mercoledì 29 ottobre 2008

Energie rinnovabili: serve una rivoluzione copernicana

Energie rinnovabili: serve una rivoluzione copernicana
Liberazione del 28 ottobre 2008, pag. 20

di Nicola Cipolla
Mentre continua ad infuriare, malgrado le immissioni di liquidità di migliaia di miliardi di dollari, di euro e di yen, la crisi dei mercati finanziari e si sviluppa in Europa e in Italia un largo confronto sulle misure della UE contro la crisi ambientale gli articoli di Alfonso Gianni e di Marcello Cini sottolineano che "questo è il momento per la sinistra di costruire e fare valere una propria visione del futuro e della società che sia contemporaneamente la ricetta di fondo per uscire da questa crisi".
Partendo da queste premesse vorrei fare alcune considerazioni che continuano un impegno di mie riflessioni e di proposte a cui Liberazione in passato ha dato spazio.
Nel XX secolo le grandi rivoluzioni leniniste della Russia, della Cina, del Vietnam fino ad arrivare al Sud Africa ed ora all'America Latina, sono avvenute sulla base dell'alleanza degli operai e dei partiti che li rappresentavano con le sterminate masse contadine che sono state protagoniste sia della rivoluzione d'Ottobre sia della Lunga Marcia di Mao. Rivoluzioni che hanno posto fine ad un periodo della storia iniziato nel 1492 che ha dato all'occidente il dominio del mondo: la globalizzazione colonialista del genocidio degli indiani d'America, della tratta degli schiavi neri, della guerra dell'oppio e in ultimo all'apartheid del Sud Africa. Queste grandi rivoluzioni non ci hanno portato "sulla luna" di una società socialista quale noi sognavamo ma hanno certamente redistribuito ricchezze e poteri tra i principali raggruppamenti nazionali del mondo. Una società multipolare. Del resto anche la grande rivoluzione francese è riuscita sì ad aprire la strada alla libertà di commercio e di impresa e al diritto dei sudditi a farsi riconoscere come cittadini ma non a fare grandi progressi sulla strada dell'egalité e della fraternité.
L'altra grande crisi sistemica che è maturata, anche a causa dell'entrata di grandi popoli ex coloniali nella modernità, è quella di un sistema di capitalismo industriale basato sulle energie fossili: il carbone dell'800 che ha sostituito le vele con i piroscafi le diligenze con le ferrovie, i telai meccanici etc. Questa svolta tecnologica è stata alla base anche dello sviluppo della classe operaia e della cultura dell'organizzazione politica che, a partire da Il Manifesto di Marx ed Engels, si è sviluppata a cominciare dai paesi più industrializzati.
Alla fine dell'800 è cominciata l'era del petrolio, iniziata negli USA, la cui prorompente diffusione è stata lucidamente avvertita dal fondo di un carcere fascista da Antonio Gramsci con i suoi scritti su "americanismo e fordismo" e che, dopo la II guerra Mondiale, si è diffusa in tutti i paesi occidentali costituendo la base dell'egemonia americana.
Dopo due secoli di straordinario sviluppo industriale che ora si estende a quasi tutto il mondo questo modello basato sulle energie fossili si è rivelato, come Marcello Cini ricorda e come centinaia di scienziati hanno nel corso degli ultimi decenni sottolineato e i primi grandi disastri ambientali dimostrano, insostenibile in quanto attraverso questi processi produttivi vengono rimmessi nell'atmosfera composti di carbonio e di altre sostanze che l'evoluzione naturale nel corso di milioni di anni aveva sottratto dall'atmosfera e immagazzinato nelle profondità della terra rendendola vivibile come oggi la conosciamo.
Non riconoscere la necessità della fine di questo periodo storico dell'umanità significa, specie per chi vuole comunque collegarsi alle analisi del materialismo storico, porsi fuori dalla realtà e quindi fuori da ogni possibilità di influire sull'economia e sulla politica di ogni paese.
A mio avviso la crisi del movimento No Global è dovuta principalmente al fatto di non avere posto al centro della giusta critica alla globalizzazione capitalistica questo elemento di debolezza fondamentale del sistema economico basato sul profitto che costituisce, oggi nel XXI secolo, "l'anello più debole della catena".
In questo quadro si colloca l'attuale crisi dell'egemonia americana (si rilegga il libro di Immanuel Wallerstein Il declino dell'America) che è cominciata con la sconfitta del Vietnam e si conclude oggi con la crisi finanziaria di Wall Street che non pochi commentatori hanno paragonato alla caduta del muro di Berlino. L'avvento di un sistema unipolare al posto dell'equilibrio del terrore atomico bipolare, che aveva caratterizzato la seconda metà del secolo scorso, è durato in termini storici lo "spazio di un mattino". I due colossi che si sono svenati nel corso della guerra fredda hanno perso entrambi la loro egemonia: simul stabant et simul cadunt.
Partendo dall'analisi di queste tre crisi: globalizzazione coloniale, crisi ambientale e crisi dell'egemonia americana, si può avviare la ricerca di linee nuove di azione per la sinistra italiana, europea e globale.
La crisi ambientale è di tale portata che pur in un periodo dominato dal pensiero e dalla pratiche neoliberiste a livello mondiale ad iniziativa soprattutto di alcuni paesi dell'Ue, con forte presenza ambientalista, e dell'Unione nel suo complesso è stata avviata una contrattazione a livello mondiale sfociata negli accordi di Kyoto che prevedono in linea di principio un intervento degli Stati nell'economia per ridurre le emissioni inquinanti al fine di evitare il disastro ambientale. La storia di queste trattative è estremamente significativa per l'azione che l'America ha svolto, prima con Clinton, che ha subordinato la sua firma degli accordi all'abbassamento dei vincoli inizialmente proposti e poi del suo successore Bush che si è rifiutato di riconoscere il patto firmato dal suo predecessore.
Questo fatto ha un grande rilievo sia per individuare il ruolo degli Usa nella battaglia contro l'effetto serra sia per sottolineare il loro isolamento visto che, anche per l'adesione della Russia di Putin, è stato raggiunto il quorum di paesi e di emissioni necessarie per l'entrata in vigore degli accordi (Berlusconi imitando Bush nel suo attacco di questi giorni agli accordi di Kyoto ha affermato che li contesta perchè sono firmati dal governo Prodi).
Ma la crisi ambientale continua ad andare avanti e quindi la Ue è stata costretta a stabilire un altro giro di vite (il 20-20 e 20) che ha scopi tecnici immediati ma ha, dal punto di vista politico, un valore alto per rafforzare il peso della UE nella trattativa che si va ad iniziare a livello mondiale per i nuovi e più performanti accordi tipo Kyoto, con la partecipazione questa volta anche della Cina, dell'India e degli Stati Uniti. Il programma elettorale di Obama, prevede l'annullamento delle importazioni di petrolio dal Medio Oriente e incentivi alle energie alternative capaci di creare 5 milioni di nuovi posti di lavoro non delocalizzabili, e gli Usa e la Cina stanno raggiungendo la Germania nei primi posti tra i paesi produttori di energia eolica.
Può la sinistra non essere presente con il suo radicalismo necessario in questo dibattito e in questa battaglia decisiva per la difesa dell'ambiente e per la costruzione di una nuova società?
Qui un'ultima riflessione. Il passaggio dalle fonti fossili alle fonti rinnovabili è un passaggio epocale come l'avvio della rivoluzione industriale basata sul carbone, sul petrolio e sulle altre energie fossili. Questo passaggio ha già effetti positivi in paesi come la Spagna, la Germania, la Danimarca etc. e più li avrà in futuro sull'occupazione, sullo sviluppo industriale, sulla bilancia dei pagamenti ed anche sul famigerato PIL. Siccome il sole, il vento sono a disposizione di tutti e non sono quotati in borsa si va determinando una redistribuzione di poteri all'interno del sistema economico e quindi anche del sistema politico. E quindi si possono creare le condizioni per nuovi rapporti sociali e politici. Naturalmente è ovvio che i poteri forti, ancorati al vecchio sistema, si oppongano in ogni modo, anche confondendo le acque attraverso i mass media, a questa trasformazione radicale del sistema energetico.
E' ovvio, altresì, che un governo come quello di Berlusconi assuma posizioni retrograde come il ritorno al nucleare già condannato dal popolo italiano con il referendum dell'8 e 9 novembre 1987 e l'attacco alle proposte ambientaliste del Parlamento Europeo con l'inquietante compagnia di viaggio di poco raccomandabili residui del Patto di Varsavia. Perciò è necessario uno sviluppo non solo culturale, non solo di mobilitazioni di massa in varie manifestazioni ma anche di un'organizzazione che concretamente si inserisca nel processo di trasformazione energetica.
Per fare un esempio: Alfonso Gianni ricorda che il governo Prodi ha, stavolta ben consigliato, trasferito nella legislazione italiana, con un suo provvedimento sul Conto Energia per gli impianti fotovoltaici, i principi già vigenti da oltre un decennio, in Germania. Questo ha portato già ad alcuni modesti risultati ma afferma il diritto per tutti i cittadini italiani di costruire sul tetto della propria casa un impianto solare fotovoltaico capace di produrre tutta l'energia necessaria liberando così le famiglie dalle bollette sia della luce che del gas e addirittura fornendo un diritto a ricevere un pagamento per l'energia in esubero immessa in rete. Una possibile rivoluzione copernicana del sistema energetico che interessa un terzo di tutti i consumi energetici del paese. Difendere e realizzare questo diritto, che sarà certamente insidiato dal governo Berlusconi, (assieme al risparmio e alle altre energie rinnovabili) è una delle sfide fondamentali per lo sviluppo anche democratico del nostro paese.

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