mercoledì 31 dicembre 2008

La Germania in piazza contro il nucleare

La Germania in piazza contro il nucleare

di Guido Ambrosino

Il Manifesto del 12/11/2008

La protesta dei giovani a Gorleben

I container pieni di scorie nucleari tedesche, che a intervalli di circa un anno vengono rispediti ben impacchettati dall'impianto francese di La Hague al deposito di Gorleben, in Bassa Sassonia, non si lasciano fermare, tanto più che stavolta c'era un esercito di 18.000 poliziotti a fargli strada. Il trasporto radiottivo si può però intralciare e ritardare, stendosi sui binari lungo il percorso ferroviario fino a Dannenberg, o sdraiandosi per strada nell'ultimo tratto di 20 chilometri affidato ai camion. Ci si può mettere di traverso con i trattori, come gli agricoltori della zona attorno a Gorleben sanno fare magistralmente. O incatenandosi a piramidi di cemento, così che alla polizia servono ore per staccare i dimostranti. Gli avversari del nucleare, col suo corollario di inappetibile immondizia radioattiva, son riusciti a far ritardare di quasi un giorno l'arrivo degli 11 container nel «deposito provvisorio» di Gorleben, un capannone recintato e fortificato, dove già se ne trovano 80. L'arrivo dei barattoloni d'acciaio rinforzato era previsto per la mattina di lunedì. Invece hanno varcato la soglia del deposito solo dopo la mezzanotte, alle 0.19 di martedì.
Il ritardo è stato imposto dal gran numero di dimostranti. A protestare contro il trasporto precedente, un anno e mezzo fa, erano 5.000. Stavolta 20.000, rimasti per un lungo fine settimana, pronti a dormire all'addiaccio sulla paglia nonostante il freddo, confortati solo da scodelle di zuppa e tazze di caffè, messe a disposizione da una schiera di "aiutanti".
«Una nuova generazione del movimento di protesta contro l'atomo», titola soddisfatta la Tageszeitung, giornale autogestito nato trent'anni fa dai resti dell'opposizione extraparlamentare e dalla prima onda ecologista contro le centrali nucleari. Per numero i dimostranti hanno eguagliato i 20.000 della prima protesta a Gorleben nel 1977, quando si seppe della destinazione di Gorleben a deposito di scorie nucleari. E tra loro tanti giovani come allora. Anche la stampa conservatrice concorda sulla rinascita del movimento.
Il merito è della cancelliera Angela Merkel, decisa a stracciare il piano di dolce uscita dal nucleare concordato nel 2000 dal governo rosso-verde di Schröder, per cui i reattori tedeschi dovranno spegnersi uno dopo l'altro entro il 2022, a seconda della loro data di costruzione e quantità di energia già prodotta. Anche i liberali la pensano allo stesso modo. E se dalle elezioni del 2009 uscirà una maggioranza di centrodestra, che consentisse a Merkel di sbarazzarsi della grande coalizione con i socialdemocratici - è la Spd ora a bloccare una svolta - nulla salverà la Germania da nuovi reattori.
Il merito va anche all'acqua, che si è infiltrata nelle gallerie di Asse, una vecchia miniera di salgemma dismessa vicino a Wolfenbüttel, sempre in Bassa Sassonia, riempita tra il 1968 e il 1978 con 124.000 barili di rifiuti a bassa radioattività, provenienti soprattutto da apparati medici di radiologia, nonché con 1.300 contenitori di scorie a media radioattività forniti da centrali nucleari e dall'industria. Pare che ci sia anche del velenosissimo plutonio, ma non è certo, perché manca un inventario preciso. Certo è che l'estate scorsa si è appreso che in certe gallerie l'acqua è radioattiva, inquinata di Cesio 137, e si infiltra e si disperde nel sottosuolo. Il sale sciolto dall'acqua forma un miscuglio che corrode le pareti di metallo dei container, spesso banalissimi bidoni tinti di giallo, da cui ora gocciola brodaglia arrugginita. Le infiltrazioni d'acqua minacciano anche la tenuta delle gallerie. Scandalo nello scandalo: già nel '67 ci si era accorti dell'acqua. Gli operai allora impiegati hanno raccontato di pozzanghere da guadare con gli stivali. Ciò nonostante ci si sono messi a arrugginire i bidoni radioattivi.
Ora si dà il caso che anche Gorleben, finora destinata a ospitare il futuro «deposito definitivo» per il nucleare tedesco, sorga sul salgemma. I container, ora parcheggiati in superficie per lasciarli raffreddare, dovrebbero poi finire nel sottosuolo. Ma come escludere che l'acqua l'invada come a Asse?
Così si allontanata una soluzione per le scorie. Il ministro dell'ambiente Gabriel (Spd) vorrebbe ricominciare la ricerca di un sito adatto, considerando anche sedimenti di argilla o granito. Che però sono al sud, in regioni democristiane che non ne vogliono sapere. Una bella grana per Merkel.

Scoop della Bbc: nel 1968 gli americani, in gran segreto, smarrirono una atomica nei ghiacciai di Groenlandia

La Bomba dimenticata

di Emanuele Giordana

Il Manifesto del 12/11/2008

Scoop della Bbc: nel 1968 gli americani, in gran segreto, smarrirono una atomica nei ghiacciai di Groenlandia

«Il mistero della bomba nucleare americana scomparsa». Titolo secco per lo scoop con cui la Bbc ha allietato con un nuovo incubo atomico i suoi vasti lettori. La notizia rimbalza su giornali e siti Internet e si può riassumere in poche righe. Corre l'anno 1968. Il mondo si occupa d'altro e gli americani perdono, in gran segreto perché sono anche in territorio danese dove le operazione nucleari sono vietate, una... bomba atomica.
Finisce sotto il ghiaccio del Nord della Groenlandia, a seguito di un incidente a un bombardiere B-52. Il fattaccio accade a pochi chilometri dalla base militare di Thule (e forse qualche mattacchione ricorderà «Ho veduto», una canzone dei New Trolls, gruppo in voga degli anni Sessanta-Settanta, che parlava appunto dei...ghiacci di Thule). In realtà c'è ben poco da ridere.
La Bbc, sulla base di documenti declassificati grazie alla legge americana sulla libertà di informazione, il Freedom of Information Act (Foia), scopre infatti che il 21 gennaio del 1968, un B-52 si è schiantato sul ghiaccio a pochi chilometri dalla base militare americana, sulla costa nord-occidentale della Groenlandia (territorio danese), perdendo il suo pericoloso carico di bombe. Thule è la base più settentrionale delle forze armate americane ed era un centro nevralgico del sistema di radar che proteggevano il paese durante la Guerra fredda. Le squadre di recupero si mettono al lavoro per cercare le bombe e bonificare il terreno (come racconta anche un video desecretato che mostra appunto l'operazione) ma ne trovano solo tre. Una non venne mai recuperata, nonostante le ricerche anche sottomarine. Probabilmente è rimasta imprigionata nei ghiacci settentrionali ad aspettare che venga restituita dall'effetto serra.
L'incidente è stato tenuto segreto per quarant'anni e per altro, riferisce la Bbc, gli americani ritengono che la radioattività si sia dissolta nella massa d'acqua e che non ci sia dunque più pericolo. Ma la faccenda resta inquietante: Per diversi motivi.
Il primo è strettamente connesso alla pericolosità di una bomba all'uranio e al rilascio dei suoi veleni. Difficile accettare a scatola chiusa le rassicurazioni di Washington. La seconda riguarda invece l'effetto positivo del Freedom of Information Act, una legge ottima che consente (cosa che in Italia avviene da pochissimi mesi) di poter leggere i documenti desecretati. Ma se questa è una buona notizia che di preoccupazioni non ne desta, l'Amministrazione si riserva di far rimanere segreti alcuni documenti ritenuti troppo sensibili. In buona sostanza, quando arriviamo alla verità, trenta o quarant'anni dopo, la conosciamo solo a fino a un certo punto.
La battaglia per la legge sulla libertà di informazione è però in continua evoluzione e la legge americana è un ottimo provvedimento pur con tutti i distinguo: qualche caso?
Iniziamo dal nucleare. Grazie ai National Security Archives (Nsa), una istituto di ricerca indipendente che studia i documenti desecretati per merito del Foia, sappiamo ad esempio quasi tutto su un documento che arrivò il 7 febbraio del 1969 sul tavolo di Henry Kissinger. Era un memorandum segreto sul possibile impatto della capacità nucleare di Israele sulla politica degli Stati Uniti. Il primo capoverso, intitolato «Il problema», spiegava che le fonti di intelligence indicavano come Israele stesse «sviluppando rapidamente la capacità di produrre e schierare armi nucleari»: missili terra-terra oppure ordigni da sganciarsi dall'aria. «Avendo coscienza delle implicazioni negative» che comporterebbe rendere nota la cosa, proseguiva il documento redatto da Henry Howen del dipartimento di Stato, Israele stava lavorando al programma «clandestinamente» finché non fosse stato in grado di decidere il modo in cui dispiegare la sua forza nucleare. I documenti rivelarono dunque, e solo nel 2006, non solo che Israele lavorava clandestinamente all'atomica, ma che gli americani se ne preoccupavano. E molto. Nondimeno le carte più «sensibili» (i famosi file Nssm 40 custoditi in un'apposita valigetta) resteranno coperti dal segreto di stato.
I Nsa hanno rivelato moltissimo dei segreti della Casa bianca, della Difesa e del Dipartimento di stato con un'operazione di grande trasparenza: dalla luce verde all'indonesiano Suharto per invadere Timor Est, a quella non meno verde al dittatore cileno Pinochet o ai militari argentini.
Proprio qualche giorno fa, il 5 novembre, il giudice Gladys Kessler del distretto giudiziario della Columbia, ha riconosciuto ai Nsa lo status di media e dunque il diritto di fare una serie di richieste che la Cia aveva rispedito al mittente giudicando improprio il soggetto che le richieste aveva sottoposte. Ma il giudice ha stabilito che se i Nsa sono un «new media», hanno anche il diritto di porre i quesiti che più ritengono opportuni, ossia richiedere i documenti che meglio possono far loro attendere al lavoro di un media: informare il pubblico. Ma la battaglia è dura.
Nel febbraio del 2006 diverse associazioni statunitensi (i Nsa ma anche National History Coalition, Public Citizen Litigation Group, Society for the Historians of American Foreign Relations) scrissero a a William Leonard, direttore dell'Information Security Oversight Office (Isoo) facendogli presente una «cultura della segretezza» dura a morire. Si trattava proprio di la secretazione di documenti desecretati da parte di diverse agenzie di intelligence: circa 55mila pagine che erano oramai da tempo disponibili e che, tra l'altro sono state già in parte rese note dalla stampa o dagli storici. La giustificazione risederebbe nel fatto che taluni documenti che dovevano restare segreti sarebbero stati desecratati per «errore», cioè inavvertitamente, da parte dei National Archives and Records Administration (Nara). Alcuni di questi documenti, secondo gli storici, sarebbero totalmente inoffensivi (le mappe ad esempio) mentre altri erano effettivamente «imbarazzanti».

Lettera22

Sì all'alternativa energetica, no al nucleare

Sì all'alternativa energetica, no al nucleare

di Mario Agostinelli, Vittorio Agnoletto, Mario Albanesi... *

Liberazione del 14/11/2008

Il 24 novembre 2008, a Roma si costituirà il Comitato per un'alternativa energetica, basata sulle fonti rinnovabili e il risparmio, anziché su un ingiustificato aumento dei consumi e sull'uso delle fonti fossili e di quella nucleare, come propone il Governo. Berlusconi e il suo esecutivo, nel quadro del progettato rilancio del nucleare, promettono di individuare entro sei mesi i territori destinati ad ospitare le centrali, violando così una precisa volontà popolare espressa con un referendum che a grande maggioranza aveva deciso di chiudere con il nucleare.
Non aspetteremo che siano individuati i siti nucleari per opporci a questa scelta e non lasceremo sole le località che rischiano di subire una decisione antidemocratica, calata dall'alto e per di più militarizzata nell'attuazione.
Sosterremo il diritto delle popolazioni locali a fare valere la loro opinione anche, se necessario, con referendum territoriali, tanto più che costruire nuove centrali nucleari contrasterebbe con l'impostazione dei piani Energetico Ambientali Regionali già approvati. Porteremo in ogni luogo una battaglia delle idee, la controinformazione e per questo sollecitiamo la preziosa collaborazione del mondo scientifico e di quello intellettuale e di quanti possono contribuire in tutte le forme democratiche a sensibilizzare l'opinione pubblica: il nucleare è una scelta che va contrastata e sconfitta nel paese.
A questo scopo diamo vita ad un Comitato attraverso il quale organizzare, insieme a tutti gli altri soggetti associativi che si mobiliteranno sul territorio, il rifiuto popolare di questa tecnologia intrinsecamente insicura e incapace di smaltire i rifiuti radioattivi che produce.
L'obiettivo che ci poniamo è di fare avanzare un'altra proposta di politica energetica basata sulle fonti rinnovabili e sul risparmio energetico, la sola scelta che permette di dare energia pulita al paese e contemporaneamente di ridurre le emissioni climalteranti. In linea quindi con gli obiettivi che l'Unione Europea renderà vincolanti nei prossimi mesi: ridurre, entro il 2020, del 20%, forse del 30% i gas serra attraverso un aumento del 20%, sia dell'efficienza energetica che delle fonti rinnovabili, mentre il Governo Berlusconi sta apertamente boicottando gli orientamenti europei rispetto al raggiungimento dell'autonomia energetica e del sostegno agli obiettivi di Kyoto.
Sono questi parametri i punti di riferimento di un nostro Piano Energetico Nazionale, la cornice entro la quale iscrivere le singole azioni, le scelte tecnologiche, la riconversione ecologica delle industrie più energivore, la riduzione dei rifiuti, il cambiamento del peso del trasporto individuale e su gomma.
Ci proponiamo di elaborarlo con il concorso più ampio delle popolazioni, sottoponendolo al giudizio dei cittadini, anche attraverso la presentazione di un progetto di legge di iniziativa popolare.
La nostra non sarà la sola iniziativa contro questa scelta sciagurata del Governo e quindi è nostra volontà coordinarci con tutte le altre strutture di mobilitazione, con le associazioni ambientaliste, con le persone del mondo della cultura e della scienza, con i sindacati, con le Regioni, con i Comuni disponibili .
Gli argomenti possono essere diversi ma ciò che conta è unire le forze sull'obiettivo comune di una nuova politica energetica e del NO al nucleare.
Berlusconi e i suoi ministri cercano di convincere che compiono questa scelta in nome della lotta ai cambiamenti climatici e per garantire energia abbondante e poco costosa al paese rafforzando anche la sua autonomia energetica.
Queste affermazioni sono entrambe false: il nucleare non serve né a combattere i cambiamenti climatici né a ridurre la bolletta energetica del paese e per di più è un enorme consumatore di acqua, bene sempre più scarso.
Va quindi rifiutato per le seguenti ragioni:

1. l'uranio non è una risorsa né rinnovabile né sostenibile, limitata nelle quantità e nel tempo, che per di più ha visto i suoi costi aumentare in modo vertiginoso.

2. non è affatto senza emissione di CO2 perché ne produce per l'estrazione del combustibile, durante la costruzione della centrale e nella fase del suo smantellamento.

3. nessuno dei problemi segnalati dalla tragedia di Cernobyl è stato risolto e quindi il nucleare civile continua ad avere problemi di sicurezza per le popolazioni non risolti anche durante il funzionamento ed un enorme impatto ambientale legato alla produzione di scorie radioattive che inevitabilmente si accumulano nell'ecosistema e graveranno sulle future generazioni per migliaia di anni. Va ricordato che in presenza di impianti nucleari è obbligatorio un piano di evacuazione delle popolazioni in caso di incidente grave, con l'abbandono di ogni attività, con pesanti restrizioni per le persone come vivere sigillati in casa.

4. espone il mondo a rischi di proliferazione delle armi nucleari e al terrorismo, del resto questo è l'argomento che viene portato contro l'Iran poiché la tecnologia in uso è stata pensata per produrre plutonio e la generazione di energia elettrica ne è un sottoprodotto.

5. non è in grado di risolvere né il problema energetico né quello del cambiamento climatico, infatti le risorse di uranio, già oggi scarse, non sarebbero sufficienti di fronte ad un aumento ulteriore della domanda ed è quindi inutile sperare di aumentare la capacità installata in maniera tale da coprire una quota significativa della nuova domanda di energia, né di sostituire la quota fossile.

6. ha dei costi economici e finanziari diretti ed indiretti troppo elevati che in realtà gravano sulla società e sulle finanze pubbliche e inoltre è una tecnologia che usa e spreca enormi quantità d'acqua

7. comporta un modello di generazione di energia centralizzato, basato su centrali di elevata potenza, che non garantiscono sicurezza e tanto meno assicurano il diritto all'energia diffusa nel territorio. Infatti il nucleare è un modello che richiede sistemi di gestione autoritari, centralizzati ed antidemocratici . Non a caso le centrali nucleari civili vengono considerate come gli altri siti energetici alla stregua di siti militari.
E quindi irrealistico pensare di uscire dai fossili rilanciando il nucleare, anzi in Francia una massiccia presenza del nucleare (78%) si accompagna ad un consumo pro capite di petrolio maggiore che in Italia.
Uscire dal petrolio e dalle energie fossili e non rinnovabili senza il nucleare si può.
E' matura, tecnologicamente ed economicamente, una scelta energetica a favore del risparmio energetico e delle energie rinnovabili che un programma di incentivi pubblici e l'utilizzo della leva fiscale possono e devono promuovere
Il paese può e deve essere più efficiente e non sprecare energia.
Questo è il primo obiettivo che ci proponiamo. Si calcola che metà dei consumi energetici italiani sono in realtà sprechi derivanti da usi poco razionali ed inefficienti dell'energia. Si può puntare molto in alto con il risparmio energetico, fino a risparmiare il 50% dell'energia oggi usata per garantire i servizi di illuminazione, riscaldamento, rinfrescamento, mobilità, usi industriali. Sono necessari interventi per aumentare l'efficienza dell'uso dell'energia e per correggere gli sprechi, sviluppando politiche di sufficienza diffusa nel territorio può portare a ridurre i consumi di energia, pur mantenendo standard elevati di vita, e per questo occorre puntare a risparmi significativi sia per il sistema economico che per il rispetto degli impegni di Kyoto, peraltro già oggi insufficienti di fronte ai cambiamenti climatici.
E' possibile e realistico puntare all'obiettivo di procurare al paese gran parte dell'energia che gli è veramente necessaria attraverso le fonti rinnovabili.
Lo si può fare, come dimostrano le esperienze di molti paesi, Germania e Spagna in particolare incentivandone l'installazione diffusa con lo strumento del "conto energia" che ha dimostrato nei paesi che l'hanno adottato di funzionare e aumentare notevolmente la capacità rinnovabile installata
Sono due strade alternative:
Quella del Governo non garantisce autonomia energetica al paese è antidemocratica, costosa, pericolosa per la salute delle persone e l'ambiente, oltre che poco utile per ridurre le emissioni climalteranti e ci isola dall'Europa .
La politica energetica da noi indicata invece riduce la nostra dipendenza energetica, sviluppa la ricerca e l'innovazione nelle attività produttive, fornisce i servizi energetici usando fonti rinnovabili (un barile di petrolio corrisponde ad un metro quadrato di pannello solare) che non alterano il clima e che sono diffuse sul territorio e quindi facilmente controllabili dalle popolazioni, oltre a promuovere un diverso sviluppo, creando nuova occupazione di qualità.

Questa è l'alternativa che proponiamo:
Sono queste le ragioni per cui decidiamo di promuovere un Comitato per il No al Nucleare e per il SI ad una politica energetica alternativa di risparmio e sviluppo delle fonti rinnovabili e per questo convochiamo un'Assemblea aperta a Roma lunedì 24 novembre, alle ore 14 presso il centro Congressi di via Frentani 4, aperta a tutti i contributi .

Mario Agostinelli, Vittorio Agnoletto, Mario Albanesi, Fabio Alberti, Giuseppe Amari, Marcello Amendola, Antonio Amoroso, Valentina Araldi, Franco Arqada, Alessandro Baldussi, Fulvia Bandoli, Angelo Baracca, Andrea Baranes, Vittorio Bardi, Paola Barassi, Katia Belillo, Giovanni Bellini, Natale Belosi, Paolo Berdini, Giorgio Beretta, Giovanni Berlinguer, Maddalena Berrino, Marco Bersani, Massimo Binci, Elio Bonfanti, Massimo Bongiovanni, Roberto Brambilla, Giorgio Braschi, Antonio Bruni, Mauro Bulgarelli, Paolo Cacciari, Paolo Cagna Ninchi, Luisa Calimani, Alberto Calza Bini, Valerio Calzolaio, Maria Campese, Elisa Cancellieri, Sergio Caserta, Antonio Canu, Luisella Caria, Gianni Cabinato, Mario Carucci, Bruno Ceccarelli, Carlo Cellamare, Paolo Cento, Franco Chiaramonte, Giuseppe Chiarante, Angelo Chiattella, Lilia Chini, Giuseppe Ciliberto, Marcello Cini, Paolo Ciofi, Nicola Cipolla, Tullio Cipriano, Lisa Clark, Flavio Conti, Elisa Corridoni, Giorgio Cremaschi, Alberto Deambrogio, Walter De Cesaris, Paolo De Marchi, Loredana De Petris, G.Carlo Desiderati, Sandro Del Fattore, Paolo Del Vecchio, Tana De Zulueta, Valeria Di Blasio, Pino Di Maula, Piero Di Siena, Pippo Di Falco, Raffaele Decimo, Angelo Diciotti, Anna Donati, Antonio Faggioli, Franco Ferretti, Lodovico Ferrone, Alessandra Filabozzi, Antonio Filippi, Domenico Fininguerra, Dario Fo, Pietro Folena, Antonio Fiascone, Primo Galdelli, Giuseppe Gavioli, Sergio Gentili, Alfonso Gianni, Roberto Gili, Giovanna Giorgetti, Giampiero Godio, Alfiero Grandi, Pietro Greco, Umberto Guidoni, Margherita Hack, Maria Dolores Lai, Nicoletta La Gioia, Giorgio Lion, Mirko Lombardi, Michele Losappio, Simone LoSavio, Simonetta Lombardo, Anna Luise, Ombretta Luongo, Walter Mancini, Nicoletta Marietti, Giuliano Martinetti, Dionisio Masella, Gianni Mattioli, Ugo Mazza, Giorgio Mele, Paolo Menichetti, Roberto Meregalli, Massimo Mezzetti, Maria Pia Montesi, Sandro Morelli, Roberto Musacchio, Gianni Naggi, Antonella Nappi, Alfonso Navarra, Amalia Navoni, Giorgio Nebbia, Luca Nencini, Nicola Nicolosi, Alfio Nicotra, Ferruccio Nobili, Corrado Oddi, Giovanni Oliva, Stefano Oriano, Michela Ottavi, Moni Ovadia, Elio Pagani, Manuela Palermi, Gianni Palumbo, Milena Pari, Giorgio Parisi, Renato Patrito, G.Paolo Patta, Dijana Pavlovic, Corrado Perna, Ciro Pesacane, Graziano Pestoni, Paolo Pietrangeli, Tommaso Pirozzi, Silvana Pisa, Carlo Podda, Giuseppe Pinna, Franca Rame, Carla Ravaioli, Francesca Redavid, Simona Ricotti, Giovanna Ricoveri, Natale Ripamonti, Elio Romano, Mario Sai, Nanni Salio, Vittorio Sartogo, Massimo Scalia, Enzo Scandurra, Tomas Schmid, Giorgio Schultze, Massimo Serafini, Monica Sgherri, Gianni Silvestrini, Massimiliano Smeriglio, Tommaso Sodano, Pietro Soldini, Morando Soffritti, Pier Luigi Sostano, P.Luigi Sullo, P.Giorgio Tiboni, Massimo Torelli, Aldo Tortorella, Massimo Totorelli, Gabriele Trama, Claudio Treves, Lucio Triolo, Pierattilio Tronconi, Anita Uccheddu, Francesco Vignarca, Vincenzo Vita, Alberto Vitali, Alex Zanotelli, Angelo Zola, Umberto Zona


14/11/2008

martedì 11 novembre 2008

Nucleare/ Nasce comitato per dire no, oltre 150 gli aderenti

Nucleare/ Nasce comitato per dire no, oltre 150 gli aderenti
"Grave il disegno del Governo, aggira la volonta' popolare"

Roma, 11 nov. (Apcom) - Opporsi e proporre; nasce con questo duplice obiettivo il Comitato antinucleare per un'alternativa energetica, basata su fonti rinnovabili e il risparmio, anzichè su un "ingiustificato aumento dei consumi e sull'uso delle fonti fossili e nucleari". Perché il "nucleare è una scelta che va contrastata e sconfitta nel Paese". Al comitato, che formalmente si costituirà il 24 novembre ma che è stato presentato oggi in conferenza stampa, hanno già aderito oltre 150 personalità tra esponenti del mondo scientifico di primo piano come Giorgio Parisi, Marcello Cini, Gianni Mattioli, Giorgio Nebbia, Margherita Hack, del mondo associativo, ambientalista, politico e sindacale.

"E' grave quello che il Governo sta cercando di fare, ignorando la volontà popolare che si è espressa una sola volta, e aggirandola per reintrodurre il nucleare - ha spiegato in conferenza Alfiero Grandi, uno degli aderenti al Comitato -. Quella che il Governo ha deciso di mettere in atto è un'operazione costosissima, si ragiona di impianti che oggi sono già vecchi e che tra 10 anni, quando saranno ultimati, lo saranno ancora di più. Si sta precostituendo un gigantesco affare che diventerà in realtà un'enorme perdita per l'Italia che non può permettersi di investire nel nucleare e nelle rinnovabili contemporaneamente".

"Berlusconi e il suo esecutivo promettono di individuare entro sei mesi i territori destinati ad ospitare le centrali italiane. Non aspetteremo che siano individuati i siti per opporci a questa scelta e non lasceremo sole le località che rischiano di subire una decisione antidemocratica, calata dall'alto e per più militarizzata nell'attuazione. Resta apertissimo anche il problema della sicurezza. Davanti ad un incidente - ha proseguito Grandi - sarebbero investite aree densamente abitate con e Roma o Milano. Questi sono problemi a cui si risponde con un'alzata di spalle l'alternativa che proponiamo prenderà sostanza a febbraio,-marzo, quando presenteremo una proposta per dimostrare che il nucleare non solo non è un male necesario ma non è neanche conveniente. E per questo presenteremo un piano alternativo, in linea con l'Unione Europea; un piano in grado di dimostrare che si può arrivare a creare un'alterantiva seria e concreta, sfruttabile in tempi brevi".

A sostegno delle parole di Grandi tra gli altri anche Mario Agostinelli, Pietro Soldini, il senatore Pd Vincenzo Vita e l'esponente dei Verdi Paolo Cento; proprio quest'ultimo ha voluto ribadire l'opposizione del proprio partito al nucleare e l'intenzione, anche grande al supporto del Comitato, di rispondere "colpo sui colpi alle misure che il governo ha intenzione di mettere in campo".

mercoledì 29 ottobre 2008

Energie rinnovabili: serve una rivoluzione copernicana

Energie rinnovabili: serve una rivoluzione copernicana
Liberazione del 28 ottobre 2008, pag. 20

di Nicola Cipolla
Mentre continua ad infuriare, malgrado le immissioni di liquidità di migliaia di miliardi di dollari, di euro e di yen, la crisi dei mercati finanziari e si sviluppa in Europa e in Italia un largo confronto sulle misure della UE contro la crisi ambientale gli articoli di Alfonso Gianni e di Marcello Cini sottolineano che "questo è il momento per la sinistra di costruire e fare valere una propria visione del futuro e della società che sia contemporaneamente la ricetta di fondo per uscire da questa crisi".
Partendo da queste premesse vorrei fare alcune considerazioni che continuano un impegno di mie riflessioni e di proposte a cui Liberazione in passato ha dato spazio.
Nel XX secolo le grandi rivoluzioni leniniste della Russia, della Cina, del Vietnam fino ad arrivare al Sud Africa ed ora all'America Latina, sono avvenute sulla base dell'alleanza degli operai e dei partiti che li rappresentavano con le sterminate masse contadine che sono state protagoniste sia della rivoluzione d'Ottobre sia della Lunga Marcia di Mao. Rivoluzioni che hanno posto fine ad un periodo della storia iniziato nel 1492 che ha dato all'occidente il dominio del mondo: la globalizzazione colonialista del genocidio degli indiani d'America, della tratta degli schiavi neri, della guerra dell'oppio e in ultimo all'apartheid del Sud Africa. Queste grandi rivoluzioni non ci hanno portato "sulla luna" di una società socialista quale noi sognavamo ma hanno certamente redistribuito ricchezze e poteri tra i principali raggruppamenti nazionali del mondo. Una società multipolare. Del resto anche la grande rivoluzione francese è riuscita sì ad aprire la strada alla libertà di commercio e di impresa e al diritto dei sudditi a farsi riconoscere come cittadini ma non a fare grandi progressi sulla strada dell'egalité e della fraternité.
L'altra grande crisi sistemica che è maturata, anche a causa dell'entrata di grandi popoli ex coloniali nella modernità, è quella di un sistema di capitalismo industriale basato sulle energie fossili: il carbone dell'800 che ha sostituito le vele con i piroscafi le diligenze con le ferrovie, i telai meccanici etc. Questa svolta tecnologica è stata alla base anche dello sviluppo della classe operaia e della cultura dell'organizzazione politica che, a partire da Il Manifesto di Marx ed Engels, si è sviluppata a cominciare dai paesi più industrializzati.
Alla fine dell'800 è cominciata l'era del petrolio, iniziata negli USA, la cui prorompente diffusione è stata lucidamente avvertita dal fondo di un carcere fascista da Antonio Gramsci con i suoi scritti su "americanismo e fordismo" e che, dopo la II guerra Mondiale, si è diffusa in tutti i paesi occidentali costituendo la base dell'egemonia americana.
Dopo due secoli di straordinario sviluppo industriale che ora si estende a quasi tutto il mondo questo modello basato sulle energie fossili si è rivelato, come Marcello Cini ricorda e come centinaia di scienziati hanno nel corso degli ultimi decenni sottolineato e i primi grandi disastri ambientali dimostrano, insostenibile in quanto attraverso questi processi produttivi vengono rimmessi nell'atmosfera composti di carbonio e di altre sostanze che l'evoluzione naturale nel corso di milioni di anni aveva sottratto dall'atmosfera e immagazzinato nelle profondità della terra rendendola vivibile come oggi la conosciamo.
Non riconoscere la necessità della fine di questo periodo storico dell'umanità significa, specie per chi vuole comunque collegarsi alle analisi del materialismo storico, porsi fuori dalla realtà e quindi fuori da ogni possibilità di influire sull'economia e sulla politica di ogni paese.
A mio avviso la crisi del movimento No Global è dovuta principalmente al fatto di non avere posto al centro della giusta critica alla globalizzazione capitalistica questo elemento di debolezza fondamentale del sistema economico basato sul profitto che costituisce, oggi nel XXI secolo, "l'anello più debole della catena".
In questo quadro si colloca l'attuale crisi dell'egemonia americana (si rilegga il libro di Immanuel Wallerstein Il declino dell'America) che è cominciata con la sconfitta del Vietnam e si conclude oggi con la crisi finanziaria di Wall Street che non pochi commentatori hanno paragonato alla caduta del muro di Berlino. L'avvento di un sistema unipolare al posto dell'equilibrio del terrore atomico bipolare, che aveva caratterizzato la seconda metà del secolo scorso, è durato in termini storici lo "spazio di un mattino". I due colossi che si sono svenati nel corso della guerra fredda hanno perso entrambi la loro egemonia: simul stabant et simul cadunt.
Partendo dall'analisi di queste tre crisi: globalizzazione coloniale, crisi ambientale e crisi dell'egemonia americana, si può avviare la ricerca di linee nuove di azione per la sinistra italiana, europea e globale.
La crisi ambientale è di tale portata che pur in un periodo dominato dal pensiero e dalla pratiche neoliberiste a livello mondiale ad iniziativa soprattutto di alcuni paesi dell'Ue, con forte presenza ambientalista, e dell'Unione nel suo complesso è stata avviata una contrattazione a livello mondiale sfociata negli accordi di Kyoto che prevedono in linea di principio un intervento degli Stati nell'economia per ridurre le emissioni inquinanti al fine di evitare il disastro ambientale. La storia di queste trattative è estremamente significativa per l'azione che l'America ha svolto, prima con Clinton, che ha subordinato la sua firma degli accordi all'abbassamento dei vincoli inizialmente proposti e poi del suo successore Bush che si è rifiutato di riconoscere il patto firmato dal suo predecessore.
Questo fatto ha un grande rilievo sia per individuare il ruolo degli Usa nella battaglia contro l'effetto serra sia per sottolineare il loro isolamento visto che, anche per l'adesione della Russia di Putin, è stato raggiunto il quorum di paesi e di emissioni necessarie per l'entrata in vigore degli accordi (Berlusconi imitando Bush nel suo attacco di questi giorni agli accordi di Kyoto ha affermato che li contesta perchè sono firmati dal governo Prodi).
Ma la crisi ambientale continua ad andare avanti e quindi la Ue è stata costretta a stabilire un altro giro di vite (il 20-20 e 20) che ha scopi tecnici immediati ma ha, dal punto di vista politico, un valore alto per rafforzare il peso della UE nella trattativa che si va ad iniziare a livello mondiale per i nuovi e più performanti accordi tipo Kyoto, con la partecipazione questa volta anche della Cina, dell'India e degli Stati Uniti. Il programma elettorale di Obama, prevede l'annullamento delle importazioni di petrolio dal Medio Oriente e incentivi alle energie alternative capaci di creare 5 milioni di nuovi posti di lavoro non delocalizzabili, e gli Usa e la Cina stanno raggiungendo la Germania nei primi posti tra i paesi produttori di energia eolica.
Può la sinistra non essere presente con il suo radicalismo necessario in questo dibattito e in questa battaglia decisiva per la difesa dell'ambiente e per la costruzione di una nuova società?
Qui un'ultima riflessione. Il passaggio dalle fonti fossili alle fonti rinnovabili è un passaggio epocale come l'avvio della rivoluzione industriale basata sul carbone, sul petrolio e sulle altre energie fossili. Questo passaggio ha già effetti positivi in paesi come la Spagna, la Germania, la Danimarca etc. e più li avrà in futuro sull'occupazione, sullo sviluppo industriale, sulla bilancia dei pagamenti ed anche sul famigerato PIL. Siccome il sole, il vento sono a disposizione di tutti e non sono quotati in borsa si va determinando una redistribuzione di poteri all'interno del sistema economico e quindi anche del sistema politico. E quindi si possono creare le condizioni per nuovi rapporti sociali e politici. Naturalmente è ovvio che i poteri forti, ancorati al vecchio sistema, si oppongano in ogni modo, anche confondendo le acque attraverso i mass media, a questa trasformazione radicale del sistema energetico.
E' ovvio, altresì, che un governo come quello di Berlusconi assuma posizioni retrograde come il ritorno al nucleare già condannato dal popolo italiano con il referendum dell'8 e 9 novembre 1987 e l'attacco alle proposte ambientaliste del Parlamento Europeo con l'inquietante compagnia di viaggio di poco raccomandabili residui del Patto di Varsavia. Perciò è necessario uno sviluppo non solo culturale, non solo di mobilitazioni di massa in varie manifestazioni ma anche di un'organizzazione che concretamente si inserisca nel processo di trasformazione energetica.
Per fare un esempio: Alfonso Gianni ricorda che il governo Prodi ha, stavolta ben consigliato, trasferito nella legislazione italiana, con un suo provvedimento sul Conto Energia per gli impianti fotovoltaici, i principi già vigenti da oltre un decennio, in Germania. Questo ha portato già ad alcuni modesti risultati ma afferma il diritto per tutti i cittadini italiani di costruire sul tetto della propria casa un impianto solare fotovoltaico capace di produrre tutta l'energia necessaria liberando così le famiglie dalle bollette sia della luce che del gas e addirittura fornendo un diritto a ricevere un pagamento per l'energia in esubero immessa in rete. Una possibile rivoluzione copernicana del sistema energetico che interessa un terzo di tutti i consumi energetici del paese. Difendere e realizzare questo diritto, che sarà certamente insidiato dal governo Berlusconi, (assieme al risparmio e alle altre energie rinnovabili) è una delle sfide fondamentali per lo sviluppo anche democratico del nostro paese.

giovedì 16 ottobre 2008

Altolà di radicali e Italia dei Valori Nucleare, l'agenzia apre un caso nel Pd

Altolà di radicali e Italia dei Valori Nucleare, l'agenzia apre un caso nel Pd

Corriere della Sera del 16 ottobre 2008, pag. 14

di S. Riz.

Il nucleare apre un caso nel Pd, anche se per Erminio Quartiani, uomo chiave della partita, la questione semplicemente non esiste. Non esiste perché i radicali che martedì alla Camera hanno preso le distanze dall'Agenzia per la sicurezza nucleare («che se c'è è perché abbiamo fatto noi la proposta», precisa il deputato del Pd), «non sono il Partito democratico». Resta il fatto che Elisabetta Zamparutti deputata radicale che ha sconfessato pubblicamente quell'Agenzia, passata in commissione con l'astensione puramente «politica» del Pd, che l'ha però concretamente sostenuta, è nello stesso gruppo parlamentare di Walter Veltroni. Ed è la prima volta che lì si fa una crepa su un tema così delicato come il ritorno alle centrali atomiche. Circostanza che fa quasi passare in secondo piano la ben più rumorosa reazione dei dipietristi che per bocca di Domenico Scilipoti si sono detti «stupiti per l'asten­sione del Pd, che invece ha sempre avuto una posizione diametralmente opposta a quella del governo, ovvero contro il nucleare».



Che cosa sta succedendo? Per Quartiani la posizione assunta dal Pd, indicativa secondo il leghista Andrea Gibelli, presidente della commissione Attività produttive della Came­ra, di «un clima bipartisan e costruttivo» sul ritorno al nu­cleare, non è né più, né meno, che quella «contenuta nel programma elettorale». Semmai con una «evoluzione che fa i conti con una situazione nuova». Quale sarebbe? «C'è una maggioranza parlamentare disponibile a chiudere con le preclusioni ideologiche e a dotarsi di una struttura per la ricostruzione di un sistema italiano per l'energia nucleare», spiega Quartiani. Ma se questo è vero, resta soltanto da capire se questa linea sia condivisa da tutto il Partito democratico, radicali a parte.



Anche l’ambientalista Ermete Realacci, per esempio, invita a ripassare il programma del Partito democratico. «C'è una posizione nota da tempo, che è quella di guardare, senza ideologismi, alle possibilità di sviluppo dell'energia atomica di quarta generazione».



Ma nel programma, sottolinea il ministro ombra per l'Ambiente del Partito democratico, «si dice pure che il nucleare non può essere la panacea per i nostri problemi energetici». E poi aggiunge: «Il governo vuole fare le nozze con i fichi secchi. Senza nemmeno dare garanzie di indipendenza per le nomine dell'Agenzia, prevedendo per esempio un passaggio parlamentare. Questa accelerazione è molto propagandistica e poco utile per l'Italia».



Soltanto sfumature? Andrea Margheri, ex senatore del Pci che a sinistra è fra i più convinti nuclearisti, la vede così: «La maggioranza ha scelto questo cavallo di battaglia per pura propaganda. L'opposizione risponde come fece Bertoldo, disposto a farsi impiccare a condizione di poter scegliere la pianta a cui appendere la corda. E scelse , una pianta di fragola». Traduzione: «Il Partito democratico sta sfuggendo al problema. La formula "nessun ideologismo" con cui Matteo Colaninno (mini­stro ombra del Pd per lo Sviluppo, ndr) pensa di aver risolto la questione, in realtà non risolve nulla. Perché se matura una scelta nucleare seria bisogna lavorarci, senza distinzioni politiche, con il contributo di tutte le energie. E questo ancora non si vede».

mercoledì 15 ottobre 2008

Nucleare, il governo va in minoranza

Nucleare, il governo va in minoranza

L'Unità del 15 ottobre 2008, pag. 8

di S.C.

Il ritorno al nucleare, che lo si ritenga giusto o sbagliato, è una cosa seria. E infatti il governo prima non ha neanche preso in considerazione l’ipotesi di istituire un organismo che vigili sui futuri impianti e sulla gestione delle scorie, poi ha approvato la nascita della cosiddetta Agenzia per la sicurezza nucleare, un ente che è sotto il controllo della presidenza del Consiglio. È tutto documentato nel resoconto dei lavori della commissione Affari produttivi della Camera. E nello sguardo d’insieme, non è che un dettaglio il fatto che il governo sia andato sotto nella votazione di un emendamento targato Lega e sottoscritto dal Pd che ha fatto sì che il tema della sicurezza in questo settore non sia delegato al solo ministero dell’Ambiente.



Domani il pacchetto energia del disegno di legge sullo sviluppo, che contiene le nonne relative al nucleare, verrà discusso in Aula. Ma già il confronto avvenuto in Commissione la dice lunga sul modo in cui il governo sta procedendo nel ritorno all’atomo. Prima la maggioranza ha deciso la soppressione dell’Enea (l’attuale Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente) che verrà sostituita da un nuovo organismo, l’Enes, poi ha provveduto al commissariamento della Sogin, società a cui è stata affidata negli anni passati la messa in sicurezza degli impianti italiani ancora in funzione e di quelli dismessi.



Ieri c’è stata la ciliegina sulla torta: dopo che il Pd ha lamentato l’assenza nel provvedimento messo a punto dalla maggioranza di un organismo nazionale di controllo, il governo ha presentato un emendamento al testo che introduce l’Agenzia per la sicurezza nucleare. L’ente dovrà gestire le scorie, autorizzare e controllare i nuovi impianti, effettuare le ispezioni e decidere eventuali multe e sospensioni o revoche delle autorizzazioni.



Quello che chiedeva l’opposizione, e non a caso il capogruppo del Pd in Commissione Andrea Lulli ha fatto notare che «il governo ha fatto marcia indietro» istituendo l’organismo. Ma alla fine il Pd si è astenuto, così come l’Udc, mentre l’Idv ha disertato il voto. Il motivo? Un paio di dettagli, su cui l’opposizione promette battaglia in Aula: il presidente dell’Agenzia verrà nominato dal presidente del Consiglio, che con decreto stabilirà anche i criteri di organizzazione e funzionamento interni dell’organismo.

domenica 12 ottobre 2008

Nucleare, quando i conti di Conti (Enel) tornano e danno ragione all´eolico

Nucleare, quando i conti di Conti (Enel) tornano e danno ragione all´eolico
di Massimo Serafini

ROMA. In un’intervista Sul Sole 24 ore di venerdì scorso, l’amministratore delegato dell’Enel Conti, annuncia agli industriali italiani: «Piano da venti miliardi, investire nel nucleare si può e l’Enel ha le competenze e i margini economici per farlo».
Tralasciando la questione se sia vero o meno che l’indebitata Enel abbia le risorse per affrontare un simile investimento, concentriamoci su quali obiettivi realizzerebbe: con 20 miliardi è possibile (secondo Conti) costruire 5 6 centrali nucleari di grande taglia (1600MW) come quella di Flamanville, per circa 9000 MW complessivi di potenza nucleare installata che produrrebbero circa 60 miliardi di kilowattora, il 20% dell’energia elettrica consumata oggi in Italia.

l'articolo completo lo trovate su greenreport a questo link

lunedì 6 ottobre 2008

E Pd apre al nucleare: le centrali? Nessun pregiudizio ma serve ricerca

E Pd apre al nucleare: le centrali? Nessun pregiudizio ma serve ricerca

L'Unità del 6 ottobre 2008, pag. 3

di Federica Fantozzi

Il Pd dice sì al nucleare purché sia un «sistema»: quarta generazione, ricerca avanzata, know how, rientro dei cervelli. E le centrali che il governo vuole costruire? In questo quadro, «nessun pregiudizio», l’epoca del «no ideologico a prescindere» è tramontata. Paletti invece sì: un paio di centrali non risolvono il problema del fabbisogno energetico e non devono essere «uno spot». Va in pressing il ministro dello Sviluppo Economico Scajola: «Basta chiacchiere, sfidiamo la sinistra e speriamo che raccolga la sfida. Se tutti i Paesi al mondo vanno sul nucleare, perché noi no? Non possiamo dipendere dagli umori di Paesi a rischio che ogni giorno potrebbero chiudere i rubinetti». Stamattina a Roma il partito di Veltroni terrà la sua Conferenza Economica intitolata «Così non va. Prezzi, redditi, produzione, consumi». Ne parleranno, oltre al leader, il ministro ombra dell’Economia Pierluigi Bersani, l’economista Stefano Fassina, i ministri ombra dello Sviluppo Economico Matteo Colaninno (che sarà il relatore sui temi energetici), del Welfare Enrico Letta e delle Infrastrutture Andrea Martella.



La Conferenza farà anche le pulci al centrodestra: «La politica economica del governo è assente. Non basta aver finito di abolire l’Ics e detassato gli straordinari». Alla presidente di Confindustria Marcegaglia risponderà: «Più Stato va bene, ma anche quando detta le regole, non soltanto quando aiuta le imprese». Tra le proposte ci sarà quella di sostituire alla social card una misura strutturale: una «quindicesima» per le pensioni fino a 4-500 euro. E la terza «lenzuolata» delle liberalizzazioni avviate da Bersani con il governo Prodi.



Mentre il ministro Scajola rassicura che il governo è determinato a porre la prima pietra di una centrale nucleare entro la fine della legislatura, nel Pd il tema dell’energia atomica diventa oggetto di un approccio articolato. Non una svolta: le aperture sull’argomento si sono susseguite, da Realacci a Bersani a D’Alema. Ma un chiarimento che dovrebbe spazzare via le chiusure aprioristiche del passato.



E che in un settore così delicato, su cui gli italiani si sono espressi con un referendum, alimenterà di certo un dibattito. I Democratici hanno così messo nero su bianco un progetto di lungo respiro e di apertura mirata alle nuove tecnologie che produrrà effetti tra 10-15 anni. Senza però chiudere la porta in faccia alla maggioranza.



Il piano di Largo del Nazareno prevede investimenti sulla formazione di operai e ingegneri («tutta da ricostruire, siamo fermi a vent’anni fa» spiega un tecnico del settore), siti di smalti- mento delle scorie e dei rifiuti sanitari. Prima fase: far rientrare l’Italia nel club dei Paesi a competenze avanzate, come Usa e Francia. Seconda fase: trovare un «mix energetico» in ambito europeo, in modo che se Francia e Germania investono sul nucleare il Belpaese può insistere sul gas.



Il governo vuole affidare all’atomo il 25% del fabbisogno energetico (anche se Scajola mira a ripartire dal petrolio italiano: un miliardo di barili stimati nel sottosuolo), il Pd non si sbilancia sulle percentuali. E chiaro che l’investimento maggiore resta sulle energie rinnovabili, mentre per la risposta immediata bisogna insistere sui rigassificatori.



E se Berlusconi spinge sul caro gasolio per convincere la gente, Bersani replica con una battuta: «Non ho mai visto un’auto andare a motore nucleare...». Ecco perché tra le prossime liberalizzazione c’è anche l’abolizione delle distanze minime tra benzinai.
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commento:
tutti i partiti sono diventati delle scorie nucleari di difficile smaltimento.

giovedì 2 ottobre 2008

Viene dal mare l'incubo nucleare

Viene dal mare l'incubo nucleare

di Junko Terao

Il Manifesto del 19/09/2008

Paura atomica per 30 milioni di giapponesi: a fine settembre la superportaerei attraccherà a Yokosuka, il più grande porto militare del Pacifico occidentale. È in ritardo, per «un piccolo incendio»: 70 milioni di danni e 36 feriti

All'arrivo a Yokosuka il colpo d'occhio è impressionante. Lungo la Yokosuka sen, la linea del mare, quella che nei fine settimana estivi i tokyesi prendono in massa per andare a fare un tuffo, il treno corre lungo la costa, l'oceano sulla sinistra e i boschi fitti sulla destra, poi imbocca un tunnel e lo scenario cambia nel giro di un minuto. Pensi di arrivare in una città di mare come quelle appena lasciate alle spalle, lunghe spiagge di sabbia sovrastate da foreste e casette basse, e ti ritovi nel più grande porto militare del Pacifico occidentale. Diciotto punti di ormeggio, diciassette imbarcazioni da guerra tra portamissili, sommergibili e fregate. Ne manca solo una, la più grande e spaventosa, che arriverà a fine settembre: la George Washington, la prima portaerei americana a propulsione nucleare ad attraccare in modo permanente in una città-porto giapponese. A una manciata di minuti c'è Kamakura, l'antica capitale risparmiata dai bombardamenti americani, panorama decisamente più gentile rispetto a Tokyo e meta obbligata per i turisti stranieri in cerca dell'illusione del «Giappone autentico». A Yokosuka, invece, il sabato pomeriggio trovi solo gruppetti di soldati americani a riposo che aspettano il treno per andare a Roppongi, il quartiere delle meraviglie per gli stranieri della capitale. La città, 400mila abitanti, si affaccia su una baia interamente occupata dal porto militare in uso alla marina statunitense e alle Forze navali di autodifesa giapponesi. A ridosso del porto, la base militare Usa, costruita subito dopo la vittoria alleata nel '45. E' da qui che partono le navi da guerra dirette in Iraq e nell'Oceano indiano per le operazioni in Afghanistan. Ed è qui che il 25 settembre attraccherà la George Washington: 102mila tonnellate per 333 metri di lunghezza e un'altezza pari a un edificio di 24 piani. Un ponte di volo in grado di ospitare un'ottantina di aerei e alloggi per un equipaggio di 6.500 persone. Il tutto trasportato dalla forza di due reattori nucleari Westinghouse con un'autonomia di quasi 5 milioni di chilometri. Il mastodonte manderà in pensione la vecchia Kitty Hawk, a carburante convenzionale, che da tempo disturba il sonno dei cittadini di Yokosuka e quello di tutti gli abitanti dell'intera area metropolitana di Tokyo - circa trenta milioni - costretti per i decenni a vivere con l'incubo nucleare sotto casa. Una situazione imposta dall'alto, su cui nessuno - non i cittadini, non il sindaco e nemmeno il governo - ha potuto o voluto esprimersi. Il primo cittadino Kabaya Ryouichi, eletto nel 2005 col sostegno del Partito liberaldemocratico, ha accolto la decisione con rassegnata deferenza, come ha fatto il governo di Tokyo quando da Washington è arrivata la comunicazione dell'arrivo della portaerei. Solo alcuni tra gli abitanti più combattivi della città-porto si sono organizzati in gruppi di protesta, e da tempo combattono come possono. «Per due volte abbiamo raccolto migliaia di firme e chiesto formalmente al consiglio comunale di fare un referendum per chiedere l'opinione dei cittadini, ma ce l'hanno sempre respinto», ci racconta Shigeki Suzuki, tassista sulla sessantina e presidente della Heiwasendan, letteralmente «flotta di pace», associazione di una ventina di membri che organizza manifestazioni per mare. Ogni volta che una nave o un sottomarino lasciano il porto o rientrano, l'equipaggio pacifista parte a bordo di gommoni o motoscafi a guastare le manovre. Microscopici pesci contro una balena, ma «bisogna evitare il silenzio, è importante che si sappia che non accettiamo tutto questo senza battere ciglio», spiega Hiroshi Niikura, tipografo, attivista pacifista fin dai tempi delle lotte del Sessantotto giapponese. Allora si pensava ci fosse ancora qualcosa in gioco: contro il rinnovo del trattato di sicurezza nippo-americano, contro la guerra del Vietnam - le navi americane partivano da Yokosuka, come quelle per la Corea - contro la costruzione dell'aeroporto di Narita. Nel frattempo, a Yokosuka, alcuni irriducibili combattevano la loro inutile battaglia contro il coinquilino sempre più ingombrante: la base americana e le gigantesche portaerei che a partire dal 1973, con la Midway, hanno ininterrottamente fatto parte del panorama della città. Eppure, allora, nessuno aveva detto che alla Midway sarebbero seguite la Independence, la Kitty Hawk e oggi la George Washington. «Few years», quelche anno, avevano fatto sapere gli americani ai cittadini preoccupati di sapere per quanto tempo avrebbero dovuto convivere con il gigante del mare. Sono passati 35 anni. Suzuki, Niikura e compagni fanno i conti: sono 400 le manifestazioni organizzate dalla loro piccola flotta in vent'anni di attività. L'ultima, che ha raccolto 15mila partecipanti - record assoluto dagli anni '70 a oggi - risale al luglio scorso. Insieme alla Heiwasendan e ad altre organizzazioni cittadine sono scesi in piazza e usciti per mare i gruppi anti-nuclearisti, tradizionalmente combattivi e ben organizzati. A bordo di pescherecci, motoscafi, gommoni e barche a remi, protestavano contro l'arrivo della George Washington dopo che un incendio a bordo, lo scorso maggio, ha reso evidenti le scarse misure di sicurezza e la minaccia nucleare che la città galleggiante porta con sè. Inizialmente previsto per agosto, l'arrivo della George Washington è stato infatti posticipato a fine settembre in seguito al «piccolo incidente», com'era stato definito inizialmente dalle autorità americane. Un «fuocherello» scoppiato mentre la portaerei navigava verso il Giappone, dove tutto era pronto per l'accoglienza e le scavatrici stavano ultimando l'allargamento del molo numero 12 del porto di Yokosuka. Solo dopo di due mesi la marina statunitense ha dovuto ammettere che si era trattato di una cosa grave: danni per 70 milioni di dollari, ustionato un marinaio e ferito altri 36. Una premessa proccupante che ha mandato in allarme gli abitanti della città-porto, ma non le autorità nipponiche che continuano ancora oggi a sostenere l'assoluta sicurezza e la totale mancanza di pericolo della nuova inquilina. «Non un controllo, non una richiesta di indagini da parte delle autorità - ci dice incredulo Suzuki - il sindaco, anche dopo l'incidente, sostiene che non c'è pericolo perché questo hanno detto le autorità americane». Nucleare sicuro. Eppure, solo a pochi giorni dalla manifestazione di luglio, Washington ha dovuto comunicare al ministro degli esteri giapponese che un'altra loro imbarcazione, il sottomarino Houston, ha perso acqua radioattiva per mesi mentre navigava tra le Hawaii, Guam e il Giappone. Inizialmente pareva avesse sostato solo a Sasebo, nel sud del Giappone, e a Okinawa, ma qualcuno l'ha avvistato anche a Yokosuka. «L'abbiamo fotografato, quel sommergibile ha attraccato anche qui», dice Niikura mostrando l'immagine dello scafo a pelo d'acqua. A lui e ai suoi compagni non è sfuggito: ogni mattina, a turno, uno di loro fa il giro del porto con una piantina in mano e prende nota dei movimenti, segnando per filo e per segno le imbarcazioni attraccate. Una mappatura quotidiana delle postazioni nemiche. Anche allora il governo americano e quello giapponese avevano minimizzato: nessun problema, le quantità di materiale radioattivo non sono quantificabili ma sono certamente innoque. Vai a fidarti.

Lettera22

Nucleare, un scelta disastrosa

Nucleare, un scelta disastrosa

di Mario Agostinelli

Il Manifesto del 26/09/2008

Il nucleare non fornisce risposte convincenti all'emergenza climatica e il ricorso all'atomo potrebbe rivelarsi fatale per un'economia fragile. Eppure il «sentimento prevalente» del paese subisce la campagna del governo Berlusconi, sostenuta dall'opportunismo dei capofila dell'economia italiana.

1. Un'impresa dissennata. Secondo l'Ipcc al 2020 saremo già in piena emergenza climatica se non interverranno prima riduzione dei consumi e blocco delle emissioni di Co2. In tali tempi ravvicinati il ricorso al nucleare risulta pressoché ininfluente. A un impianto nucleare, con 40 anni di funzionamento previsto, occorrono i primi 9 anni di esercizio per pareggiare l'energia spesa nella costruzione. Tenuto conto di 4 anni di lavori e di 5 tra localizzazione e progettazione, un sistema che sviluppa 1 impianto/anno darebbe energia netta positiva solo dal 19° anno (anche nel piano di Scajola arriveremmo al 2028). Se si raggiungesse entro il 2030 l'obiettivo buttato lì da Berlusconi - il raddoppio nel mondo delle centrali nucleari esistenti - per le emissioni globali di Co2 la riduzione sarebbe solo del 5% . Occorrerebbe una nuova centrale ogni 2 settimane da qui al 2030, spendendo tra 1.000 e 2.000 miliardi di euro, aumentando il rischio di incidenti e aggravando la questione irrisolta delle scorie. Se poi guardassimo oltre il 2030, il nucleare dovrebbe arrivare a pesare almeno per il 20-25% del mix elettrico per rallentare il cambiamento climatico. Occorrerebbero almeno 3 mila centrali nucleari in più (oggi sono 439): 3 nuove centrali al mese fino a fine secolo, con prezzi alle stelle dell'uranio in via di esaurimento.

2. Clima e acqua : emergenze ambientali. Lungo l'intero ciclo di vita dell'uranio, dalla miniera al reattore, si registrano emissioni di Co2 inferiori, ma confrontabili con quelle che accompagnano il ciclo del gas naturale. Sono emissioni connesse all'esercizio della centrale, ma soprattutto alle fasi relative a costruzione, avvio, posizionamento in loco del combustibile fissile, che possono avvenire attualmente solo con l'impiego molto elevato di fonti fossili nell'area di costruzione e in miniera. Inoltre, agli impianti nucleari occorrono enormi quantità di acciaio speciale, zirconio e cemento, la cui produzione richiede carbone e petrolio. Sommando tutto, la Co2 emessa nel ciclo completo di un impianto nucleare corrisponde all'incirca al 40% di quella prodotta dal funzionamento di una centrale di pari potenza a gas naturale. Senza contare lo stoccaggio finale dei rifiuti, per cui mancano esempi. L'energia nucleare è destinata solo alla fornitura di elettricità, che conta per il 15% degli usi finali di energia nel mondo (il restante 85% va in trasporti, calore per riscaldamento e processi industriali). Un aspetto critico, spesso taciuto, nel processo nucleare è la quantità di acqua necessaria. Per evitare rischi di incidente catastrofico l'acqua ai reattori deve fluire, per asportare l'eccesso di calore, in volumi 10 volte superiori a quelli delle centrali tradizionali, con dispersione in vapore in aria e ritorno nel letto a elevata temperatura. Dove le filiere atomiche hanno subito una diffusione massiccia, come in Francia, la crisi idrica si è già manifestata. In questo paese il 40% di tutta l'acqua fresca consumata va a raffreddare reattori nucleari.

3. Sicurezza. Il nucleare comporta seri e irrisolvibili problemi di sicurezza. A 22 anni dall'incidente di Chernobyl, non esistono ancora garanzie né per la contaminazione «ordinaria» radioattiva da funzionamento, né per l'eliminazione del rischio di incidente nucleare catastrofico. Piccole dosi di radioattività nell'estrazione di uranio e durante il normale funzionamento delle centrali, non sono rilevabili in tempo reale, ma solo registrabili per accumulo a posteriori. Vi sono esposti i lavoratori, come nel caso dei tre recentissimi incidenti consecutivi di Tricastin , in Francia, e la popolazione che vive nei pressi della centrale, come nel caso recente, di Krsko, in Slovenia. In un processo di combustione, spegnendo l'impianto, cessa anche la produzione di calore. In una centrale nucleare, invece, anche quando la reazione a catena viene «spenta», i prodotti di fissione presenti nel nocciolo continuano a liberare calore. Se non può essere rimosso, questo determina la fusione del combustibile e il rilascio catastrofico di materiale radioattivo, che si disperde nello spazio e permane attivo nel tempo. E' un'eventualità insopprimibile di una probabilità di catastrofe prevista e connaturata alla progettazione, che rende imponderabile il rischio nucleare. Nonostante l'enfasi che si vuole porre su un'ipotetica «quarta generazione» operativa solo dopo il 2030 (?), con i reattori in grado di eliminare parte delle scorie (?), l'impiego di miscele di combustibile meno pericolose (?), oggi si possono realizzare solo centrali intrinsecamente insicure. Le scorie radioattive sono tra i problemi più noti in relazione alle centrali nucleari. Non esistono soluzioni concrete. Le circa 250 mila tonnellate di rifiuti radioattivi prodotte finora nel mondo sono tutte in attesa di siti di smaltimento definitivi. Il problema rimane senza soluzioni, producendo effetti incommensurabili sul piano economico. Sarebbe impossibile affrontarlo ex novo su scala nazionale e irresponsabile trascurarne le conseguenze. In Italia, però, nel governo nessuno si preoccupa delle scorie prodotte dall'ipotizzato piano nucleare.

4. Esauribilità e costi. Secondo le stime del World energy council , l'uranio estraibile a costi convenienti è pari a 3,5 milioni di tonnellate, a fronte di un consumo annuo di circa 70 mila tonnellate. Al ritmo attuale l'uranio è disponibile solo per 40-50 anni. Se aumentassero le centrali, inizierebbe una competizione internazionale per questa risorsa scarsa. Il ciclo nucleare ha costi diretti e indiretti troppo elevati, e perciò destinati a essere scaricati sulla collettività. Di fatto, il nucleare è la fonte energetica più costosa che ci sia. Negli ultimi anni, il prezzo dell'uranio è cresciuto di sei volte, passando da 20 $ per libbra del 2000 ai 120 $ del 2007 e si prevede salirà. Inoltre, gran parte del costo dell'elettricità da nucleare è legato alla progettazione e realizzazione delle centrali: il doppio di quanto ufficialmente dichiarato, per i tempi di ritorno di 20 anni. Aggiungendo anche i costi di smaltimento delle scorie e di decommissioning degli impianti, le cifre sono imprecisabili, ma più alte delle altre fonti. Il Kwh da nucleare risulta apparentemente poco costoso dove lo stato si fa carico di sicurezza, ricerca e inconvenienti di gestione, ma soprattutto delle scorie e smantellamento delle centrali. Sono proprio questi costi e la possibilità di ripensamento dei governi in crisi finanziaria, a aver scoraggiato gli investimenti privati negli ultimi decenni. Nel caso dell'Italia, nonostante la propaganda di Scajola e soci, il nucleare non consentirebbe di ridurre la bolletta energetica. Infatti, per un totale di 10-15mila Mw di potenza installata su una decina di impianti, occorrerebbe costruire da zero tutta la filiera, investendo tra i 30 e i 50 miliardi di euro (scorie escluse) con i primi ritorni solo dopo 15 o 20 anni e sicuramente bollette più salate.

martedì 23 settembre 2008

Nucleare, ritorno a Caorso

Nucleare, ritorno a Caorso

Corriere della Sera del 23 settembre 2008, pag. 10

di Giangiacomo Schiavi

Dicono che si riparte da qui.

Da quest’angolo di Padania dove il nucleare è sepolto tra l’autostrada e il Po. Ci sono i canneti, le vecchie cascine, una garitta deserta. E c’è una centrale spenta, un relitto che aspetta di essere abbattuto. Per farla funzionare, quarant’anni fa, l’Enel ha investito 468 miliardi di lire; per tenerla ferma, vent’anni fa, lo Stato ne ha bruciati diecimila.



Impossibile dimenticare Caorso. E il day after del nucleare all’italiana, un caso d’eutanasia su un paziente sano. Nel 1969 doveva essere la centrale più potente d’Europa. Nel ‘78, in funzione, poteva accendere otto milioni di lampadine da cento watt, una potenza in grado di illuminare una città come Milano. Si è fermata, guastata ed è ripartita. Ha fatto risparmiare 1.700 miliardi sulla bolletta petrolifera. Dopo Chernobyl e il referendum è finita in un angolo morto della storia. Dal 1988 ammuffisce nel deserto della Bassa: chiuso il centro d’informazione, dimenticato il raddoppio, accantonata l’ipotesi di farne una nave scuola per tecnici e ingegneri. Un caso da manuale degli sperperi: da ferma la centrale costava 300 milioni al giorno.



Per anni 177 operai e tecnici hanno aspettato il segnale di una ripartenza, come i soldati di Buzzati nella Fortezza Bastiani. Il segnale è arrivato, ma molti di loro sono già in pensione. Adesso si sente dire che sulle ceneri della vecchia centrale ne può nascere un’altra. L’ipotesi non è campata in aria: è realistica. Di raddoppio si è sempre parlato. Più il premier Berlusconi e il ministro Scajola insistono sul ritorno del nucleare in Italia, più intorno a Caorso si aspetta, o si teme, la nomination.



Ci si mette anche il leader della Lega, Umberto Bossi, a fare da sponda: «Le centrali nucleari? In Padania la gente le accetterebbe. Siamo gente civile, non vogliamo rimanere senza frigo e condizionatore». Così il sindaco di Caorso, Fabio Callori, Forza Italia, è costretto a mettere le mani avanti: «Se questa è l’intenzione, cominciamo a parlarne. Sarebbe da pazzi dire no al nucleare a Caorso, ma bisogna prima coinvolgere la gente, discutere con gli enti locali, creare il consenso». Concorda il senatore di Forza Italia Guido Possa, responsabile del dipartimento Energia per la Lombardia, già viceministro per la Ricerca e ascoltato consigliere del premier. «L’identificazione dei siti è una scelta delicata. Caorso è la prima cosa che viene in mente quando si parla di nuove centrali. C’è un patrimonio enorme di conoscenza c’è una rete di controllo sociale che non va sprecata. Ma i passaggi da fare sono tanti e siamo solo all’inizio. L’accettazione deve passare attraverso un messaggio chiaro alla popolazione coinvolta e agli enti locali».



Quarant’anni fa non andò così. Lo ricordano nel libro «Piacenza, capitale dell’energia» i protagonisti di quell’avventura. A Caorso non ci fu nessun dibattito. Il Sole non rideva sull’Italia, la legge di Nimby («Non nel mio giardino») era sconosciuta. Un funzionario dell’Enel sbrigò la faccenda da solo, bastarono un paio di incontri in Comune. Il sindaco comunista Pietro Rossetti, un galantuomo in buona fede, disse di sì con la promessa di un risarcimento per i danni di una centralina sul Po. Ti consiglio comunale approvò il reattore con una licenza edilizia, come per un condominio. Un inganno nucleare, denunciò Italia Nostra. Consumato nel silenzio di una stampa interessata più ai miliardi dell’investimento che all’impatto ambientale. Ricorda un altro ex sindaco, Enrico Fanzini, succeduto a Rossetti: «Nessuno di noi sapeva niente di nucleare. Con l’aiuto del partito sentimmo uno scienziato inglese: ci fornì ampie assicurazioni sulla sicurezza». Una. centrale atomica, diceva, è più sicura di un’automobile. Era un altro secolo e c’era un’altra Italia. La Dc al 38 per cento, Rumor presidente del Consiglio, Nenni agli esteri, Tanassi all’Industria In prima prima pagina il crac di Felicino Riva, il rapimento Lavorini, le uova marce alla Bussola. E poi il Sessantotto, gli studenti in piazza, l’autunno caldo che incombe. E Le Monde che fotografa un Paese allo sbando, con il record europeo delle ore di sciopero e 873 giornate di lavoro perse ogni 1.000 lavoratori. «L’Italia ricorda la Grecia alla vigilia del golpe militare: scioperi selvaggi, blocchi stradali, guerriglia, picchettaggi, cortei nelle fabbriche molotov, culto verbale della violenza..». Cominciò così il nucleare all’italiana. Con tanto pressapochismo, bugie, strumentalizzazioni, furberie, confusione. Ma le competenze tecniche c’erano, e anche gli uomini: Caorso, dopo errori e battaglie, diventò un modello da esportare. Normale che se ne riparli. Qui c’è già tutto per una centrale: gli studi sismici, l’acqua del Po per il raffreddamento delle barre di uranio, le convenzioni sulla protezione ambientale, una rete di monitoraggio. C’è anche il famigerato piano d’emergenza, quello che fino agli anni Ottanta era un concentrato di inutile burocrazia chiuso a chiave in prefettura e che è stato riscritto, reinventato da Comune, Provincia e Regione. «State calmi, non è successo niente di grave», si leggeva in un ridicolo volantino da distribuire alla popolazione nel 1979, quando il prefetto rispondeva così a chi gli chiedeva notizie: «Un incidente a Caorso? Facimme ‘e corna».



Che storia. E che brutto finale. Con la centrale fermata dopo tre anni a pieni giri, dal 1982 all’85, e 29 miliardi di chilowattora prodotti. E con la popolazione di Caorso che non firma per il referendum e non sfila alle marce dei Verdi. Un caso unico nell’Italia dei no. Ma c’era Chernobyl nell’86, e la politica energetica in Italia cambiò strada. In piazza a Caorso in quei giorni c’era il vicesegretario del Psi, Claudio Martelli. Lo slogan era «.Atomo, addio». Il Pci si è allineato, la De ha avuto paura. Chicco Testa, futuro presidente Enel, guidava un corteo contro l’atomo. Oggi ha cambiato idea. Ripensiamo al nucleare, scrive. Guido Possa approva: «Il governo Berlusconi ne ha fatto una bandiera». Pierluigi Bersani, ministro ombra del Pd, nella prefazione del libro su Caorso, butta la palla avanti: «Il domani del nucleare appartiene alla quarta generazione». "Sul piatto ci sono però le centrali della terza generazione. E a Caorso, nell’attesa, c’è una pattumiera di vecchie scorie.

mercoledì 17 settembre 2008

Solare batte nucleare: ecco perché

Solare batte nucleare: ecco perché

La Stampa - Tuttoscienze del 17 settembre 2008, pag. 5

di Vincenzo Balzani
Per mettere a fuoco il problema dell'energia bisogna considerare che la Terra è come un’astronave che viaggia nell'immensità dell'Universo. Non consuma sue risorse energetiche per viaggiare, ma ha bisogno di tanta energia per i numerosi passeggeri che trasporta: già oggi sono più di 6,7 miliardi, con un aumento di circa 75 milioni all'anno. Ogni minuto nascono 32 indiani e 24 cinesi.

La storia della civiltà è strettamente correlata al progressivo sviluppo delle risorse energetiche, perché con l'energia si può fare tutto, o quasi. Si può anche rimediare alla scarsità di altre risorse; per esempio, se l'acqua potabile scarseggia, se ne può ottenere a volontà dall'acqua del mare, ma al caro prezzo energetico di un litro di petrolio per ogni 3 metri cubi di acqua.

Nell'attuale fase storica l'energia è fornita quasi esclusivamente dai combustibili fossili, ma ci rendiamo conto che sono un regalo irripetibile e quantitativamente limitato che la natura ci ha fatto. Oggi sappiamo anche che il loro uso massiccio e prolungato reca gravi danni all'uomo e all'ambiente. Partendo da questi incontrovertibili dati di fatto, è necessario compiere scelte sagge e prendere rapide decisioni nel campo della politica energetica.

La questione energetica mette l'umanità di fronte ad un bivio. Da una parte c'è la difesa ad oltranza dello stile di vita ad altissima intensità energetica dei Paesi ricchi. Uno stile di vita che non si fa carico dei danni dell'ambiente, non esclude azioni di forza o, addirittura, di guerra per conquistare le riserve fossili residue, non si cura di ridurre le disuguaglianze, si espone ai rischi della proliferazione nucleare e lascia in eredità alle generazioni future scorie radioattive per migliaia di anni. Dall'altra parte la necessità di rispettare i vincoli fisici del nostro pianeta imporrebbe un cambiamento dello stile di vita, che dovrebbe anche essere visto come una scelta etica: uno stile di vita fondato su più bassi consumi energetici, sobrietà e sufficienza. Questa seconda alternativa prevede un periodo di transizione, nel quale dovrà essere progressivamente ridotto l'utilizzo dei combustibili fossili, evitata l'espansione del nucleare e sviluppati tutti i tipi di energie rinnovabili, diffuse e non inquinanti, ciascuna valorizzata a seconda della specificità del territorio.

Per fare la scelta giusta ci vuole una politica che guardi lontano. De Gasperi ha scritto che proprio in questo sta la differenza fra un politico e un vero statista: il politico guarda alle prossime elezioni, lo statista guarda invece alla prossima generazione. Per agire come statisti, i politici dovrebbero ascoltare più spesso gli scienziati che, avendo minori condizionamenti, possono guardare più lontano.

Questo è fondamentalmente lo scopo che ha spinto un folto gruppo di scienziati a rivolgere al governo un appello (http://www.energiaperilfuturo.it), che è stato poi illustrato in un incontro presso il ministero per lo Sviluppo Economico. L'appello sottolinea l'urgenza che nel Paese aumenti la consapevolezza riguardo la gravità della crisi energetica e climatica, insiste sulla necessità del risparmio e di un uso più efficiente dell'energia, mette in guardia contro un inopportuno e velleitario rilancio del nucleare e, infine, esorta il futuro governo a sviluppare l'uso delle energie rinnovabili ed in particolare dell'energia solare.

L'Italia non ha combustibili fossili e neppure uranio. La sua più grande risorsa è il Sole, una fonte di energia che durerà per 4 miliardi di anni, una stazione di servizio sempre aperta che invia su tutti i luoghi della Terra un'immensa quantità di energia, 10 mila volte quella che l'umanità intera consuma. Guardare lontano, quindi, significa sviluppare l'uso dell'energia solare e delle altre energie rinnovabili, non quello dell'energia nucleare.

E' un guardare lontano nel tempo, perché non lascia alle prossime generazioni un immane fardello di scorie radioattive. E' un guardare lontano nel mondo, perché, a differenza dei combustibili fossili e dell'uranio, l'energia solare e le altre energie rinnovabili sono presenti in ogni luogo della Terra e, quindi, il loro sviluppo contribuirà al superamento delle disuguaglianze e al consolidamento della pace.

L'Italia ha più Sole dell'Austria, ma ha una superficie pro capite di pannelli solari termici 20 volte meno estesa. L'Italia ha più Sole della Germania, ma la potenza fotovoltaica pro capite installata in Germania è 30 volte maggiore. Fa specie che in Italia, dove l'unica risorsa energetica ampiamente disponibile è proprio il Sole, la maggior parte dei politici e degli industriali, e persino alcuni scienziati, non si siano ancora accorti che l'attuale crisi energetica offre al nostro Paese una grande opportunità che nazioni meno ricche di Sole hanno già colto, sviluppando nuove industrie e creando nuove forme di occupazione. Il risparmio, l'uso più efficiente dell'energia e lo sviluppo del solare e delle altre fonti rinnovabili sono le azioni necessarie per affrontare il difficile futuro che ci aspetta e per lasciare in eredità ai nostri figli un Paese vivibile.

NOTE

Università di Bologna

Siti per i rifiuti nudeari Puglia guida il fronte del «no»

Siti per i rifiuti nudeari Puglia guida il fronte del «no»

La Gazzetta del Mezzogiorno del 17 settembre 2008, pag. 10

di Giuseppe Armenise

Nucleare, si annuncia difficile il confronto tra governo e regioni. Il documento con il quale la Calabria, capofila, si presenterà all'incontro della conferenza Stato-regioni di domani sancisce l'indisponibilità dei territori a subire decisioni calate dall’alto tanto per quanta attiene la materiale individuazione del sito destinato allo stoccaggio delle scorie nucleari, quanta per la tipologia dei rifiuti radioattivi da avviare allo stoccaggio stesso.



Dall'incontro di ieri tra tutti gli assessori aU'Ambiente (assente la regione Veneto) è emerso un quadro di grande scetticismo sull’opportunita di riprendere il programma nucleare fortemente voluto dal ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola. A guidare il fronte del no proprio la regione Puglia con l'assessore all'Ecologia, Michele Losappio, il quale ha più volte ribadito l'inopportunità di chiedere ulteriori sacrifici ad un territorio giù abbondantemente marchiato da emergenze ambientali legate ad insediamenti produttivi (Ilva di Taranto e Petrolchimico di Brindisi su tutti).



La Puglia, peraltro, già oggi produce una quantità di energia - pari all'88% in più rispetto al fabbisogno - seconda solo a quella della Lombardia. Seguendo i parametri del protocollo di Kyoto, tali cifre (la Puglia, da sola, fa fronte al deficit di energia prodotta in Campania), sono strettamente legate alle quote di anidride carbonica (CO2) emessa in atmosfera. Un eccesso di CO2 di tali proporzioni mal si concilierebbe - è il ragionamento degli amministratori pugliesi - con l'eventualità di aggiungere altri impianti a quelli già esistenti.



Ma anche le altre regioni hanno espresso le loro perplessità sul futuro del nucleare in Italia e sulla possibilità di accollarsi, sia pure a fronte di incentivi e misure compensative, l'onere di ospitare il sito unico nazionale, ovvero la discarica dei rifiuti radioattivi (scorie e rifiuti sanitari a basso impatto) d'Italia.



Le perplessità si sono trasformate essenzialmente in due proposte che sono altrettante rivendicazioni nei confronti del governo. La prima: il sito-discarica delle scorie deve essere individuato necessariamente attraverso un processo di concertazione con le regioni, eliminando dunque qualsiasi alternativa di tipo imperativo, che consenta al governo nazionale di decidere da solo. La seconda: occorre eliminare dal piano del governo qualsiasi riferimento allo stoccaggio di scorie prodotte da impianti futuri. Dunque, nel sito unico nazionale, secondo le regioni, dovrebbero finire solo i rifiuti radioattivi di tipo sanitario a basso impatto e quelli delle vecchie centrali ormai dismesse da oltre un ventennio (Trino vercellese, Caorso, Rotondella).



Sul tavolo del governo c’è, in questo momento, anche la questione della nascita della nuova agenzia per il nucleare. A questo soggetto (probabilmente farà capo al ministero all'Ambiente) spetterà il compito di fissare i criteri ai quali dovranno rispondere i siti destinati a ospitare tanto la discarica dei rifiuti nucleari quanta le centrali e successivamente di effettuare i controlli tecnici e ambientali sugli impianti.

martedì 16 settembre 2008

Lite sui siti per le scorie nucleari

Lite sui siti per le scorie nucleari

Il Sole 24 Ore del 16 settembre 2008, pag. 26

di Federico Rendina

Senza l’accordo condiviso dalle regioni arriverà una decisione unilaterale del Governo, minaccia Palazzo Chigi. Oggi lo spinoso confronto ufficiale sul primo atto operativo del ritorno all’energia nucleare promesso dal Governo Berlusconi. Faccia a faccia tra gli assessori all’Ambiente e i manovratori del ministero dello Sviluppo e dell’Ambiente sulla prima annosissima questione da risolvere: il deposito unico per le scorie radioattive.



Problema a cui il Governo promette di dare una soluzione definitiva entro fine anno sulla base delle indicazioni di una commissione Governo-Regioni-Enea-Apat (insediata dal precedente governo di centrosinistra ma riconfermata anche dall’esecutivo in carica) chiamata ad individuare entro il 30 settembre almeno le procedure e la metodologia di selezione per realizzare il deposito dei nostri detriti nucleari.



Le premesse non sono affatto buone: una prima riunione informale ha prodotto, il io settembre, un sonoro altolà della regione Puglia. Il Governo - fa sapere l’assessore pugliese all’Ecologia, Michele Losappio - ha confermato la procedura che prevede l’aut aut: in caso di mancato accordo con le regioni il deposito verrà individuato dal Governo tramite la costituenda agenzia nazionale per il nucleare.



«La concertazione è vanificata, e assomiglia ad un bluff» taglia corto Losappio, ipotecando seriamente il confronto ufficiale in calendario oggi. Losappio parla prima di tutto per il suoi territorio. Ma argomenti "fotocopia", salvo poche varianti, sono state già abbozzate da tutti i rappresentanti regionali. Ognuno, nessuno escluso, pensa di avere ottime ragioni per vedere esonerato il proprio territorio da qualunque installazione che abbia anche lontanamente a vedere con l’elettricità da nucleare e relativa gestione delle scorie.



La Puglia «già sfiorata nel 2004 con la scelta berlusconiana di ScanzanoJonico» (il deposito lucano designato dal Governo per decreto e poi "revocato" dopo una vera sommossa popolare) in ogni caso «produce circa ottomila megawatt di energia e ne cede l’88% al resto del Paese» e dunque «dovrebbe essere perlomeno risarcita con la esclusione del suo territorio da ogni ipotesi di sito o di centrale nucleare». Comunque sia la Puglia «negherà il suo consenso nell’iter procedurale» avverte Losappio.



Il Governo cerca intanto di accelerare la nascita della nuova Agenzia per il nucleare, che piloterà sia i criteri per 1’omologazione" dei siti che ospiteranno le future centrali sia i controlli tecnici e ambientali. L’orientamento è quello di assegnare formalmente l’agenzia al ministero dell’Ambiente con un ruolo consultivo del ministero dello Sviluppo. L’Agenzia dovrebbe avere un organico di circa 300 persone, eredità delle vecchie strutture dell’Apat (Ministero Ambiente) con "rinforzi" dall’Enea. Nessun travaso invece (né di uomini né di ruoli) dalla Sogin, che continuerà a svolgere il suo ruolo di decommissioning e di attività di consulenza (retribuita) nel settore, in Italia e all’estero.



Per Sogin si parla piuttosto di un possibile spacchettamento tra le attività pubbliche di decommissioning dei nostri vecchi impianti e competenze ingegneristiche più mirate al business, in vista di una eventuale fusione con Ansaldo Nucleare, scorporata tre anni fa da Ansaldo Energia (Finmeccanica) e destinata alla quotazione all’inizio del prossimo anno.

domenica 14 settembre 2008

Rifkin: «Nucleare? L’Italia ritorna al Medioevo...

Rifkin: «Nucleare? L’Italia ritorna al Medioevo, la sinistra raccolga la sfida dell’energia pulita»
Andrea Carugati - L'Unità - 14 settembre 2008
«Se l’Italia sceglierà il nucleare tornerà al Medioevo, e si avvierà verso il collasso. E non lo dico per motivi ideologici, ma per ragioni economiche: non ci sarebbe nessuna reale convenienza economica». Jeremy Rifkin, economista e saggista statunitense di fama internazionale, è stato ospite ieri della scuola di politica del Pd a Cortona.

«In Europa ho collaborato con governi popolari e socialisti», premette. Ma quando gli si chiede un’opinione sull’annuncio del governo Berlusconi di un ritorno al nucleare, la sua chiusura è totale: «Al mondo ci sono 430 reattori, che producono circa il 6% dell’energia mondiale, una percentuale del tutto insufficiente per far fronte alla sfida dei mutamenti climatici, anche se l’industria nucleare afferma di essere pulita perché non produce emissioni di anidride carbonica. Ma per essere incisivo, il nucleare dovrebbe arrivare al 20% dell’energia mondiale: per far questo servirebbero 4mila nuovi impianti, bisognerebbe realizzarne 3 alla settimana per 50 anni, con costi insopportabili.
Per non parlare dell’uranio: le agenzie internazionali ci dicono che entro il 2035 si manifesterà una notevole scarsità di uranio».

Rifkin vede il nucleare come una «tecnologia da guerra fredda», mentre il futuro «è nelle energie rinnovabili, a partire dal sole». Ed è proprio attorno alle energie rinnovabili che lo studioso ha costruito la sua proposta di una «terza rivoluzione industriale», che prevede un vero e proprio mutamento copernicano, con l’obiettivo di «trasformare ogni edificio in una centrale in grado di produrre l’energia di cui ha bisogno, per poi mettere in rete le eventuali eccedenze».
«Negli Usa e anche in Europa, in paesi come Spagna e Grecia, gli imprenditori sono pronti, stanno solo aspettando un segnale dalla politica, e non importa se si tratta di forze di destra o di sinistra. Se domani Berlusconi mi chiamasse per far partire un progetto del genere io sarei pronto, come sto facendo con Zapatero. Sarebbe un’occasione per creare milioni di posti di lavoro, per far entrare l’Italia in un’era post carbone e post nucleare».
«Non è una questione ideologica- ribadisce- il punto è che bisogna salvare il pianeta dai cambiamenti climatici, altrimenti il rischio è che la razza umana si estingua entro questo secolo, come ha detto James Hansen, il direttore dell’istituto spaziale della Nasa. Abbiamo al massimo dieci anni di tempo per invertire la rotta, dopo sarà troppo tardi».

Secondo Rifkin il ruolo della politica in questa operazione è duplice: «Realizzare le infrastrutture che rendano possibile questo cambiamenti energetico e mettere in rete i soggetti interessati, a partire dagli imprenditori». «È chiaro che servono investimenti massicci, ma ci si può provare con delle partnership tra pubblico e privato, fondi nazionali, europei, delle aziende di costruzione e di quelle che si occupano di energie rinnovabili. In Spagna ci sono già delle esperienze avanzate: nella regione di Aragona una grande fabbrica della General Motors ha realizzato un tetto fotovoltaico in grado di produrre tutta l’energia necessaria per il funzionamento dello stabilimento e di 4700 abitazioni: c’è stato un investimento iniziale di 78 milioni di dollari, che si ripagherà in 10 anni e garantirà altri 50 anni di energia gratuita. Tutti i tetti del sud Europa possono fare la stessa cosa, l’azienda di costruzioni spagnola Acciona sta già realizzando edifici energeticamente autonomi».

Dopo la sua lezione, Rifkin ha incontrato Walter Veltroni: «Spero che il Pd sia all’altezza di questa sfida, Veltroni mi è sembrato molto aperto e impegnato sul fronte delle energie rinnovabili. Ora voglio vedere se passerà dalle parole ai fatti: mi aspetto che, entro gennaio 2009, il Pd sia in grado di lanciare una proposta al mondo imprenditoriale italiano, creando un gruppo di lavoro per la terza rivoluzione industriale e dando vita a un movimento di opinione nel vostro Paese.
Si può fare anche dall’opposizione e la nuova generazione, quella di Internet, è già pronta culturalmente a questa svolta democratica, alla nascita di un nuovo diritto umano, il diritto di accedere alla propria giusta quantità di energia». «Per questo - dice ancora Rifkin - mi auguro che il Pd in Italia faccia da catalizzatore di un processo dove non ci sono più le vecchie contrapposizioni del passato, ma cittadini, imprenditori, movimenti, forze politiche possono marciare uniti».

sabato 13 settembre 2008

Tricastin, nuovo incidente alla centrale "Nessun impatto sulla sicurezza"

Tricastin, nuovo incidente alla centrale "Nessun impatto sulla sicurezza"

La Repubblica del 9 settembre 2008, pag. 15

Prosegue l’estate nera della centrale nucleare di Tricastin, nel sud-est della Francia. Ieri è scattato il quarto allarme in due mesi. La barra di uranio usata come combustibile stava per essere rimossa quando i responsabili del reattore si sono accorti che era posizionata in modo anomalo. L’operazione è stata sospesa per precauzione, ma non ci sono state fuoriuscite di radioattività dalla centrale. «Questo avvenimento non ha alcun effetto sull’ambiente», ha precisato l’azienda Electricité de France.

Energia nucleare? No, grazie!

Energia nucleare? No, grazie!

Liberazione del 12 settembre 2008, pag. 19

di Marco Amagliani

Il rientro prossimo venturo dell'Italia nel novero degli Stati che utilizzano l'energia nucleare è già stato salutato come un passo importante verso la "modernizzazione del Paese".
Chi ancora possiede una minima capacità di critica sa bene che invece si tratterebbe nient'altro che di un "ritorno al passato", una ulteriore azione di retroguardia cui il nostro povero Paese sembra condannato. Azione utile forse ad arricchire i soliti noti, molti di quelli che vengono etichettati come "poteri forti", ma nulla di più.
Molti autorevoli commentatori, anche su questo giornale, hanno spiegato come la scelta del nucleare sia fuori dal tempo.
Vorrei provare a dimostrare i vantaggi di una scelta alternativa molto più utile e conveniente.
Un noto e avveduto esperto di energia come Leonardo Maugeri (il responsabile per la ricerca del gruppo Eni, non certo un ambientalista irriducibile), nel suo ultimo libro "Tutta l'energia possibile" sostiene che l'uscita dall'età del petrolio avverrà, non subito, attraverso l'energia solare, l'unica sorgente davvero in grado di fornire al pianeta Terra tutta l'energia di cui ha bisogno.
Anche secondo Maugeri il ruolo dell'energia nucleare non può che essere marginale e riservato a chi possiede già centrali. Pensare di rientrare ora in quel contesto è un assurdo sia tecnico che economico.
Investire sull'energia solare o, meglio, sull'insieme delle energie rinnovabili, è invece la strada maestra che può portare alla modernizzazione del Paese, oltre a consentirgli di governare meglio la riduzione delle emissioni di gas serra necessaria al fine di porre un freno al cambiamento climatico.
Tutto ciò, sia dal punto di vista tecnico, perché ormai tutti gli esperti sono concordi nel riconoscere che le energie rinnovabili hanno le qualità tecniche per risolvere i problemi energetici globali del futuro, sia dal punto di vista economico e sociale. E questo è il punto che m'interessa enfatizzare.
E' ben noto che i paesi che negli anni recenti hanno creduto di più nelle energie rinnovabili, sole, vento, biomasse, (Giappone, Germania, Danimarca e Spagna) hanno ricevuto in cambio la nascita di un'industria che crea molti posti di lavoro sul territorio, sostenibili e stabili. Questo è un aspetto che si tende a sottacere ma che va invece urlato.
La stessa Commissione Europea, nel documento di lancio della strategia energetica per il futuro del Continente, nota come 20-20-20 (20% di energie rinnovabili e taglio dei gas serra del 20% al 2020), emanato all'inizio del 2008, dice:

«Le tecnologie per le energie rinnovabili hanno già un fatturato di 20 miliardi di euro e hanno creato 300 000 posti di lavoro. Una quota del 20% di energie rinnovabili dovrebbe comportare per il 2020 la creazione di quasi un milione di posti di lavoro nel settore, un numero che potrebbe crescere se l'Europa utilizzerà il proprio potenziale per divenire un leader mondiale in questo campo. Inoltre il settore delle energie rinnovabili ha un'elevata intensità di mano d'opera; esso si basa su numerose piccole e medie imprese e distribuisce posti di lavoro e sviluppo in ogni angolo d'Europa: altrettanto vale per l'efficienza energetica degli edifici e dei prodotti».
E c'è anche un aspetto ideologico. A volte serve anche questo. L'energia rinnovabile è democratica e pacifista. E' una verità tanto banale quanto sconvolgente, capace di stravolgere gli equilibri geo-politici così come li conosciamo oggi: siccome il sole ce l'hanno tutti è impossibile scatenare una guerra per il sole. Sono già storia le guerre per il petrolio, non è impossibile prevedere una guerra per l'uranio, nessuno mai potrà fare una guerra per il sole o per il vento che muove le pale eoliche.
Con queste premesse la sfida risiede tutta nella capacità di creare presso l'opinione pubblica la consapevolezza delle reali potenzialità delle tecnologie rinnovabili. Conviene a molti mantenere in giro l'idea che le rinnovabili siano un giocattolo per ambientalisti "sognatori".
In questa maniera gli ingenti sussidi e incentivi che continuano a sostenere il nucleare e le fonti fossili (nell'incredibile silenzio della comunicazione ufficiale) possono rimanere dove sono.
Se invece si fa strada il concetto che il sole può dare (in un'ora arriva sulla terra l'energia consumata dall'umanità in un anno) e la tecnica è in grado di assorbire tutta l'energia necessaria a coprire l'intero fabbisogno globale, allora è ragionevole pensare che l'atteggiamento cambi.
Tale cambio di atteggiamento è, a detta di molti, l'unico strumento che potrà far crollare la barriera che ancora impedisce alla classe dirigente, soprattutto a quella italiana, di vedere quale direzione prendere per modernizzare davvero il Paese.
Bisogna riconoscere che i molti movimenti di opinione, i "comitati", che si oppongono alla realizzazione di quasi tutte le infrastrutture sul territorio potrebbero giocare un ruolo importante al riguardo.
Ragionando in positivo, un possibile denominatore comune dei "comitati" potrebbe allora essere quello di funzionare da catalizzatori verso le scelte virtuose di cui si parlava più sopra. Se si riesce a rendere fattibile ed efficace il modello di generazione distribuita previsto ad esempio dal Piano Energetico Ambientale Regionale delle Marche, con lo slogan "produrre energia dove serve, quanta ne serve e quando serve" allora la strada verso le energie rinnovabili è in discesa.
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NOTE

assessore all'Ambiente Regione Marche

Ue boccia il sostegno al nucleare

Ue boccia il sostegno al nucleare

ItaliaOggi del 12 settembre 2008, pag. 8

di Sabina Pignataro

L’energia nucleare non è una fonte utile per la lotta al cambiamento climatico e non può essere considerata alla stregua del solare, dell’eolico o delle biomasse. Lo sostiene la commissione industria, ricerca ed energia dei parlamento europeo che ieri ha votato sulla proposta di direttiva con la quale l’Ue vuole portare, entro il 2020, la quota di consumi di biofuel al 10% dei consumi totali di carburanti. 11 voto di ieri non rappresenta ancora quello dell’aula, che si esprimerà nella prossima sessione plenaria, ma offre già un’indicazione chiara dell’aspetto che potrebbe assumere la direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili.



Votando il rapporto firmato dal verde lussemburghese, Claude Turmes, è stato bocciato un emendamento che sosteneva la necessità di «introdurre piani per lo sviluppo di tutte le fonti a bassa emissione di carbonio in Europa», dizione che nascondeva la volontà di promuovere il nucleare all’interno del pacchetto delle rinnovabili, in pratica di considerarlo al pari dell’energia solare, dell’eolica e delle biomasse. Ha ricevuto invece il placet della commissione Iter la proposta di fissare al 45% (contro l’attuale 35%), il tasso minimo di riduzione delle emissioni di gas serra dei biocarburanti rispetto agli analoghi combustibili di origine fossile.



Una soglia del 45% favorirebbe i biocarburanti come l’etanolo ricavato dalla canna da zucchero e il biodiesel da semi di girasole. Saranno penalizzati invece gli agrocombustibili prodotti da barbabietola da zucchero, frumento, mais e anche colza e olio di palma. Ben più alto del 50%, poi, dovrebbe essere il tasso di risparmio di gas serra dei biocarburanti detti «di seconda generazione», ricavati cioè dai residui non alimentari delle colture (e quindi non in concorrenza con la produzione di cibo).



I deputati hanno inoltre immesso un nuovo obiettivo intermedio del 5% di utilizzo di biocarburanti per il 2015. Questo 5% viene suddiviso fra un 4% proveniente dalla produzione agricola (biocombustibili di prima generazione) e il rimanente 1% da fonti di elettricità verde e da biomassa. La stessa suddivisione viene imposta anche nell’obiettivo del 10% per il 2020, portando il tetto dell’agrocombustibile al 6% e quello dell’elettricità verde le della biomassa al 4%.

domenica 31 agosto 2008

Incidente in Belgio, un atomo tira l'altro

Incidente in Belgio, un atomo tira l'altro

Anna Maria Merlo

Il Manifesto del 30/08/2008

Dopo quelli francesi, guasto a un laboratorio a Fleurus «Attenti alle verdure»: l'allarme dopo una settimana

Quando si tratta di nucleare, le reticenze e l'opacità dell'informazione sono di rigore. L'ultimo episodio è successo in Belgio. Ieri, delle auto delle polizia munite di altoparlanti si sono finalmente decise ad informare la popolazione nella cittadina di Fleurus (20mila abitanti), chiedendo di non consumare frutta e verdura coltivata sul luogo, di non bere l'acqua del rubinetto e il latte prodotto nelle fattorie della zona. Queste misure si applicano anche ad altri comuni vicini della regione di Charleroi.
L'incidente aveva però avuto luogo nel fine settimana scorso. In questo caso non si tratta di una centrale nucleare, ma di un laboratorio dell'Istituto dei radioelementi, un'istituzione riconosciuta di utilità pubblica, il secondo produttore mondiale di radioisotopi ad uso medico. Nello scorso fine settimana, il personale aveva constato una fuga di iodio radioattivo e informato in seguito l'Agenzia federale belga del controllo nucleare.
Il borgomastro di Charleroi, Jean-Jacques Viseur, si è detto ieri «sorpreso» e «scontento» di non essere stato informato dei rischi in tempi decenti: «E' solo per caso che sono venuto a sapere che alcuni comuni del circondario di Charleroi erano anch'essi implicati dai consigli dati agli abitanti, di non consumare i prodotti degli orti». Il sindaco si inquieta: «Nessuno si è preso la briga di avvertirmi. Se non viene rispettato l'obbligo di informare il sindaco della città, cosa succederà in caso di una vera catastrofe?»
Gli ecologisti accusano il governo e l'Istituto dei radioelementi di aver avuto una reazione troppo lenta. L'Agenzia federale belga per il controllo nucleare ha classificato l'incidente al livello tre su una scala di sette. Si tratta del più grave incidente nucleare avvenuto in Belgio negli ultimi anni. Inizialmente, era stato presentato come inoffensivo per la popolazione. «La popolazione è inquieta - afferma il borgomastro di Fleurus, Jean-Luc Borremans - è normale, il nucleare fa paura, ma io ho fiducia nei professionisti del settore che mi dicono che la situazione è senza pericolo» e che la proibizione di consumare frutta, verdura, latte e acqua «è una semplice misura di prevenzione». Ma il borgomastro si è comunque informato presso le autorità se era il caso di distribuire ai suoi cittadini le capsule di iodio previste in caso di inquinamento nucleare. «Per il momento, non è il caso» ha detto, rassicurato.
La produzione dell'Istituto dei radioelementi è stata però sospesa da martedì scorso. Il borgomastro sottolinea che così si corre il rischio di privare di medicine alcuni malati di cancro: «Si tratta di un'impresa che ha un ruolo umanitario non trascurabile. Bisogna mantenere la testa fredda». Dell'incidente sono stati informati tutti i paesi del'Unione europea, oltre alla Croazia e alla Svizzera, che fanno parte del dispositivo Ecurie (acronimo di European Community Urgent Radiological Information Exchange).
La dinamica del caso belga ricorda quella dei recenti incidenti nucleari avvenuti in Francia all'inizio di luglio. A Tricastin prima, a a Romans-sur-Isère poi, le autorità hanno prima cercato di passare sotto silenzio la fuga radioattiva, poi hanno minimizzato la portata degli incidenti. In Francia, gli incidenti riguardavano delle centrali nucleari. A Tricastin, l'Autorità francese per la sicurezza nucleare (Asn) aveva chiesto la sospensione dell'attività solo dopo alcuni giorni di polemica crescente, dopo che si era verificata una fuga di 75 chilogrammi di uranio. L'azienda aveva già dato l'allarme con 12 ore di ritardo e prima che la popolazione venisse informata dell'incidente è passato altro tempo. Poi è stato detto che si trattava di un incidente minore, di livello uno. Ma in seguito si è scoperto che sul sito c'erano anche scorie di origine militare, che da trent'anni venivano accumulate senza precauzioni.
A Romans-sur-Isère la fuga era dovuto alla rottura di una canalizzazione che collega un laboratorio di produzione del combustibile nucleare con la stazione di ritrattamento. «Nessun impatto sull'ambiente, le quantità di uranio sono molto deboli», aveva rassicurato l'Asn, ma il ministero dell'ambiente ha dovuto prevedere analisi sulla radioattività intorno a tutte le 58 centrali nucleari francesi. Tricastin e Romans-sur-Isère sono due siti di filiali di Areva, l'ex Gogedim, il gigante al vertice del programma di esportazione del nucleare portato avanti da Sarkozy, che non perde occasione per propagandare «l'energia del futuro», che ha già venduto un po' dappertutto, dalla Libia alla Cina, dai paesi del Golfo al Sudafrica. Gli ecologisti accusano le autorità di mancare di trasparenza: «L'informazione è stata tenuta sotto stretto controllo dall'Asn - denuncia France, Nature, Environnement - la politica ha perso il controllo del nucleare».