sabato 4 aprile 2009

La via italiana al nucleare: una follia energetica

La via italiana al nucleare: una follia energetica

Liberazione del 3 aprile 2009, pag. 18

Massimo De Santi

Il popolo italiano si è già espresso per il No al nucleare (referendum 1987). Eppure il governo ha approvato in fretta e furia un programma per la costruzione di centrali nucleari per la produzione di energia elettrica. Il partner è la Francia, che ha certamente accumulato un grande background nucleare, sia civile che militare. E` una scelta paradossale, visto che, nonostante i suoi cinquant`anni di esperienza (19 centrali atomiche con 58 reattori in funzione), la Francia si trova oggi in seria difficoltà per le scelte nucleari del passato: problema della sicurezza delle centrali e dello smaltimento delle scorie radioattive. Nel 2008 in Francia si sono verificati diversi incidenti agli impianti nucleari che non hanno ancora trovato una risposta tranquillizzante da parte delle autorità competenti, senza che queste abbiano mai eseguito né le valutazioni di impatto sanitario (effetto delle radiazioni ionizzanti), né gli approfonditi sul genoma umano nelle zone vicine agli impianti nucleari. Questa cosiddetta rinnovata via italiana al nucleare è una follia energetica: siamo di fronte a un vero e proprio crimine ambientale, sanitario, sociale ed economico. Ma procediamo con ordine. 1. La costruzione di una centrale nucleare richiede mediamente dieci anni, un tempo troppo lungo rispetto agli stessi obiettivi annunciati, tra i quali la riduzione dell`effetto serra. L`estrazione dell`uranio, il suo trasporto, la produzione delle barre di combustibile e la costruzione stessa della centrale sono tutti processi che richiedono grandi quantità di combustibili fossili con alta produzione di Co2. 2. Il nostro paese dovrebbe importare "chiavi in mano" le centrali nucleari dalla Francia con l`ingente esborso di 3 miliardi di euro per ogni centrale. 3. L`Italia non ha più tutte le competenze nucleari degli anni `60 e `70 accumulate attraverso la ricerca, la sperimentazione e la stessa produzione di parti importanti delle centrali (Ansaldo Meccanica Nucleare, Fiat, Breda, ecc.). 4. Le quattro centrali nucleari previste, coprirebbero solo una parte minima della produzione elettrica del paese, che è una modesta frazione del consumo totale di energia. 5. Le ingenti risorse finanziarie necessarie al nucleare andrebbero a scapito di un efficace programma per il risparmio, l`efficienza dell`energia e le fonti rinnovabili, in linea con quanto previsto a livello europeo. 6. Sulla sicurezza non avremo garanzie sufficienti. Esiste, infatti, una sicurezza intrinseca all`impianto che deriva dal tipo di tecnologia usata (in questo caso di importazione francese) sulla quale non possiamo intervenire, una sicurezza derivante dall`ubicazione dell`impianto e una sicurezza di esercizio, di cui non abbiamo più le competenze di alta specializzazione necessarie. Elemento non trascurabile è la scelta dei siti (compatibilità territoriale, ambientale e sanitaria), che per una paese come il nostro stretto, lungo, densamente popolato e in gran parte sismico diventa praticamente irrisolvibile. Le zone più idonee (normalmente vicine ai grandi corsi d`acqua o al mare), sono anche le zone più popolate e cariche di impianti ad alto rischio (raffinerie, centrali termoelettriche, impianti chimici, ecc.). A meno che non si pensi di imporre la localizzazione delle centrali nucleari con l`esercito, più che con il consenso democratico degli enti locali e delle popolazioni. 7. I piani di preventiva evacuazione delle popolazioni in caso di incidente sarebbero una chimera. Siti ipotizzati quali Montalto di Castro nel Lazio (vicino a città come Civitavecchia e Roma) o l`Isola di Pianosa in Toscana, presenterebbero grandi difficoltà di intervento da parte dei mezzi di soccorso. In caso poi di incidente catastrofico (fusione del nocciolo del reattore nucleare, attentato, caduta di aereo, ecc), non ci sarebbero poi le condizioni minime per garantire la sicurezza delle popolazioni, considerato che nel nostro paese non siamo in grado di far fronte neppure alla elementare sicurezza nei luoghi di lavoro. 8. L`inquinamento radioattivo, per effetto dello sversamento nelle acque circostanti di radionuclidi a bassa e media intensità, interessa le falde idriche e la catena alimentare, mentre i gas radioattivi contenenti Iodio 131, producono effetti cancerogeni sulla tiroide. Tutte le radiazioni ionizzanti sono sempre mutagenetiche e non esiste una soglia minima garantita: i loro effetti sull`uomo (insorgenza di tumori, leucemie, ecc.) si possono avere anche a distanza di più di 20/30 anni. A livello internazionale si è definita per le radiazioni nucleari una soglia di "rischio accettabile", ma ciò non significa che tale soglia non sia dannosa. 9. Lo smaltimento delle scorie radioattive - barre esaurite di combustibile, strutture contaminate, smantellamento dell`impianto - è un problema ancora irrisolto. Il plutonio prodotto in centrale dai processi di fissione nucleare può servire anche per la costruzione di bombe atomiche e in ogni caso deve essere smaltito. Il plutonio è considerato l`elemento più radiotossico (1 milionesimo di grammo, se inalato, è potenzialmente sufficiente a indurre il cancro). Infine, il tempo di decadimento del plutonio (tempo in cui dimezza la sua radioattività) è di 24.200 anni: occorrono più di 100mila anni perché esaurisca la sua pericolosità radioattiva per l`uomo e l`ambiente. In definitiva, la berlusconiana via italiana al nucleare è dettata dalla logica capitalistica di massimizzazione del profitto: gli utili sono certi nella fase di costruzione della grande opera, le perdite vengono scaricate sul pubblico, non si risolvere il problema della dipendenza energetica, nè la diminuzione dell`effetto serra, nè tanto meno si offre l`uscita dai combustibili fossili. Il nucleare per il nostro paese è solamente una follia economica, energetica, ambientale e sanitaria e in tempi di crisi, un vero e proprio crimine sociale.

Slitta il piano per il nucleare

Slitta il piano per il nucleare

Il Sole 24 Ore del 3 aprile 2009, pag. 17

Federico Rendina

I "criteri" per cominciare a studiare dove piazzare le nuove centrali atomiche italiane arriveranno solo in autunno inoltrato, se andrà bene: il termine del 30 giugno è ufficialmente slittato. E poi, ma se ne parlerà comunque dal 2010, bisognerà vedersela con la consueta burocrazia: salta infatti l`autorizzazione unica e ritornano i vincoli della Via (valutazione di impatto ambientale) e Vas (valutazione ambientale strategica). Nel frattempo gli operatori elettrici che davvero pensano di partecipare alla sfida avranno qualche brivido in più sul fronte dei costi, comunque immani, dell`operazione. Salta infatti il progetto di costruire consorzi partecipati, seppure in minoranza, dalla Cassa depositi e prestiti. E chi vorrà avventurarsi nella pianificazione economica delle centrali atomiche sappia fin d`ora che dovrà accantonare dall`inizio tutti i denari per il futuro smaltimento delle scorie, e che dovrà riconoscere una serie di "compensazioni" economiche sia alle popolazioni, anche con bollette scontate, che alle amministrazioni locali. Alle quali bisognerà comunque garantire «elevati» (e non più «adeguati», come previsto nel progetto iniziale) livelli di sicurezza, da pubblicizzare finanziando campagne informative. E’ la nuova via crucis del rinascimento nucleare italiano, tracciata da maggioranza e opposizione nella commissione Industria del Senato, dove sta lentamente progredendo lo stralcio del ddl "sviluppo" che contiene appunto le norme per rendere credibile la promessa del Governo sul ritorno all`atomo elettrico. Le modifiche, che aggiungono nuovi tormenti, sono contenute negli emendamenti proposti o direttamente dalla maggioranza (slittamento di sei mesi per i criteri rispetto al termine del 30 giugno, no alla partecipazione della Cdp, compensazioni estese anche agli enti locali) o dall`opposizione con il via libera di molti membri della maggioranza (no all`autorizzazione unica, ad esempio). Tutto più difficile, dunque. Anche perché le nuove stime sulla effettiva convenienza dell`operazione preoccupano sempre di più. Lo testimoniano, tra gli altri, gli analisti del Boston Consulting Group. In Italia - spiega Fabio Cantatore, responsabile dell`area energia di Bcg per l`Italia - le centrali nucleari possono rivelarsi decisive per risolvere i problemi strutturali della nostra energia, riequilibrando il mix di combustibili che vede l`egemonia del gas, «mitigando la dipendenza dall`estero e contribuendo al taglio delle emissioni imposto dai protocolli ambientali». Ma in assoluto l`economicità dell`atomo, che richiede investimenti doppi o più probabilmente tripli rispetto a una centrale a gas o a carbone di pari potenza con la possibilità di "rifarsi" grazie al minor costo del combustibile, «non è affatto scontata», avverte Cantatore. Specie in una fase ciclica calante nei prezzi del barile e del gas. Fanno fede le valutazioni di Bcg sui costi marginali di produzione elettrica negli Stati Uniti, dove si usano davvero tutte le tecnologie a disposizione: tra i 62 e i 65 dollari il costo di produzione del magawattora da nucleare, tutto sommato analogo a quello consentito da una moderna centrale a carbone "pulito" e non lontano dai 70-75 dollari del ciclo combinato di gas. Le proiezioni finanziarie rafforzano la convinzione che a oliare l`operazione può essere solo un sistema di incentivi pubblici, diretti o indiretti, in grado di fornire una corsia normativa preferenziale e un significativo aiuto economico. Sul primo fronte gli ultimi emendamenti non rassicurano. Sul secondo nemmeno: l`estromissione della Cdp è un duro colpo, anche se un ipotetico consorzio "alla finlandese" (tutti concordano che il pool tra operatori, finanziatori e grandi consumatori di energia che si impegnano al ritiro dell`elettricità a prezzi programmati rappresenta anche per noi la migliore soluzione) potrebbe comprendere un protagonista davvero robusto: l`Acquirente unico, l`organismo pubblico che negozia e acquista l`elettricità per i clienti ancora "vincolati", ovvero le famiglie e le piccole imprese che hanno deciso di rimanere agganciate alle vecchie tariffe aggiornate trimestralmente dall`Authority anziché passare alle offerte sul mercato libero dell`energia.