposizione contro il piano italiano

Il governo chieda chiarimenti alla Ue” l’opposizione contro il piano italiano
La Repubblica del 24 luglio 2008, pag. 3

di Stefania Culurgioni

Non è servito a neutralizzare le polemiche quell’avverbio "leggermente", riferito al livello di contaminazione dei cento operai francesi. L’incidente che si è verificato ieri nella centrale nucleare di Tricastin ha scaldato l’opposizione. Che ha espresso forti preoccupazioni per quanto accaduto e rinfocolato le polemiche contro la proposta del governo di riesumare il nucleare anche in Italia.



A scagliarsi per primo contro un possibile ritorno all’energia atomica è stato Antonio Di Pietro: «Questo incidente dimostra che il nucleare è un’energia pericolosa e obsoleta - ha affermato il leader dell’Idv- Il Pdl deve tornare subito sui suoi passi e ritirare la proposta di usarlo di nuovo. Quello che serve è invece investire in energie alternative e pulite di cui, tra l’altro, l’Italia è ricca».



Un no senza mediazione al quale, in serata, si è aggiunto anche quello dell’ex ministro dell’ambiente Pecoraro Scanio: «Si tratta di un vero e proprio allarme nucleare. Quattro incidenti a centrali atomiche nel Paese più attrezzato dal punto di vista tecnico dimostrano quanto sia rischioso il ritorno all’atomo. Se il governo non rinuncerà a questa follia lavoreremo per promuovere un nuovo referendum».



Reazioni dure anche dal Partito Democratico. «Più che una centrale sembra un colabrodo - ha detto il senatore Roberto Della Seta riferendosi al fatto che quello di ieri è il terzo incidente nello stesso impianto nel giro di due settimane. «Il fatto resta di una gravità inaudita e mette a rischio la vita di migliaia di persone, ma soprattutto chiediamo che le autorità italiane si attivino subito per fare gli opportuni controlli. La regione di Vaucluse, infatti, è molto vicina all’Italia e in particolare alla Liguria».



Alla richiesta di chiarimenti si è aggiunto anche Ermete Realacci, ministro dell’ambiente del governo ombra del Pd: «Uno dei problemi che il nucleare porta con sé è la mancanza di trasparenza ha commentato - chiediamo al Ministro dell’Ambiente e al governo italiano di chiedere urgentemente all’Aiea di spiegare quanto è accaduto in Francia».



Per evitare, come spiega il segretario del Pcdi Oliviero Diliberto, che si commettano gli stessi errori: «Il nucleare è pericoloso anche se si minimizza e si dice leggermente contaminati. E poi è un pessimo affare: i costi della sicurezza sono alti, il combustibile che sarebbe disponibile solo per altri 70 anni prima di finire e le scorie che nessuno sa dove mettere. Questo governo non può riaprire una questione che gli italiani hanno saggiamente chiuso 20 anni fa».

Quei 25 reattori e i pericoli per l’Italia

Quei 25 reattori e i pericoli per l’Italia

La Repubblica del 24 luglio 2008, pag. 2

di Elena Dusi

Entro duecento chilometri dai nostri confini ci sono 25 reattori nucleari (ma una centrale può avere più di un reattore). Autorità di controllo, sistemi di allerta rapida, strumenti per il monitoraggio continuo della radioattività sono lo scudo dietro al quale l’Italia cerca di proteggersi dal "pericolo atomico", percepito come una minaccia anche dopo essere stato bandito in casa.



Francia, Svizzera, Germania e Slovenia: lungo l’arco alpino si snodano le centrali che, volenti o nolenti, dobbiamo considerare anche nostre. Le più vecchie risalgono agli anni ‘70 e sono addirittura antecedenti a Chernobyl, in cui il primo reattore fu "acceso" nel 1977. «L’invecchiamento degli impianti è una possibile spiegazione di questi allarmi in serie» secondo Roberto Mezzanotte, responsabile dei controlli nucleari dell’Apat, Agenzia per la protezione dell’ambiente. Se la centrale di Tricastin (4 reattori più vari impianti di trattamento del combustibile) risale al 1980, in Francia altri 3 siti nucleari su un totale di 22 sono stati messi in moto prima di quella data. In Germania 6 centrali su 18 risalgono agli anni ‘70, e il loro pensionamento è previsto al massimo entro il 2011. La Svizzera ha addirittura 3 reattori su 5 realizzati a cavallo tra il 1969 e il 1971. E perla centrale più vecchia, quella di Beznau, la chiusura dei battenti è prevista solo nel 2019. In Slovenia l’impianto di Krsko (il più vicino in assoluto ai confini italiani, protagonista all’inizio di giugno di un allarme che poi è stato ridimensionato) ha cominciato a iniettare energia nella rete elettrica nazionale nel 1981.



Sull’invecchiamento delle centrali altrui, l’Italia non ha alcun diritto di intervento. L’unica strategia è il monitoraggio dei propri confini. «Le anomalie di questi ultimi mesi sono state molte - spiega Mezzanotte - ma in nessun caso i nostri strumenti hanno rilevato alcunché di anomalo». Gli incidenti nucleari sono classificati secondo una scala da zero a sette. «E per far scattare il piano di emergenza in Italia occorre che un incidente avvenuto all’estero raggiunga il grado più alto, quello di "catastrofe"». I sistemi di controllo di oggi sono figli della lezione di Chernobyl (unico precedente di "catastrofe" in Europa). Oltre ai due sistemi di allerta rapida attivi nella Ue (E-curie) e a livello mondiale (Aiea), l’Italia sfrutta una rete di stazioni che "sniffano" l’aria in continuazione. Le brezze dei mari e la tramontana dalle Alpi portano alle sentinelle dell’Apat le tracce di un’eventuale radioattività anomala. «Da Trieste, Torino, il monte Cimone, Capo Caccia in Sardegna, il Gargano e Portopalo di Capo Passero, l’estremità più meridionale dell’Italia, i sensori dell’Apat misurano le particelle dell’aria e trasmettono i dati al centro di controllo di Roma», spiega Mezzanotte. «Siamo attrezzati perfino per rintracciare un satellite magari caduto dal cielo con i suoi apparecchi alimentati a energia nucleare.

Tricastin, cento operai contaminati da cobalto

Tricastin, cento operai contaminati da cobalto

La Stampa del 24 luglio 2008, pag. 5

di Francesco Spini

Tricastin, di nuovo. E gli incidenti nucleari in terra francese, nel giro di due settimane, diventano quattro. Teatro dell’ultimo, accaduto ieri mattina, è ancora la centrale protagonista della prima fuga di materiale pericoloso della ormai lunga serie: 100 operai che stavano lavorando al reattore numero 4, fermo per manutenzione, sono stati coinvolti in una fuga di materiale radioattivo, cobalto 58, e sono risultati «leggermente contaminati». L’allarme, all’interno della centrale provenzale a circa 160 chilometri dal confine italiano, viene lanciato alle 9 e 30 del mattino: vengono rilevate all’interno del sito dei livelli fuori dalla norma. Subito scatta la sirena e tutti i dipendenti sono allertati. «Nel corso di operazioni di manutenzione - spiega Alain Peckre, direttore della centrale nucleare di proprietà di Edf - è stata aperta una condotta all’interno dell’edificio dalla quale è sfuggita della polvere radioattiva».



Subito scattano le misure di sicurezza: 97 operai (parte di Edf, parte di imprese esterne) vengono evacuati dalla centrale e spediti in ospedale a fare le analisi del caso. Stesse precauzioni vengono prese per altri 32 lavoratori che avevano lasciato il luogo poco prima della fuga radioattiva. Alla fine i contaminati saranno 100: 39 in maniera quasi insignificante e altri 61 coinvolti in contaminazioni comunque inferiori «di quaranta volte il limite regolamentare».



Per gli operai, dunque, non ci sarebbero problemi immediati di salute. Tutti hanno potuto fare rientro a casa. Alle cronache l’incidente verrà consegnato come di livello zero - lo ha deciso ieri l’Autorità per sicurezza nucleare (Asn) -, in una scala di pericolosità che arriva fino a 7. Mentre Edf ha avviato un’inchiesta interna per capire le cause dell’incidente che, sostengono, «non ha conseguenze per la salute delle persone e per l’ambiente», la stessa Asn vuole vederci più chiaro. Tanto che, in maniera inusuale, ha annunciato per domani la pubblicazione di un «parere» sull’incidente, nonostante questo sia previsto solo per quelli classificati di «livello 1», come lo furono i precedenti di Tricastin e di Romans-sur-Isère.



Facile intuire il motivo di tanto attivismo: quattro incidenti nucleari dopo, la Francia è sotto choc. Il 7 luglio era stata proprio Tricastin a inaugurare la catena di incidenti. Allora non fu la centrale a dare problemi, ma uno stabilimento gestito dalla Socatri, del gruppo Areva (colosso statale, come Edf). Qui, a poco più di 100 metri dal reattore dove ieri è scattato l’allarme, durante una normale operazione di pulitura di vasche utilizzate per l’arricchimento dell’uranio, era sfuggito del liquido contenente 74 chili d’uranio che s’erano riversati nella Gaffière e nel ruscello Lauzon.



Per Bollène, Lapalud e Mondragon - i tre comuni sotto la maxi centrale, con le 2 ciminiere sbuffanti - iniziò un incubo. Pozzi e falde distanti anche 2 chilometri dal sito atomico risultarono contaminate da uranio. Si scoprirono 770 tonnellate di scorie tossiche sepolte alla bell’e meglio nel perimetro del sito. Tanto che il consorzio del «Coteaux di Tricastin», celebre rosso locale, vuole cambiare nome al vino.



Per Socatri, come per Edf, l’imperativo degli ultimi giorni era stato archiviare al più presto l’incidente del 7 luglio. C’erano quasi riusciti: ieri i prefetti della Drome e della Vaucluse volevano revocare il divieto di utilizzo dell’acqua in zona. Niente da fare, l’incubo non muore mai.

mercoledì 23 luglio 2008

NUCLEARE: DI PIETRO, GOVERNO SI FERMI IN TEMPO

NUCLEARE: DI PIETRO, GOVERNO SI FERMI IN TEMPO
Roma, 23 lug. (Adnkronos) - "Il nucleare non e' sicuro, lo abbiamo detto e lo ripetiamo. Il Governo si fermi in tempo e investa sulle fonti alternative e pulite, di cui l'Italia e' ricca, e partecipi ai finanziamenti per la ricerca sul nucleare di quarta generazione, che e' ben altra cosa". Lo afferma il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro commentando la notizia relativa alla contaminazione degli operai in Francia che e' "l'ennesima prova della gravita' della proposta avanzata dal Pdl" sul'atomo. "Questo - osserva - e' il risultato della moda del nucleare. A questo punto il Governo italiano non faccia piu' orecchie da mercante e ritiri la proposta che ha avanzato. Il nucleare e' un'energia pericolosa e obsoleta".

(Sec/Ct/Adnkronos)

23-LUG-08 21:29

FRANCIA: UE, DA PARIGI NESSUNA ALLERTA SU FUGA SITO TRICASTIN

FRANCIA: UE, DA PARIGI NESSUNA ALLERTA SU FUGA SITO TRICASTIN
Bruxelles, 23 lug. (Adnkronos/Aki) - "Al momento non sono stato informato di nessuna allerta al sistema Ecurie" da parte della Francia. E' quanto ha affermato Ferran Tarradellas, portavoce del commissario Ue all'Energia Andris Piebalgs, in merito alla nuova fuga di materiale radioattivo dalla centrale nucleare di Tricastin in Francia che ha leggermente contaminato 100 operai. Il portavoce si e' poi limitato a ricordare che spetta ai paesi membri, in base alla valutazione dell'incidente, decidere se allertare i partner Ue attraverso il sistema Ecurie, creato nel 1987 con lo scopo di informare gli stati europei in caso di emergenze.

(Cim/Ct/Adnkronos)

23-LUG-08 21:10

Fuga radioattiva in Francia, contaminati cento operai

romaoggi, 23 luglio 2008, link

Fuga radioattiva in Francia, contaminati cento operai
Sono tutte da chiarire le conseguenze di un incidente nucleare avvenuto in Francia nell'impianto di Triscatin dove già qualche giorni fa era avvenuta una fuoriuscita di liquido. Circa un centinaio sarebbero gli operai rimasti contaminati. La notizia è stata resa nota dalla direzione di EDF la società elettrica che gestisce la centrale nucleare. Il sito si trova a circa 200 chilometri dal confine con l'Italia,
mentre i lavoratori sono rimasti contaminati da Cobalto 58.



L'incidente viene definito dalle autorità "non grave" e l'azienda ha riferito che i dipendenti sono stati contaminati da elementi radioattivi fuoriusciti da una tubatura del reattore 4 "40 volte inferiori al limite regolamentare annuale".



Il direttore della centrale ha spiegato che in mattinata "un condotto è stato aperto nell'ambito delle operazioni di manutenzione e c'è stata una fuga di polvere radioattiva". Complessivamente gli operai portati in infermeria sono 129 di cui cento "sono state leggermente contaminate da elementi radioattivi quaranta volte inferiori al limite regolamentare annuale".

martedì 22 luglio 2008

Fuga radioattiva contamina quindici addetti in una centrale nucleare francese

Il Gazzettino, 22 luglio 2008
L’incidente svelato da un quotidiano locale. Anche questo sito è vicino al confine con l’Italia. Ennesimo episodio dopo lo sversamento di acqua e uranio a Tricastin
Fuga radioattiva contamina quindici addetti in una centrale nucleare francese
Parigi

Ancora problemi per le centrali nucleari francesi.

Venerdì scorso quindici operai sono stati leggermente contaminati da elementi radioattivi, in modo non pericoloso per la loro salute, nell'impianto gestito da Electricité de France (Edf) a Saint-Alban/Saint Maurice (Francia sudorientale) anche questa, pertanto, nei pressi del confine con l'Italia.

L'incidente, svelato solo ieri dal quotidiano regionale Le Dauphiné Liberé, non è stato classificato dall'Agenzia di sicurezza nucleare. «Questi lavoratori - ha precisato un responsabile di Edf - provenienti da imprese esterne, sono stati contaminati molto leggermente durante un intervento in un cantiere di manutenzione all'unità di produzione 2, attualmente chiuso per le verifiche decennali». Gli operai sono stati subito inviati al servizio medico dell'impianto, dove sono stati sottoposti a controlli medici che hanno rivelato l'assenza di residui radioattivi nel loro organismo. Edf ha comunque avviato «una serie di controlli per comprendere le circostanze dell'avvenimento».

È solo l'ultimo episodio di una serie di eventi che hanno interessato alcuni siti nucleari francesi a cominciare da quello di Tricastin dove all'inizio del mese si era verificato un riversamento di acque usate contenenti uranio nei fiumi vicini, affluenti del Rodano.

E la paura assedia l'impero dell'atomo

E la paura assedia l'impero dell'atomo

La Stampa del 22 luglio 2008, pag. 15

di Domenico Quirico

Per anni hanno condotto battaglie catacombali, snobbati, considerati dei menagramo che attentavano ai destini economici e energetici della nazione. L’antinucleare in Francia era (è) mestiere da irriducibili, disposti a risultare antipatici sia a destra che a sinistra. Persino i verdi qui non hanno mai affondato troppo i colpi: era politicamente produttivo annunciare alla gente che li si voleva lasciare al buio, orfani del provvidenziale nucleare inventato da de Gaulle e Pompidou. Insomma le 19 centrali in attività sono un elemento costitutivo della quinta Repubblica. Adesso che gli incidenti si moltiplicano con inquietante cadenza si rifanno sotto con i loro dossier terrificanti che i giornali hanno sempre spedito nei cassetti o ristretto nelle notizie a una colonna.



«Nel momento in cui si presenta il nucleare come la zattera di salvezza per l’indipendenza energetica, ad appena pochi giorni dall’annuncio della costruzione di una nuova centrale di terza generazione, gli incidenti a ripetizione ci ricordano una realtà semplice: il nucleare è energia inquinante pericolosa e mal controllata»: Frédéric Marillier, che di nucleare si occupa per Greenpeace France, snocciola meticoloso il rendiconto di tutti gli allarmi che l’organizzazione ha distribuito in questi anni e che provano questo inquinamento «normale», quotidiano quindi doppiamente pericoloso perché non fa scattare gli allarmi. E ricorda che l’impianto di riciclaggio di La Hague è autorizzato, legalmente, a disperdere ogni giorno in media 11 mila volte più di quanto successo a Tricastin, incidente che ha scatenato nuove paure. Controlli di Greenpeace che risalgono peraltro a due anni fa, proverebbero concentrazioni di 18 mila becquerele-litro, ovvero 180 volte più delle norme di tolleranza europee. Nel clima di entusiasmo sarkosista per il nucleare diventato il biglietto da visita delle ambizioni industriali e geostrategiche francesi le misure di controllo appaiono tardive e insufficienti: « Il governo e il presidente avrebbero dovuto pensarci prima di annunciare una nuova centrale di terza generazione - dice Marillier - è inaccettabile che si rilanci il nucleare quando ci si rende conto che non si controlla perfettamente questa tecnologia». Nonostante le battaglie dei nemici dell’atomo, la parola d’ordine resta: «le centrali francesi sono le più sicure del mondo».







E’ il problema dei controlli quello che solleva i maggiori allarmi. Si ricorda ad esempio che sui residui radiottivi la legge francese è sempre arrivata in ritardo rispetto alle scoperte della loro pericolosità. Negli anni cinquanta l’autorevole Commissariato per l’energia atomica consigliava di affondarli negli oceani; e a Tricastin ancora negli Anni ‘70 li si copriva con una sottile mantello di terra. Solo per nasconderli alla vista. Nel 2006 l’autorità di sicurezza nucleare è diventata il gendarme con competenza su tutta la materia. Autorità tutt’altro che incontestata, come successo anche per l’incidente a Socatri dove è stata accusata di aver agito tardivamente. Gli fa da contraltare l’attiva e petulante Commissione di ricerca e informazione indipendente sulla radiottività (Criirad). Creata dopo Chernobil da un gruppo di scienziati amici con molte inquietudini : indagano e controanalizzano con puntualità fastidiosa perché non vogliono essere trattati «da sottocittadini cui si nasconde tutto».



Thierry Charles dirige la sezione sicurezza degli impianti all’Istituto di radioprotezione e di sicurezza nucleare (Itsn). Preferisce attenuare gli allarmismi e sottolineare il basso livello degli incidenti. «Vengono registrati ogni anno in Francia un centinaio di incidenti di questo tipo classificati al livello 1 nella graduatoria internazionale di rischio. Questo sì sarebbe anormale, e non avviene in alcun caso, se fossero nascosti. Ogni attività industriale è soggetta a incidenti e il nucleare non scappa alla regola. Siamo semplicemente davanti a eventi simili avvenuti, per caso, quasi nello stesso momento».

Francia, terzo incubo nucleare

Francia, terzo incubo nucleare

La Stampa del 22 luglio 2008, pag. 15

di Francesco Spini

Terzo allarme nucleare francese in due settimane. Dopo Tricastin e Romans-sur-Isère, al centro della scena irrompe la centrale di Saint-Alban. Una quindicina di operai esterni che stavano lavorando presso il sito nucleare a cavallo dei comuni di Saint-Alban e Saint-Maurice, 50 chilometri a sud di Lione, è risultata contaminata da materiale radioattivo. L’incidente risale a venerdì, stesso giorno in cui si era registrata la perdita di liquido radioattivo all’interno dello stabilimento di Fbfc-Cerca di Romans-sur-Isère, ma è stata resa nota soltanto ieri, quando un giornale regionale, Le Dauphiné Libere, ha riportato la cronaca dell’accaduto.



Quasi sorpresa la reazione dei responsabili della centrale, che appartiene al colosso statale dell’energia francese Edf, di fronte al clamore suscitato dalla nuova contaminazione. «Questo incidente - spiegano - non ha nulla in comune con gli altri due, non è nemmeno stato classificato dall’Autorità per la sicurezza nucleare, l’Asn, che noi abbiamo avvertito per ragioni di trasparenza, così come abbiamo avvisato il vice-prefetto e i sindaci dei comuni».



Casuale la scoperta della contaminazione. La centrale di Saint Alban ha due reattori. Il numero 2 è stato fermato a fine marzo per permettere il suo secondo check up decennale, durante il quale viene sottoposto a migliaia di verifiche (ne sono previste circa 6 mila) per procedere alle opere di manutenzione e ristrutturazione. Quasi 1.600 gli operai esterni coinvolti nelle operazioni, che al termine di ogni lavoro all’interno del sito nucleare vengono sottoposti a controlli sanitari. Ecco: quindici di loro sono risultati «leggermente contaminati» da materiale radioattivo. Una volta compresa la situazione, spiegano sempre dalla centrale, i quindici sono stati «indirizzati al servizio medico del sito nucleare per procedere a controlli supplementari». I risultati di queste ulteriori analisi «mostrano segnalano gli uomini di Edf che tali tracce di contaminazione interna sono inferiori a un centesimo del limite regolamentare», tanto che le persone coinvolte hanno potuto fare immediatamente rientro alle loro case al termine della giornata lavorativa.



La notizia, ovviamente, ha suscitato nuovi timori nel Sud Est della Francia, dove si sono concentrati gli incidenti degli ultimi giorni. A livello nazionale, invece, fino a ieri sera i grandi media l’hanno tenuta sottotraccia. France 2, ad esempio, non ne ha fatto cenno nel corso del suo telegiornale delle 20, il più seguito dai francesi.



In effetti il nuovo incidente, sebbene sia meno rilevante degli altri due, entrambi classificati a livello 1 di una scala che arriva fino a 7, rischia di minare ancor di più quel clima di fiducia nei confronti dell’industria nucleare che dopo Tricastin è andato via via deteriorandosi. I sindaci dei comuni coinvolti dalle ultime fughe radioattive fanno di tutto per stimolare un ritorno alla normalità, arrivando a bere pubblicamente acque sospette di contaminazione, mentre il governo da giorni ha chiesto maggiori controlli e trasparenza.



Qualcosa, seppure con estremo ritardo, comincia a muoversi. A Tricastin, ad esempio, le 770 tonnellate di rifiuti tossici considerati tra i responsabili dell’inquinamento da uranio di falde freatiche e pozzi distanti anche due chilometri dalla centrale, saranno rimossi. Un primo passo, dopo le ammissioni di Areva (altra società statale) sui disfunzionamenti di alcuni stabilimenti.

domenica 20 luglio 2008

Dubbi atomici

Dubbi atomici

di Sabina Morandi

Liberazione del 03/07/2008

Ci risiamo. Dopo Veronesi ora ci si mette anche Brunetta a confezionare la sua personale e fantasiosa versione di programma nucleare: basta costruire 50 centrali in Europa utilizzando come garanzia l'oro delle Banche centrali, ed è risolto il problema del caro petrolio e dell'energia. Non stupisce che il ministro della Funzione pubblica non abbia alcuna idea dei tempi di costruzione di un reattore (né della funzione delle scorte di oro, evidentemente) quanto che una questione così tecnica sia diventata il territorio dove esercitare le più spericolate fantasie da parte di ogni personaggio pubblico. Il fatto che esperti e Nobel per la fisica come Carlo Rubbia abbiano da tempo bocciato la scelta nucleare evidentemente non riesce ad inibire l'ansia di protagonismo degli auto-didatti dell'energia.
Dal referendum che ha messo fuori gioco il programma nucleare italiano sono passati vent'anni. Vent'anni di articoli, resoconti e cronache per analizzare a fondo una scelta condivisa da molti paesi europei, e non solo per la paura dell'incidente sempre in agguato. Vent'anni di articoli obbligatoriamente noiosi per dare conto del problema sotto tutti i suoi aspetti, prima di tutto quello economico. Vent'anni di numeri senza nemmeno una smentita, a dimostrazione del fatto che l'atomo è davvero la scelta più costosa in assoluto, anche senza mettere in conto tutti i disastri normalmente pagati dalla collettività, come ad esempio l'irrisolto problema della gestione delle scorie: le poche prodotte nella breve stagione nucleare italiana ancora viaggiano per il belpaese mentre oggi si scopre che gli scarti radioattivi ospedalieri (meno consistenti ma altrettanto pericolosi) vengono tranquillamente buttati nei cassonetti. Poi ci si sono messi pure gli americani - per la precisione l'US Army - con la stima della durata delle restanti scorte di uranio: ancora venti o trent'anni al ritmo di consumo attuale, e poi ti saluto.
Alla fine si finisce con lo scrivere sempre lo stesso articolo che, numeri a parte, dice sempre la stessa cosa: il nucleare è pericoloso, di forte impatto ambientale (le scorie) estremamente costoso e, comunque, di breve durata visto che il problema dell'esaurimento non riguarda solo il petrolio.
Fior di ecologisti - ma anche economisti, climatologi e ricercatori di ogni risma - hanno scritto libri su libri per illustrare metodi più economici e meno inquinanti per produrre la stessa quantità di energia dei costosi reattori. Anzi, paradossalmente, costerebbe ancora meno non produrla affatto, l'energia, ma riparare una rete vecchia di cinquant'anni che ne disperde quasi un terzo. Paesi più avanzati del nostro, e ben più freddi, utilizzano già da tempo l'energia solare così come quella del vento, mentre fioriscono i piani per l'efficienza energetica, quelli cioè che consentono di dimezzare i consumi e quindi raddoppiare l'energia a disposizione senza costruire alcunché. Vent'anni di studi che non vengono mai apertamente contestati dai fan dell'atomo ma semplicemente ignorati in nome dell'ennesima emergenza, vera (come quella climatica) o falsa (come le varie crisi del gas).
Che la lobby nuclearista del nostro paese si occupi poco di simili quisquiglie ha una spiegazione abbastanza ovvia: nello pseudo-capitalismo italico l'affare non è nel futuro - il solare e le rinnovabili - o nella manutenzione dell'esistente quanto nella solita cascata di denaro pubblico che accompagna l'apertura di ogni cantiere. Grazie agli aiuti di Stato - sotto forma di agevolazioni tariffarie, erogazioni a fondo perduto e chi più ne ha più ne metta - le grandi aziende come l'Enel potranno ripianare i debiti accumulati nella stagione delle acquisizioni e Confindustria è contenta. Se poi gli impianti non verranno ultimati non è un problema anzi, forse è anche meglio così saremo dispensati da un'altra stagione di dilettantesca gestione delle scorie.
A questo punto però, sorge spontanea una domanda: perché il governo italiano, ma anche i governi di paesi più "normali" del nostro, sono tornati a flirtare con i programmi nucleari? Visto che economicamente sarebbe più conveniente investire soldi pubblici in vasti progetti di riammodernamento delle reti e di riconversione alle energie rinnovabili, perché si sceglie invece una produzione non rinnovabile, costosa e tendenzialmente pericolosa? Sono due le risposte possibili, una peggio dell'altra. La prima riguarda la trasformazione dell'economia globale da produttiva a parassitaria, come è avvenuto negli Stati Uniti sotto l'amministrazione Bush dove, a riempire il vuoto lasciato dalla deindustrializzazione provocata dalla fuga delle fabbriche verso il lavoro schiavista, ci pensano i regali di Stato alle grandi corporation dell'energia, delle armi o di entrambe le cose insieme. Nell'era del capitalismo delle catastrofi non c'è più posto per i paesi "normali" né per una normale economia basata sul calcolo costi-benefici.
L'altra risposta è molto peggiore ma forse, nel mondo disegnato da Washington dopo l'11 settembre, è abbastanza realistica perché, di fatto, l'energia atomica ha un solo valore aggiunto di cui le altre fonti energetiche sono prive: ci si fabbricano le bombe. Questo non significa che il ministro La Russa sogni l'atomica (sebbene non lo escluderei a priori) ma significa che i governi di tutti i paesi, nel decidere dove riversare i soldi dei contribuenti, non possono non prendere in considerazione la nuova corsa agli armamenti innescata dall'aggressiva politica Usa. Del resto, per quanto intrisa di propaganda, la questione del nucleare iraniano riguarda proprio questo: la possibilità che, attraverso il nucleare civile, un paese ricavi del combustibile da riprocessare per costruire le famose armi di distruzione di massa mai trovate in Iraq. Le proposte occidentali sono incastrate in questo paradosso: si chiede a Teheran di bloccare il processo di arricchimento dell'uranio - pena sanzioni, incursioni o peggio - offrendo in cambio l'accesso alla tecnologia nucleare che migliorerebbe questo processo. Il fatto è che la firma del Trattato di non Proliferazione assicura all'Iran il diritto di sviluppare il nucleare civile sotto stretta osservazione dell'Agenzia internazionale per l'Energia Atomica, ma non assicura il mondo sul suo eventuale impiego militare. Ma se anche un paese come l'Iran, circondato di vicini nucleari che non si sognano nemmeno di fare entrare gli ispettori (Israele, Pakistan, India…) corteggiasse l'idea di un sistema di difesa del genere c'è poco da stupirsi: è pura e semplice real politik come quella che muove i governanti di ogni paese, che siano fondamentalisti come Bush e Ahmedinejad o moderati come Sarkozy o Brown.
Ci sarebbe sempre l'altra strada, quella che potrebbe rispondere all'insicurezza globale rilanciando il multilateralismo per preparare la transizione al di fuori dei combustibili fossili senza dover passare per la guerra fino all'ultimo bidone. Ma purtroppo chi ci governa ha già imboccato la strada delle guerre coloniali e chi si oppone ha perso la visione d'insieme, e cade spesso vittima dell'ennesima favoletta propagandistica confezionata per convincere i nostri ragazzi a dedicarsi all'unico lavoro ancora ampiamente disponibile, quello del mercenario più o meno privatizzato. L'energia atomica è da sempre strettamente connessa con le esigenze militari, dalla bomba ai proiettili di uranio impoverito ricavati dalle scorie, e dimenticarlo in un momento come questo è davvero grave. Perché, al di là dell'ambiente e del costo economico, questo è forse il motivo più importante per opporsi alla deriva atomica, dove la distinzione fra civile e militare è puramente illusoria.

«Fermate la centrale». Tricastin ora fa paura

«Fermate la centrale». Tricastin ora fa paura

di Anna Maria Merlo

Il Manifesto del 12/07/2008

«Disfunzioni e negligenze inaccettabili» secondo la Asn, l'autorità di vigilanza dell'atomo francese. Ma il gigante nucleare Areva alza le spalle e minimizza. Come il governo Sarkozy Francia, dopo la fuoriuscita di tonnellate d'acqua all'uranio l'ente per la sicurezza nucleare chiede di chiudere i reattori 40 I chili di uranio contenuti nell'acqua fuoriuscita da una paratia guasta della centrale nucleare francese di Tricastin

L'Autorità francese per la sicurezza nucleare ha chiesto ieri alla società Socatri di Tricastin, dove si è verificata una fuoriuscita di 240 chilogrammi di uranio, di sospendere l'attività. La decisione dell'Asn arriva dopo giorni di polemiche. Oggi l'organizzazione Sortir du nucléaire organizza una manifestazione di protesta a Parigi.
L'incidente ha avuto luogo nella notte di martedì. Ma ci sono volute 18 ore perché il sindaco del comune più vicino, Lapalud, ne venisse informato. Il ministro dell'ambiente Jean-Louis Borloo lo ha ammesso: «Il problema è la rapidità di informazione e di reazione». Per il ministro, però, «non c'è pericolo immediato per la popolazione», anche se restano proibiti l'uso dell'acqua in tre comuni della regione, i bagni e la pesca in tre corsi d'acqua. L'Asn parla di «misure di precauzione». Ma in poche ore c'è stata una fuoriuscita di uranio superiore 26 volte ai limiti annuali di smaltimento.
La decisione di chiedere la cessazione dell'attività di trattamento delle scorie nella centrale nucleare di Tricastin, la seconda piattaforma nucleare francese dopo La Hague, dipende dal fatto che l'Asn ha verificato che la Socatri, una filiale del gigante Areva, non ha finora preso misure «sufficientemente soddisfacenti per impedire un nuovo inquinamento». L'Asl ha ingiunto alla Socatri di prendere «misure immediate di messa in sicurezza» del sito. Per il momento è stata ricostruita la meccanica dell'incidente, causato da una valvola mal chiusa che ha provocato lo straripamento del contenuto di una vasca. Per di più, il bacino era stato danneggiato nel corso di lavori recenti e mai riparato.
Lunedì alle ore 19 è scattato l'allarme a Tricastin, ma le prime ricerche sono infruttuose, nessuno riesce ad individuare il problema. Solo alle 22 qualcuno si rende conto che c'è una fuoriuscita di liquido sotto una vasca. Un'ora dopo viene individuato uno scolo, ma solo verso le 4 del mattino viene alla luce che del liquido radioattivo è finito nel canale delle acque pluviali. Ci vorrà ancora un'ora e mezza prima che venga messo in atto il piano di emergenza sul sito. E altre due ore - siamo ormai alle 7,30 del mattino - per avvertire l'Asn. A questo punto anche l'Autorità di sicurezza se la prende comoda: il sindaco di Lapalud viene avvertito dell'incidente solo alle 13,30. Nell'analisi conclusa ieri l'Asn ha constatato non solo la mancanza di trasparenza ma anche una serie di negligenze preoccupanti nella gestione quotidiana del sito. Areva, il gigante del nucleare francese che controlla la Socatri, alza le spalle: «Bisognava fare un'analisi approfondita della situazione prima di comunicare». Ma la Criirad, la Commissone di ricerca e di informazione indipendente sulla radioattività, sottolinea che «perché le misure di prevenzione siano efficaci», in caso di incidente, «devono essere messe in atto il più presto possibile». Per la Criirad ci sono state negligenze enormi: «Non si riempiono le vasche quando il sistema di ritenzione non è operativo», afferma un esperto. Il sito della Socatri è del resto abituato agli incidenti: per esempio, nel dicembre scorso, in una sola settimana è stato versato nell'ambiente un terzo della quantità-limite annuale di carbonio 14. Il sito pone problemi, al punto che la Socatri ha stanziato 13 milioni di euro per rinnovarlo.
Le autorità francese sono sospettate di aver voluto minimizzare l'incidente di Tricastin, dopo essersi rese conto che non potevano più nasconderlo. L'incidente arriva infatti in un momento poco opportuno. Solo qualche giorno fa Nicolas Sarkozy ha fatto sapere di aver deciso la costruzione di una seconda centrale Epr, di ultima generazione, dopo quella già prevista a Flamanville. Sarkozy afferma che bisogna prendere coscienza che «il XXI secolo sarà senza petrolio» e che «i paesi che constateranno questo prima degli altri avranno una possibilità di cavarsela». La Francia è tra questi, uno dei soli quattro paesi al mondo a controllare tutto il processo di produzione di energia nucleare, ha aggiunto Sarkozy.
I Verdi, Sortir du nucléaire e Greenpeace accusano Sarkozy di «imbrogliare» la popolazione. Ma il presidente non perde occasione per promuovere il nucleare francese nel mondo e ha già venduto centrali da Gheddafi alla Cina.

sabato 19 luglio 2008

Tricastin, sotto accusa la centrale dei misteri

Tricastin, sotto accusa la centrale dei misteri

La Stampa del 18 luglio 2008, pag. 12

di Francesco Spini
Tirando le somme, quei settantaquattro chili di uranio che una decina di giorni fa sono sfuggiti dalla centrale nucleare di Tricastin, cuore nero della Provenza di Cézanne e a due passi dal confine con l’Italia, sono solo l’ultimo dei misteri che aleggiano dietro il più grande sito di Francia, del mondo pure. Misteri fatti di materiali radioattivi sfuggiti di mano, scorie dimenticate, perfino di bombe atomiche.

I silenzi, le mezze verità che hanno contrassegnato da subito l’incidente segnalato la mattina dell’8 luglio e in realtà successo la sera prima, da subito hanno instillato il dubbio: cosa c’è dietro Tricastin? Il quadro uscito negli ultimi giorni è sorprendente: incidenti finora poco o per nulla noti e contaminazioni oltre le attese. L’ultima scoperta è di due giorni fa: a un paio di chilometri di distanza dalla centrale sono state trovate falde freatiche e pozzi privati dove il tasso di uranio rilevato dall’Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare, l’Irsn, arriva a punte di 64 microgrammi per litro, ben oltre i 15 ammessi dall’Oms per dichiarare potabile l’acqua.

Gli abitanti dei quattro Comuni - Bollène, Lapalud, Lamotte-du-Rhone, Mondragon - che vivono all’ombra di queste due grandi ciminiere che interrompono bruscamente lo skyline della pianura a cavallo tra la Vaucluse e la Drome, vivono senz’acqua (proibito berla, nuotarci, mangiarne il pesce, irrigare i campi...) e nel panico. E ora guardano con sospetto quest’ambiente contaminato da uranio e bugie: difficile infatti che l’ultimo incidente sia alla base di contaminazioni così lontane dal sito. Non è un caso, quindi, che anche la politica ora si muova. Il ministro dell’Ambiente Jean-Louis Borloo ha chiesto controlli a tappeto attorno a tutte le 58 centrali francesi: «Non voglio che la gente sia sfiorata dal dubbio che venga nascosta o sottaciuta alcuna situazione. Voglio trasparenza, trasparenza, trasparenza».

Il sito nucleare non è solo «la centrale» che batte la bandiera di Edf. È fatta da una serie di laboratori - dalla Comurhex a Eurodif, fino a Socatri, tutti del gruppo Areva - che lavorano l’uranio grezzo, ne ottengono un gas, lo arricchiscono affinché sia utile alla fissione con cui si produce energia. Quindi decontaminano gli strumenti serviti per l’arricchimento: lì è successo l’ultimo incidente. È sotto questi capannoni che vanno cercate le risposte alle tante domande che restano a mezz’aria. A cominciare da quelle falde sotterranee contaminate. Secondo la Criirad, commissione di ricerca indipendente sulla radioattività, la contaminazione sarebbe collegata alle 700 tonnellate di scorie nucleari «sepolte» sotto un cumulo di quattro metri di terra proprio nel sito nucleare. È il prodotto della ventennale opera della Cogema (sempre del gruppo Areva) che dal ‘70 al ‘96 ha supportato la grandeur nucleare francese al fianco della Cea, la commissione atomica: lì arricchivano l’uranio (al 90% contro il 3% dell’uranio «civile») per costruire ordigni nucleari. E sarebbero i rifiuti di quei processi ad aver «arricchito» pure le acque di Bollène. «È falso, quei rifiuti ci sono, ma sono assolutamente in sicurezza», ribattono da Areva.

La Criirad però non finisce qui nell’elenco dei piccoli incidenti che già nel 2002 l’avevano portata a rilevare tutt’intorno a Tricastin livelli di «radiazioni abnormi - spiega l’ingegnere nucleare Bruno Chareyron, a capo del laboratorio di Criirad -. Non si può parlare di pericolo immediato, ma di rischi nel lungo periodo per la popolazione di contrarre tumori, quello sì». Si può andare ancora più indietro, al 1986 - l’epoca funesta di Chernobyl -, più precisamente al 23 giugno quando una fuga di esafluoruro d’uranio portò il livello di radioattività dell’aria a 130 bequerel per metro cubo, «quando il dato normale è di 0.00001». Non basta? Esiste una ricerca dell’Alto Commissariato per l’energia atomica (il rapporto Guillemont), che riporta quest’ultimo incidente, così come altri occorsi nel ‘91 (sgocciolamento di nitrato d’uranio sulla ferrovia della Sogema) e nel ‘97, con una fuga nel terreno di uranio arricchito. Chareyron ricorda i valori abnormi di tritio e carbonio 14 rilevati solo un anno fa. Alla Areva minimizzano: «La situazione è sempre stata sotto controllo, noi abbiamo sempre fornito la massima trasparenza. Il ministro vuole chiarezza? È solo una questione politica». Ma si ricordano solo l’incidente «del 1977, quando ci fu una fuga di esafluoruro d’uranio dalla Comurhex». La gente però vuole chiarezza mentre il moloch dei misteri continua a sbuffare vapore in questa pianura condannata, senz’acqua, ad appassire.

martedì 15 luglio 2008

Greenpeace: il nucleare non conviene

Greenpeace: il nucleare non conviene
L’Unità del 15 luglio 2008, pag. 7

di Eduardo Di Blasi

Non è solo una questione ambientale. È soprattutto una questione di soldi: l’energia nucleare costa e l’impennata dei prezzi alla produzione delle materie prime (petrolio, acciaio e cementi speciali, assieme all’uranio), non fa sperare a nessuno nel mondo che l’atomo possa essere una prospettiva alternativa al petrolio nella produzione di energia. Giuseppe Onufrio di Greenpeace mette un dato dietro l’altro per dimostrare la propria teoria: il nucleare non conviene. Negli Stati Uniti gli incentivi economici proposti dal governo per la sostituzione delle centrali giunte a esaurimento non ha prodotto nemmeno un investimento nel settore. Anche una vecchia volpe della finanza come Warren Buffer, uno degli uomini più ricchi del mondo, dopo aver commissionato uno studio milionario nell’eventualità di acquisire un impianto nell’Idaho, ha pensato bene di non spendere un dollaro per quell’acquisto. Perché? Perché le centrali nucleari, ha ritenuto, sono antieconomiche, e non basta a giustificare il dato il balzo il dato che le sole materie prime per costruire le centrali abbiano fatto lievitare i costi del 173%. Prendiamo l’uranio. Il rapporto congiunto Iaea-Nea afferma che oggi ne abbiamo 3,3 milioni di tonnellate «ragionevolmente sicure», mentre sono 5,5 tonnellate quelle «stimate». Che significa? «Che se per i 439 reattori oggi funzionanti è necessario adoperare 70mila tonnellate di materiale l’anno, tra 50-70 anni non ci sarà più uranio», spiega Onufrio. E se le centrali raddoppiassero? «Gli anni potrebbero scendere a 25», con una non difficilmente immaginabile impennata del prezzo della materia prima negli anni a venire. Ma non è solo questa l’unica ragione dell’antieconomicità del nucleare. La costruzione di una centrale nucleare è infatti questione complessa, come dimostra il cantiere finlandese di Olkiluoto (3), opera della francese Areva e della tedesca Siemens, colossi del settore assieme all’americana Westinghouse: reattore di ultima generazione, 1650 megawatt di potenza istallata, bandiera del nuovo protagonismo europeo nel mercato dell’atomo. Secondo il progetto iniziale l’impianto sarebbe costato 3,2 miliardi di euro. Ad oggi la costruzione è in ritardo di almeno due anni. I costi sono già lievitati di due miliardi di euro, ma, soprattutto, l’Autorità di sicurezza nucleare finlandese, ha già riscontrato 1500 «problemi di qualità», che vanno dall’eccesso di acqua nella miscelazione del cemento per le fondamenta, alle saldature a mano troppo distanti nella calotta d’acciaio esterna. Così com’è l’impianto non sarà mai messo in funzione. I costi saliranno, e saranno spalmati sui consumatori che riceveranno l’energia prodotta dal reattore.

lunedì 14 luglio 2008

Nuovo incidente a Cofrentes, l’ultimo di una lunga serie

Nuovo incidente a Cofrentes, l’ultimo di una lunga serie

La Stampa del 14 luglio 2008, pag. 3

Due incidenti in altrettante centrali nucleari in un solo giorno. La Spagna si interroga sulla sicurezza dei suoi impianti, anche se non ci sono state fughe radioattive.Il primo è avvenuto nella centrale di Cofrentes, vicino Valencia: l’altra notte è stato registrato un aumento di potenza non programmato superiore al 20%, di quello autorizzato, secondo quanto riferito dal Consiglio per la sicurezza nucleare, l’agenzia di controllo sugli impianti del paese iberico. Non ci sono state conseguenze, ma si è trattato del quarto incidente in 12 giorni, il ventisettesimo in tre anni, dati che avevano portato Greenpeace a chiedere la chiusura della centrale. Il secondo incidente è avvenuto nell’impianto di Vandellos, in Catalogna, dove c’è stata una piccola fuga a terra di materiale radioattivo, nei pressi dei serbatoi degli impianti di acqua di ricarica e raffreddamento del reattore. Appena venerdì scorso si era verificato un incidente analogo.

Rifkin: “non è l’atomo la risposta caro greggio"

Rifkin: “non è l’atomo la risposta caro greggio"

La Repubblica - Affari e Finanza del 14 luglio 2008, pag. 5

di Gianluca Sigiani

«Ora si parla di energia nucleare come soluzione all’irresistibile ascesa dei prezzi petroliferi. Ma secondo me dovrebbe essere l’occasione buona per ripensare per intero il problema del nostro sviluppo, e renderlo finalmente più sostenibile». Jeremy Rifkin, economista e scrittore statunitense, ma soprattutto negli ultimi tempi attivista del movimento per lo sviluppo sostenibile, è venuto in Italia per lanciare un monito: «La sostenibilità è il vero marchio del futuro. Anche nei settori più impensati: la sostenibilità applicata al marketing e al procurement (gli approvvigionamenti aziendali), per esempio, sarà uno dei principali modelli di business perle imprese di oggi e di domani». L’occasione è il secondo incontro By Innovation Day tenutosi nella sede della Borsa qui a Milano, voluto e organizzato da Enrico Rainero & Partners, editore e operatore di marketing e comunicazione. Rifkin, fondatore della Foundation on economic trends, quest’anno è stato l’ospite d’onore, in veste di testimonial e sostenitore attivo di questo messaggio, che si applica anche ad un’iniziativa che intende promuovere concretamente il contatto e lo scambio virtuoso fra uffici acquisti e reparti vendita in tema di tecnologie innovative e sostenibili. Un’idea semplice ma strategica, che le organizzazioni incontratesi a Palazzo Mezzanotte (Adaci, Consip, Federmanagement, Ibm, Centro Ricerche Fiat, 3M, Bitolea e tante altre) hanno voluto sancire con un Patto per il Business Sostenibile che dovrà portare all’ottimizzazione dei flussi commerciali e di tutta la supply chain per il maggior numero possibile di aziende. Insomma, come dice Rifkin, le imprese devono collaborare sul terreno dell’acquisto intelligente e sostenibile per migliorare la qualità dei propri processi e favorire una produzione sempre più avanzata e socialmente responsabile. Ma con Rifkin non si può non parlare anche di nucleare.



Lei ha saputo dell’incidente di Krsko in Slovenia, a pochi chilometri dall’Italia di qualche settimana fa? Che idea si è fatto?

«Ho parlato con persone che hanno conoscenza di prima mano dell’incidente, e mi hanno tranquillizzato. Non ci sono state fughe radioattive e il governo ha gestito bene tutta la vicenda. Qualche tempo fa, mi è capitato di lavorare proprio con l’amministrazione locale e posso dire che hanno sempre dimostrato una leadership illuminata nel traghettare la Slovenia verso le energie rinnovabili. Non posso dire lo stesso di tutti i paesi europei, ma posso lodare le politiche energetiche di Ljubljana. Il problema con il nucleare è che si tratta di un’energia con basse probabilità di incidente, ma ad alto rischio. Ovvero: non succede quasi mai niente di brutto, ma se qualcosa va storto può essere una catastrofe. Come Chernobyl. Non si può non tenerne conto».



Oltre alla sicurezza intrinseca degli impianti, che a quanto lei ci dice è in parte ancora da verificare, quali altri problemi vede nello sviluppo dell’energia nucleare?

«Sicuramente quello che non sappiamo ancora come trasportare e stoccare le scorie. Gli Stati Uniti hanno straordinari scienziati e hanno investito 8 miliardi di dollari in 18 anni per stoccare i residui all’interno delle montagne Yucca dove avrebbero dovuto restare al sicuro per quasi 10 mila anni. Bene, hanno già cominciato a contaminare l’area nonostante i calcoli, i fondi e i super-ingegneri. Davvero l’Italia crede di poter far meglio di noi? L’esperienza di Napoli non autorizza troppo ottimismo. E questa volta i rifiuti sarebbero nucleari, con conseguenze inimmaginabili. Non è finita. Secondo me. si porrà presto, se il nucleare riprenderà ad espandersi, un problema di combustibile. Stiamo qui ad osservare terrorizzati la fine dell’era del petrolio, mentre stando agli studi dell’agenzia internazionale per l’energia atomica anche l’uranio comincerà a scarseggiare già dal 2025-2035. Esattamente come il petrolio sta per raggiungere il suo picco produttivo. E quindi, come per il petrolio, ì prezzi sono destinati a schizzare presto all’insù. Ciò si ripercuoterà sui costi per produrre energia togliendo ulteriori argomenti a questo progetto. Aggiungo un altro punto ancora: c’è chi dice che si potrebbe puntare sul plutonio. Ma io ricordo loro che con quello è più facile costruire bombe. E in questo momento il presidente americano George Bush e molti altri governanti fanno un gran parlare dei rischi dell’atomica in mani nemiche, e minacciano apertamente l’Iran se questo porterà avanti il suo programma nucleare».



Nel suo libro "La creazione del Worldwide Energy Web e la redistribuzione del potere sulla Terra" lei propugna la creazione di una sorta di rete dell’energia planetaria. Abbiamo capito bene?

«Io dico che visto gli avanzamenti tecnologici i tempi sono maturi per la creazione di un grande network fra i principali paesi democratici dove si riesca a stoccare energia di riserva, utilizzando per esempio le potenzialità ancora inespresse dell’idrogeno, e poi a distribuirla fra chi ne ha bisogno. A questa rete, è la vera innovazione, dovrebbero contribuire tutti: dai grandi produttori nazionali fino ai piccoli e piccolissimi produttori di energia, in tutti i modi possibili, territoriali e locali. Sarebbe una nuova rivoluzione industriale, una sinergia fra tecnologie di rete e sfruttamento delle risorse energetiche, pari a quella che è stata per esempio la diffusione dei mezzi di comunicazione e di informazione, lai primi telegrafi fino a Internet per la società globale».

Nucleare, ecco i rischi del nuovo sogno italiano

Nucleare, ecco i rischi del nuovo sogno italiano

La Repubblica - Affari e Finanza del 14 luglio 2008, pag. 1

di Eugenio Occorsio

Il problema dei siti nucleari? E’ già risolto. Sarà ripristinata l’originaria vocazione di Montalto, Caorso e probabilmente Trino Vercellese. Ci sono poi altri 3-4 comuni di cui il ministro Scajola giura di avere in tasca l’adesione, di cui uno in Sicilia e uno in Sardegna. Persino per lo stoccaggio delle scorie il posto ci sarebbe, fra i calanchi della provincia di Matera. Il governo va avanti con i suoi proclami, ma intanto cresce la perplessità non solo presso i parlamentari dell’opposizione, ma fra economisti e scienziati: «Avete pensato al problema delle forniture di uranio?», attacca Carlo Rubbia, Nobel per la fisica, al convegno organizzato dai radicali venerdì scorso. «Ce n’è pochissimo in tutto il mondo, e il prezzo si sta impennando peggio del petrolio».

Il Partito democratico, e tutta l’opposizione, non sono pregiudizialmente contrari. Solo che insistono sui tanti punti ancora irrisolti, sicurezza e soprattutto costi. «E’ vero chela tecnologia si è evoluta, ma non vogliamo che all’ideologia dell’ antinucleare si sostituisca l’entusiasmo fanatico del nucleare che porta ad uguali delusioni», dice Emma Bonino. «In tutti questi anni la politica si è disinteressata all’energia». Il problema è solo di sicurezza? «Su questo punto - risponde la Bonino - parlano le notizie inquietanti degli incidenti in Svezia e Francia (dove la centrale dì Tricastin è stata chiusa perla fuoriuscita di acqua radioattiva, ndr). Ma poi manca un quadro, corretto dei costi e della loro copertura. C’è l’esempio della Finlandia, dove stanno costruendo una centrale e sono in ritardo di due anni sui tempi previsti e del 50% sul budget. Da noi, il governo ha detto che entra dicembre renderà noti ì criteri per i siti, e poi farà la conferenza programmatica: non sarebbe più logico invertire i temi?».



La partita dei costi è controversa. L’Enel sostiene che servono cinque centrali al costo di 3,54 miliardi di curo l’una, quindi una ventina di miliardi, e si dice in grado di autofinanziare l’investimento. Francesco Troiani, responsabile per l’Enea del nucleare, è più ottimista: «Siamo intorno ai 3 miliardi, per i tempi parliamo di 7/8 anni, ma soprattutto teniamo presente che grazie ai miglioramenti tecnologici la durata di vita di una centrale si sta allungando oltre i 30 anni». Giuseppe Zampini, amministratore delegato di Ansaldo Energia, puntualizza: «Servirebbero, per poter arrivare al 20-25% del fabbisogno elettrico, come indicato dal governo, una decina di reattori di terza generazione per un costo complessivo di 20-40 miliardi di euro. Quanto ai tempi, a noi cinque anni basterebbero compresa la progettazione, sempre che il governo semplifichi l’iter autorizzativo, che oggi prevede ben 24 diversi permessi tutti ugualmente difficili da ottenere».



Quanto al combustibile, c’è l’avvertimento di Rubbia: «Se la dinamica sarà la stessa che l’uranio ha seguito dal 2000 ad oggi, aumentando di venti volte da 7 a 130 dollari per libbra, potrebbe arrivare a 500, e il costo dell’elettricità nucleare schizzerebbe da 40 a 65 euro per Megawatt, un livello insostenibile». Si aggiunge il problema della disponibilità: «Le riserve conosciute valgono non più di una trentina d’anni, per due terzi il mercato dipende dalle forniture militari, e il più grande impianto di estrazione, quello di Cigar Lake in Canada, tarda ad entrare in esercizio».



Contro l’entusiasmo del governo, e le affermazioni avventate come quella di Berlusconi che al 68 ha proclamato che «saranno costruite mille centrali nucleari», frenano anche economisti che non possono certo essere accusati di antinuclearismo ideologico, come Alberto Clò, docente di Economia industriale all’Università di Bologna: «In tutto il mondo, la costruzione di centrali nucleari si è praticamente fermata da vent’anni a questa parte. Perché? Perché, principalmente per il costo elevato degli impianti, l’era nucleare è finita. Le liberalizzazioni concorrenziali l’hanno messo fuori mercato, e descrivere _un’industria nucleare sana significa solo metterla in politica. Se si vuole riaprire il discorso, va eliminata la faziosità». Viste le premesse, si allontana più l’ipotesi che alla costruzione delle centrali possano partecipare i privati: «Sono in ballo investimenti giganteschi, che lo stato prima di affrontare intanto deve intraprendere un dibattito democratico ben diverso da quello avviato in Italia - spiega la Bovino - e poi deve chiedersi: ma siamo proprio sicuri che una tale massa di risorse non potrebbe essere più convenientemente canalizzata verso investimenti nelle fonti alternative, davvero pulite e meno pericolose, per non parlare di seri programmi di sviluppo sostenibile e risparmio energetico? Noi vogliamo aprire un dibattito che parta da un’analisi obiettiva, mentre gli annunci del governo prescindono da una strategia trasparente e consapevole. Abbiamo l’impressione che il governo parli di centrali nucleari come se fossero edifici qualsiasi».



Spettatore interessato all’esito delle polemiche in corso, è l’Ansaldo Energia, azienda pubblica di riferimento per l’eventuale rinascita del nucleare italiano. Zampini, Ceo del gruppo, conferma: «Alcuni dei siti che hanno ospitato centrali nucleari potrebbero essere rianalizzati a fronte delle nuove norme che il governo varerà. Caorso e Montalto potrebbero essere riconsiderati. Escluderei Latina e Garigliano perché intorno ad essi sono nate case, fabbriche, coltivazioni». Per Trino il discorso è più complesso, e prima di ripristinarlo servirebbero lavori di riassetto territoriale. E il sito di stoccaggio di Scanzano, in Basilicata? «Quando fu identificato, 25 anni fa, furono fatte accurate analisi fisico-geologiche che ne accertarono l’affidabilità. Non credo che le condizioni geologiche siano cambiate. Però per prima cosa vanno tenuti presenti gli avanzamenti nel ciclo del combustibile, che viene oggi trattato e ritrattato all’interno dell’impianto in sicurezza, e la parte di rifiuti è minima. La sostanza più pericolosa è il plutonio, ma ne escono alla fine solo 9 chili per ogni tonnellata di combustibile impiegato, una quantità che ritengo gestibile». Zampini, 62 anni, era nel gruppo dirigente della Nira (Nucleare italiana reattori avanzati) negli anni ‘70 e ‘80: «Dopo il referendum del 1987, in una settimana perdemmo ordini per tremila miliardi di lire», ricorda. Ora, come segnale di goodwill ha annunciato la quotazione in Borsa dell’Ansaldo Energia entro i primi mesi del 2009, e vuole portare il fatturato dal miliardo del 2007 a 1,7 del 2010. «E’ urgente rilanciare la scuola italiana. Avevamo 1.500 ingegneri fra i più preparati del mondo, ora siamo in 200. Abbiamo cercato di mantenere le competenze lavorando all’estero: al Superphoenix in Francia, all’impianto di Cernaveda in Romania, alla centrale di Sanmen in Cina, nei programmi sperimentali internazionali». Oggi, il 75% di un impianto può essere realizzato dall’industria italiana contro il 90% del passato: per riqualificare i tecnici nazionali, l’Ansaldo ha varato con l’Istituto di fisica nucleare del Cnr, un master in ingegneria specializzata che partirà in autunno a Genova. «L’obiettivo è reinserirsi in un gruppo di paesi all’avanguardia, realizzando i reattori di terza generazione avanzata Per essere pronti a intraprendere a quarta generazione, che però non potrà partire prima del 2040: non possiamo aspettare fino ad allora».

domenica 13 luglio 2008

Cofrentes, nuovo incidente nella centrale. È il quarto nel giro di dodici giorni

Corriere della Sera
Nessun rischio per la popolazione e l’ambiente
Cofrentes, nuovo incidente nella centrale. È il quarto nel giro di dodici giorni
Nel sito nucleare spagnolo un aumento di potenza non programmata superiore al 20% di quella autorizzata

ROMA - Nuovo incidente alla centrale nucleare di Cofrentes, nei pressi di Valencia, in Spagna. La scorsa notte, poco prima delle 5, si è registrato un aumento di potenza non programmata superiore al 20% di quella autorizzata. Lo ha riferito il Consiglio per la sicurezza nucleare, l’agenzia di controllo sugli impianti del Paese iberico. Fortunatamente i sistemi di sicurezza hanno impedito fughe radioattive e quindi non ci sono rischi per i dipendenti dell’impianto, i residenti e l’ambiente. Si è trattato però del quarto incidente in 12 giorni a Cofrentes, ricorda il quotidiano spagnolo El Mundo, il 27esimo in tre anni. La scorsa settimana l’organizzazione ambientalista Greenpeace ha chiesto la chiusura della centrale, sostenendo che i ripetuti incidenti indicano che l’impianto ha concluso ormai il suo ciclo di vita.


13 luglio 2008

sabato 12 luglio 2008

Svezia, incendio in centrale

Ansa.it 2008-07-11 18:32
Svezia, incendio in centrale
STOCCOLMA- Un incendio si è verificato oggi sul tetto di una turbina nella centrale nucleare di Ringhals, situata a 60 chilometri da Goteborg, nella Svezia occidentale. Secondo i responsabili dell'impianto, l'incendio è stato rapidamente spento senza che il reattore potesse costituire in alcun momento una vera minaccia.

"La nostra equipe di pompieri è riuscita a spegnere le fiamme in pochi minuti" ha dichiarato Gosta Larsen, portavoce della centrale. L'incendio è stato provocato dagli operai che lavoravano con alcune torce sul tetto dell'edificio e che hanno involontariamente dato fuoco allo stesso. "Non c'é stato niente di drammatico", ha aggiunto Larsen, riconoscendo però che una fitta nube di fumo ha invaso il sistema di ventilazione della turbina, facendo scattare gli allarmi anti-incendio esterni che hanno provocato l'arrivo immediato di altre squadre di pompieri locali.

La centrale nucleare di Ringhals possiede quattro reattori e produce il 20% circa dell'elettricità consumata in Svezia.

FRANCIA: AUTORITA' BLOCCA CENTRALE NUCLEARE

ANSA.IT - 2008-07-11 18:32
FRANCIA: AUTORITA' BLOCCA CENTRALE NUCLEARE
PARIGI - L'Autorità per la sicurezza nucleare francese (Asn) ha imposto alla Socatri, società filiale del colosso energetico Areva, di cessare le attività di una delle due stazioni di trattamento nella centrale di Tricastin, nella Francia sud-orientale, dove nei giorni scorsi si era verificata una fuoriuscita di acque contenenti uranio, perché non sarebbe "sicura". La Socatri ha risposto annunciando lo stop alle attività nella stazione indicata, la più vecchia delle due, per cui era comunque prevista la chiusura "nelle prossime settimane" nell'ambito di un piano di modernizzazione. La centrale di Tricastin si trova a nord di Avignone, a circa 300 chilometri dal confine con l'Italia. In un'ispezione tenuta ieri negli impianti di Tricastin, l'Asn ha rilevato che una delle cisterne della struttura colava ancora in un bacino di ritenzione non stagno e che nel canale, ormai secco, in cui si era riversata parte della fuoriuscita accidentale, in caso di pioggia si sarebbe potuta accumulare acqua sufficiente per trascinare di nuovo all'esterno detriti contaminati. Per quanto riguarda le circostanze dell'incidente, in cui durante un trasferimento d'acqua tra due cisterne una paratoia difettosa aveva consentito il passaggio dell'acqua contenente uranio in un bacino di ritenzione crepato da cui la perdita si é diffusa, l'Asn ha parlato di "una serie di disfuzioni e di negligenze umane che non è accettabile".

Criticati in particolare i tempi di reazione dei responsabili della centrale, che pur avendo constatato già alle 23 di lunedì 7 luglio la presenza di fuoriuscite nelle zone vicine, non ha messo in atto un piano di emergenza fino alle 5.30 del giorno dopo. Inoltre, ha denunciato il responsabile Asn di Lione Charles-Antoine Louet, "Il bacino di ritenzione era crepato dal 2 luglio e non è stato riparato, anche se l'azienda sapeva. L'allarme non è stato seguito da un'ispezione sufficiente; i poteri pubblici non sono stati avvertiti presto come avrebbero dovuto". Non è la prima volta che l'Asn critica la gestione della stazione di Tricastin da parte di Socatri. Già nel rapporto 2007 sullo stato della sicurezza nucleare e della radioprotezione nella regione, pubblicato a maggio, si parlava di "perdite ripetute" nel sistema di canalizzazione delle acque usate e "scarti ripetuti" rispetto alle autorizzazioni di scarico di residui chimici e radiologici, e si chiedeva all'azienda di sostituire i sistemi troppo vecchi e "assicurare d'ora in poi una sorveglianza rinforzata".

mercoledì 9 luglio 2008

Francia, incidente nella centrale Acqua contaminata nei fiumi

Francia, incidente nella centrale Acqua contaminata nei fiumi

Corriere della Sera on line del 9 luglio 2008

di Giulia Ziino

Trenta metri cubi di acque usate contenenti 12 grammi di uranio per litro si sono riversate ieri, per cause accidentali, in due fiumi — La Gaffière e L'Auzon — nel sud della Francia. Le acque provenivano dal sito nucleare di Tricastin a Bollène, nel distretto di Vaucluse, a circa 40 chilometri da Avignone. L'allarme è rientrato quasi subito (l'incidente è avvenuto intorno alle 6,30 del mattino): l'agenzia per la sicurezza nucleare francese (Asn) ha parlato di «rischio debole per la popolazione». Dello stesso parere i prefetti dei dipartimenti di Vaucluse e Drome. Le autorità locali hanno comunque preso misure di precauzione. Nei comuni di Bollèn e, Lapalud e Lamotte- du-Rhône sono stati vietati la presa d'acqua dai pozzi e l'impiego dell'acqua dei fiumi per irrigare i campi. Vietati anche la pesca, il consumo di pesce e i bagni nelle acque inquinate. L'incidente è avvenuto durante un'operazione di pulizia di una cisterna nello stabilimento Socatri, azienda del gruppo Areva, in attività dal 1975. «È la prima volta che si verifica un incidente del genere — ha detto Gilles Salgas, responsabile della comunicazione della società Socatri —. Su una scala di incidenti nucleari che va da 0 a 7 dovrebbe essere classificato a livello 1».



Una prima ricostruzione della dinamica dell'incidente è arrivata da una portavoce dell'Asn, Evangelia Petit: i circa trentamila litri di liquido contenente uranio — ha spiegato — si sono riversati durante alcune operazioni di pulitura, finendo al suolo e quindi in un canale adiacente, da dove poi sono finiti nei due fiumi. «Una parte della soluzione — ha precisato il direttore della sicurezza dell'Istituto di radioprotezione e sicurezza nazionale (Irsn), Thierry Charles— è stata recuperata, un'altra si è diluita nei corsi d'acqua e la terza fortunatamente non ha raggiunto la falda freatica». Le dichiarazioni rassicuranti delle autorità non sono servite a evitare lo scoppio di polemiche. «È impossibile che una diffusione di uranio di tale entità non abbia conseguenze importanti sull'ambiente e forse anche sulla salute della popolazione» dicono dall'organizzazione ecologista «Sortir du Nucleaire». In questi mesi in Francia il nucleare è un tema caldo dopo l'annuncio del presidente Nicolas Sarkozy di voler aumentare il numero di centrali sul territorio nazionali (attualmente sono 53).



Attualmente la Francia ricava circa l'ottanta per cento della sua elettricità dal nucleare. proprio ieri Francia e Libia hanno ufficializzato l'accordo di cooperazione per lo sviluppo dell'energia nucleare a scopi pacifici concluso nel corso del 2007. Sempre ieri Sarkozy ha annunciato che entro fine anno in Giappone i paesi del G8 si riuniranno per un forum su energia nucleare ed energie rinnovabili, per coordinarne lo sviluppo e far fronte all'aumento dei prezzi del petrolio e del gas. «Vedo crescere il sostegno all'alternativa nucleare — ha detto Sarkozy —. Per la Francia è una scelta molto vecchia, il Regno Unito vuole rafforzarla, l'Italia è interessata e certamente anche gli Usa e la cancelliera tedesca Angela Merkel, a titolo personale, è favorevole ».

venerdì 4 luglio 2008

Il bluff nucleare

Il bluff nucleare

L'Espresso del 4 luglio 2008, pag. 11

di Mark Hertsgaard

Silvio Berlusconi è a conoscenza di qualcosa che il suo collega miliardario Warren Buffet non sa? Non appena è stato rieletto premier, a maggio scorso, i suoi consiglieri hanno annunciato di voler riportare il nucleare in Italia. Citando l’aumento vertiginoso dei prezzo del petrolio, Claudio Scajola, ministro dello Sviluppo economico, ha dichiarato il governo vuole costruire cinque centrali nucleari nei prossimi cinque anni. Nel frattempo, Buffet rifiutava l’opzione del nucleare per gli Stati Uniti. «Da un punto di vista economico non ha senso», ha dichiarato il leggendario investitore i cui decenni di favolosi successi e profitti azionari lo hanno reso un vero dio agli occhi di innumerevoli investitori fai-da-te, per non menzionare il partner informale co-fondatore di Microsoft, Bill Gates. Nel 2007, una delle società di Buffet ha speso ben 13 milioni di dollari per cercare di capire se acquistare o meno una centrale nucleare nell’Idaho. L’idea fu abbandonata dopo che le ricerche e gli studi effettuati indicarono che il nucleare non poteva produrre elettricità "a prezzi ragionevoli". «Il fatto che uno come Buffet la faccia finita con un potenziale investimento, dopo aver speso ben 13 milioni di dollari solo per analizzare e prendere in considerazione un affare, dovrebbe far esitare chiunque e rendere tutti indecisi», ha commentato Joe Romm, ex assistente segretario del dipartimento americano per l’Energia.



Buffet non è affatto un’anomalia. Wall Street, e investitori privati di tutto il mondo, hanno voltato le spalle all’energia nucleare oltre vent’anni fa e non sono mai tornati sui loro passi. Il loro ragionamento è semplice: la costruzione di centrali nucleari è cosa molto onerosa, sia da un punto di vista dei costi che dei rischi, e l’esperienza dimostra che si sono sempre verificati ritardi e sforamenti multi-miliardari, sforamenti che possono causare la bancarotta di una società qualora questi non vengano poi trasferiti sui consumatori.



A prima vista, il nucleare appare come una risposta sensata alla doppia sfida del cambiamento climatico e del vertiginoso aumento dei prezzi dell’energia, ormai salita alle stelle. Ma l’economia povera del nucleare è in realtà una farsa. Adottare energia nucleare significherà di fatto un peggioramento sia dei cambiamenti climatici che della sicurezza energetica.



L’energia nucleare «è così improduttiva che non c’è nemmeno bisogno di discutere se sia pulita e sicura», scrive Amory Lovins, co-fondatore del Rocky Mountain Institute in Colorado e consigliere di governi e società per azioni in vari paesi del mondo. L’efficienza energetica, l’energia colica e la co-generazione (quest’ultima viene spesso definita in Europa "combinazione di calore ed energia") costano circa un terzo meno per kilowatt ore rispetto al nucleare. Visto che lampadine e motori più efficienti possono essere installati nel giro di poche settimane, e turbine coliche e di co-generazione possono essere messe in linea nel giro di un paio di anni, esistono vantaggi insiti rispetto alle centrali nucleari le quali in- vece notoriamente impiegano decenni per essere completate. Secondo quanto riferito da Lovins, per ogni dollaro investito, a livello di efficienza, altre fonti verdi di elettricità fruttano da 1,4 a 11 volte di più in termini di riduzione di emissioni di CO2 rispetto al nucleare.



Tuttavia il mito dell’energia nucleare è duro a morire e Berlusconi non è il solo politico a caldeggiare tale ipotesi di revival. John McCain, il candidato repubblicano alle presidenziali Usa, intende costruire 45 nuove centrali entro il 2020. Leader politici in Russia, Francia, Gran Bretagna e altri paesi si dicono fautori di un revival nucleare. Tali sostenitori dovrebbero prendere in esame le notizie che arrivano dalla Finlandia. I comunicati stampa dell’industria nucleare lodano la centrale Olkiluoto-3, attualmente in costruzione, come esempio e prova del fatto che l’Europa sta nuovamente adottando l’energia nucleare. In realtà, i lavori della centrale sono indietro di circa due anni rispetto alle stime iniziali, con il 50 per cento dei costi in più rispetto al budget previsto che si tradurrà in 3 miliardi di euro di costi extra per i consumatori.



Il piccolo sporco segreto del nucleare è che esso sopravvive come risorsa energetica fattibile per via delle massicce sovvenzioni pubbliche di cui gode. Nessuna delle 439 centrali nucleari al momento operative nel mondo è stata costruita senza convenzioni e, considerato lo scetticismo ben fondato degli investitori, nessuna centrale lo sarà mai. Se Berlusconi crede davvero nel nucleare e ritiene che tale scelta energetica possa avere un senso per l’Italia, che investa i suoi di soldi prima di chiedere all’opinione pubblica italiana di correre un rischio di cui certamente si pentirebbe.

NOTE

traduzione di Rosalba Fruscalzo

giovedì 3 luglio 2008

Quattro incidenti in 72 ore per le centrali spagnole

Quattro incidenti in 72 ore per le centrali spagnole

Il Giornale del 3 luglio 2008, pag. 16

Un incidente dopo l’altro: quattro degli otto reattori nucleari spagnoli hanno registrato disfunzioni in meno di 72 ore, ha scritto ieri El Pais. Per motivi differenti, ma senza pericolo per le persone o l’ambiente, gli incidenti si sono pro- dotti tra sabato e martedì. Critiche le organizzazioni ambientaliste, secondo le quali è colpa della pessima cultura della sicurezza con la quale Iberdola e Endesa, proprietarie delle quattro centrali colpite, gestiscono gli impianti. «Come se non bastasse, il parco nucleare spagnolo è molto vecchio e ogni volta cederà sempre di più», ha messo in guardia un portavoce di Greenpeace.

Il «Consejo de Seguridad Nuclear» (Csn), organismo che monitora la sicurezza atomica, attribuisce invece fatti a una «sfortunata casualità». I proprietari delle centrali hanno sminuito l’accaduto, sottolineando che la sicurezza delle installazioni non è stata colpita. Tre degli incidenti registrati sono avvenuti in tre reattori situati a Tarragona, nel nord-est della Spagna, gestiti dalla Associazione Nucleare Asco-Vandellos (Anav), proprietà, di Iberdola e Endesa.

Dubbi atomici

Dubbi atomici

Liberazione del 3 luglio 2008, pag. 1

di Sabina Morandi
Ci risiamo. Dopo Veronesi ora ci si mette anche Brunetta a confezionare la sua personale e fantasiosa versione di programma nucleare: basta costruire 50 centrali in Europa utilizzando come garanzia l'oro delle Banche centrali, ed è risolto il problema del caro petrolio e dell'energia. Non stupisce che il ministro della Funzione pubblica non abbia alcuna idea dei tempi di costruzione di un reattore (né della funzione delle scorte di oro, evidentemente) quanto che una questione così tecnica sia diventata il territorio dove esercitare le più spericolate fantasie da parte di ogni personaggio pubblico. Il fatto che esperti e Nobel per la fisica come Carlo Rubbia abbiano da tempo bocciato la scelta nucleare evidentemente non riesce ad inibire l'ansia di protagonismo degli auto-didatti dell'energia.
Dal referendum che ha messo fuori gioco il programma nucleare italiano sono passati vent'anni. Vent'anni di articoli, resoconti e cronache per analizzare a fondo una scelta condivisa da molti paesi europei, e non solo per la paura dell'incidente sempre in agguato. Vent'anni di articoli obbligatoriamente noiosi per dare conto del problema sotto tutti i suoi aspetti, prima di tutto quello economico. Vent'anni di numeri senza nemmeno una smentita, a dimostrazione del fatto che l'atomo è davvero la scelta più costosa in assoluto, anche senza mettere in conto tutti i disastri normalmente pagati dalla collettività, come ad esempio l'irrisolto problema della gestione delle scorie: le poche prodotte nella breve stagione nucleare italiana ancora viaggiano per il belpaese mentre oggi si scopre che gli scarti radioattivi ospedalieri (meno consistenti ma altrettanto pericolosi) vengono tranquillamente buttati nei cassonetti. Poi ci si sono messi pure gli americani - per la precisione l'US Army - con la stima della durata delle restanti scorte di uranio: ancora venti o trent'anni al ritmo di consumo attuale, e poi ti saluto.
Alla fine si finisce con lo scrivere sempre lo stesso articolo che, numeri a parte, dice sempre la stessa cosa: il nucleare è pericoloso, di forte impatto ambientale (le scorie) estremamente costoso e, comunque, di breve durata visto che il problema dell'esaurimento non riguarda solo il petrolio.
Fior di ecologisti - ma anche economisti, climatologi e ricercatori di ogni risma - hanno scritto libri su libri per illustrare metodi più economici e meno inquinanti per produrre la stessa quantità di energia dei costosi reattori. Anzi, paradossalmente, costerebbe ancora meno non produrla affatto, l'energia, ma riparare una rete vecchia di cinquant'anni che ne disperde quasi un terzo. Paesi più avanzati del nostro, e ben più freddi, utilizzano già da tempo l'energia solare così come quella del vento, mentre fioriscono i piani per l'efficienza energetica, quelli cioè che consentono di dimezzare i consumi e quindi raddoppiare l'energia a disposizione senza costruire alcunché. Vent'anni di studi che non vengono mai apertamente contestati dai fan dell'atomo ma semplicemente ignorati in nome dell'ennesima emergenza, vera (come quella climatica) o falsa (come le varie crisi del gas).
Che la lobby nuclearista del nostro paese si occupi poco di simili quisquiglie ha una spiegazione abbastanza ovvia: nello pseudo-capitalismo italico l'affare non è nel futuro - il solare e le rinnovabili - o nella manutenzione dell'esistente quanto nella solita cascata di denaro pubblico che accompagna l'apertura di ogni cantiere. Grazie agli aiuti di Stato - sotto forma di agevolazioni tariffarie, erogazioni a fondo perduto e chi più ne ha più ne metta - le grandi aziende come l'Enel potranno ripianare i debiti accumulati nella stagione delle acquisizioni e Confindustria è contenta. Se poi gli impianti non verranno ultimati non è un problema anzi, forse è anche meglio così saremo dispensati da un'altra stagione di dilettantesca gestione delle scorie.
A questo punto però, sorge spontanea una domanda: perché il governo italiano, ma anche i governi di paesi più "normali" del nostro, sono tornati a flirtare con i programmi nucleari? Visto che economicamente sarebbe più conveniente investire soldi pubblici in vasti progetti di riammodernamento delle reti e di riconversione alle energie rinnovabili, perché si sceglie invece una produzione non rinnovabile, costosa e tendenzialmente pericolosa? Sono due le risposte possibili, una peggio dell'altra. La prima riguarda la trasformazione dell'economia globale da produttiva a parassitaria, come è avvenuto negli Stati Uniti sotto l'amministrazione Bush dove, a riempire il vuoto lasciato dalla deindustrializzazione provocata dalla fuga delle fabbriche verso il lavoro schiavista, ci pensano i regali di Stato alle grandi corporation dell'energia, delle armi o di entrambe le cose insieme. Nell'era del capitalismo delle catastrofi non c'è più posto per i paesi "normali" né per una normale economia basata sul calcolo costi-benefici.
L'altra risposta è molto peggiore ma forse, nel mondo disegnato da Washington dopo l'11 settembre, è abbastanza realistica perché, di fatto, l'energia atomica ha un solo valore aggiunto di cui le altre fonti energetiche sono prive: ci si fabbricano le bombe. Questo non significa che il ministro La Russa sogni l'atomica (sebbene non lo escluderei a priori) ma significa che i governi di tutti i paesi, nel decidere dove riversare i soldi dei contribuenti, non possono non prendere in considerazione la nuova corsa agli armamenti innescata dall'aggressiva politica Usa. Del resto, per quanto intrisa di propaganda, la questione del nucleare iraniano riguarda proprio questo: la possibilità che, attraverso il nucleare civile, un paese ricavi del combustibile da riprocessare per costruire le famose armi di distruzione di massa mai trovate in Iraq. Le proposte occidentali sono incastrate in questo paradosso: si chiede a Teheran di bloccare il processo di arricchimento dell'uranio - pena sanzioni, incursioni o peggio - offrendo in cambio l'accesso alla tecnologia nucleare che migliorerebbe questo processo. Il fatto è che la firma del Trattato di non Proliferazione assicura all'Iran il diritto di sviluppare il nucleare civile sotto stretta osservazione dell'Agenzia internazionale per l'Energia Atomica, ma non assicura il mondo sul suo eventuale impiego militare. Ma se anche un paese come l'Iran, circondato di vicini nucleari che non si sognano nemmeno di fare entrare gli ispettori (Israele, Pakistan, India…) corteggiasse l'idea di un sistema di difesa del genere c'è poco da stupirsi: è pura e semplice real politik come quella che muove i governanti di ogni paese, che siano fondamentalisti come Bush e Ahmedinejad o moderati come Sarkozy o Brown.
Ci sarebbe sempre l'altra strada, quella che potrebbe rispondere all'insicurezza globale rilanciando il multilateralismo per preparare la transizione al di fuori dei combustibili fossili senza dover passare per la guerra fino all'ultimo bidone. Ma purtroppo chi ci governa ha già imboccato la strada delle guerre coloniali e chi si oppone ha perso la visione d'insieme, e cade spesso vittima dell'ennesima favoletta propagandistica confezionata per convincere i nostri ragazzi a dedicarsi all'unico lavoro ancora ampiamente disponibile, quello del mercenario più o meno privatizzato. L'energia atomica è da sempre strettamente connessa con le esigenze militari, dalla bomba ai proiettili di uranio impoverito ricavati dalle scorie, e dimenticarlo in un momento come questo è davvero grave. Perché, al di là dell'ambiente e del costo economico, questo è forse il motivo più importante per opporsi alla deriva atomica, dove la distinzione fra civile e militare è puramente illusoria.