giovedì 24 luglio 2008

Quei 25 reattori e i pericoli per l’Italia

Quei 25 reattori e i pericoli per l’Italia

La Repubblica del 24 luglio 2008, pag. 2

di Elena Dusi

Entro duecento chilometri dai nostri confini ci sono 25 reattori nucleari (ma una centrale può avere più di un reattore). Autorità di controllo, sistemi di allerta rapida, strumenti per il monitoraggio continuo della radioattività sono lo scudo dietro al quale l’Italia cerca di proteggersi dal "pericolo atomico", percepito come una minaccia anche dopo essere stato bandito in casa.



Francia, Svizzera, Germania e Slovenia: lungo l’arco alpino si snodano le centrali che, volenti o nolenti, dobbiamo considerare anche nostre. Le più vecchie risalgono agli anni ‘70 e sono addirittura antecedenti a Chernobyl, in cui il primo reattore fu "acceso" nel 1977. «L’invecchiamento degli impianti è una possibile spiegazione di questi allarmi in serie» secondo Roberto Mezzanotte, responsabile dei controlli nucleari dell’Apat, Agenzia per la protezione dell’ambiente. Se la centrale di Tricastin (4 reattori più vari impianti di trattamento del combustibile) risale al 1980, in Francia altri 3 siti nucleari su un totale di 22 sono stati messi in moto prima di quella data. In Germania 6 centrali su 18 risalgono agli anni ‘70, e il loro pensionamento è previsto al massimo entro il 2011. La Svizzera ha addirittura 3 reattori su 5 realizzati a cavallo tra il 1969 e il 1971. E perla centrale più vecchia, quella di Beznau, la chiusura dei battenti è prevista solo nel 2019. In Slovenia l’impianto di Krsko (il più vicino in assoluto ai confini italiani, protagonista all’inizio di giugno di un allarme che poi è stato ridimensionato) ha cominciato a iniettare energia nella rete elettrica nazionale nel 1981.



Sull’invecchiamento delle centrali altrui, l’Italia non ha alcun diritto di intervento. L’unica strategia è il monitoraggio dei propri confini. «Le anomalie di questi ultimi mesi sono state molte - spiega Mezzanotte - ma in nessun caso i nostri strumenti hanno rilevato alcunché di anomalo». Gli incidenti nucleari sono classificati secondo una scala da zero a sette. «E per far scattare il piano di emergenza in Italia occorre che un incidente avvenuto all’estero raggiunga il grado più alto, quello di "catastrofe"». I sistemi di controllo di oggi sono figli della lezione di Chernobyl (unico precedente di "catastrofe" in Europa). Oltre ai due sistemi di allerta rapida attivi nella Ue (E-curie) e a livello mondiale (Aiea), l’Italia sfrutta una rete di stazioni che "sniffano" l’aria in continuazione. Le brezze dei mari e la tramontana dalle Alpi portano alle sentinelle dell’Apat le tracce di un’eventuale radioattività anomala. «Da Trieste, Torino, il monte Cimone, Capo Caccia in Sardegna, il Gargano e Portopalo di Capo Passero, l’estremità più meridionale dell’Italia, i sensori dell’Apat misurano le particelle dell’aria e trasmettono i dati al centro di controllo di Roma», spiega Mezzanotte. «Siamo attrezzati perfino per rintracciare un satellite magari caduto dal cielo con i suoi apparecchi alimentati a energia nucleare.

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