Tricastin, sotto accusa la centrale dei misteri
La Stampa del 18 luglio 2008, pag. 12
di Francesco Spini
Tirando le somme, quei settantaquattro chili di uranio che una decina di giorni fa sono sfuggiti dalla centrale nucleare di Tricastin, cuore nero della Provenza di Cézanne e a due passi dal confine con l’Italia, sono solo l’ultimo dei misteri che aleggiano dietro il più grande sito di Francia, del mondo pure. Misteri fatti di materiali radioattivi sfuggiti di mano, scorie dimenticate, perfino di bombe atomiche.
I silenzi, le mezze verità che hanno contrassegnato da subito l’incidente segnalato la mattina dell’8 luglio e in realtà successo la sera prima, da subito hanno instillato il dubbio: cosa c’è dietro Tricastin? Il quadro uscito negli ultimi giorni è sorprendente: incidenti finora poco o per nulla noti e contaminazioni oltre le attese. L’ultima scoperta è di due giorni fa: a un paio di chilometri di distanza dalla centrale sono state trovate falde freatiche e pozzi privati dove il tasso di uranio rilevato dall’Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare, l’Irsn, arriva a punte di 64 microgrammi per litro, ben oltre i 15 ammessi dall’Oms per dichiarare potabile l’acqua.
Gli abitanti dei quattro Comuni - Bollène, Lapalud, Lamotte-du-Rhone, Mondragon - che vivono all’ombra di queste due grandi ciminiere che interrompono bruscamente lo skyline della pianura a cavallo tra la Vaucluse e la Drome, vivono senz’acqua (proibito berla, nuotarci, mangiarne il pesce, irrigare i campi...) e nel panico. E ora guardano con sospetto quest’ambiente contaminato da uranio e bugie: difficile infatti che l’ultimo incidente sia alla base di contaminazioni così lontane dal sito. Non è un caso, quindi, che anche la politica ora si muova. Il ministro dell’Ambiente Jean-Louis Borloo ha chiesto controlli a tappeto attorno a tutte le 58 centrali francesi: «Non voglio che la gente sia sfiorata dal dubbio che venga nascosta o sottaciuta alcuna situazione. Voglio trasparenza, trasparenza, trasparenza».
Il sito nucleare non è solo «la centrale» che batte la bandiera di Edf. È fatta da una serie di laboratori - dalla Comurhex a Eurodif, fino a Socatri, tutti del gruppo Areva - che lavorano l’uranio grezzo, ne ottengono un gas, lo arricchiscono affinché sia utile alla fissione con cui si produce energia. Quindi decontaminano gli strumenti serviti per l’arricchimento: lì è successo l’ultimo incidente. È sotto questi capannoni che vanno cercate le risposte alle tante domande che restano a mezz’aria. A cominciare da quelle falde sotterranee contaminate. Secondo la Criirad, commissione di ricerca indipendente sulla radioattività, la contaminazione sarebbe collegata alle 700 tonnellate di scorie nucleari «sepolte» sotto un cumulo di quattro metri di terra proprio nel sito nucleare. È il prodotto della ventennale opera della Cogema (sempre del gruppo Areva) che dal ‘70 al ‘96 ha supportato la grandeur nucleare francese al fianco della Cea, la commissione atomica: lì arricchivano l’uranio (al 90% contro il 3% dell’uranio «civile») per costruire ordigni nucleari. E sarebbero i rifiuti di quei processi ad aver «arricchito» pure le acque di Bollène. «È falso, quei rifiuti ci sono, ma sono assolutamente in sicurezza», ribattono da Areva.
La Criirad però non finisce qui nell’elenco dei piccoli incidenti che già nel 2002 l’avevano portata a rilevare tutt’intorno a Tricastin livelli di «radiazioni abnormi - spiega l’ingegnere nucleare Bruno Chareyron, a capo del laboratorio di Criirad -. Non si può parlare di pericolo immediato, ma di rischi nel lungo periodo per la popolazione di contrarre tumori, quello sì». Si può andare ancora più indietro, al 1986 - l’epoca funesta di Chernobyl -, più precisamente al 23 giugno quando una fuga di esafluoruro d’uranio portò il livello di radioattività dell’aria a 130 bequerel per metro cubo, «quando il dato normale è di 0.00001». Non basta? Esiste una ricerca dell’Alto Commissariato per l’energia atomica (il rapporto Guillemont), che riporta quest’ultimo incidente, così come altri occorsi nel ‘91 (sgocciolamento di nitrato d’uranio sulla ferrovia della Sogema) e nel ‘97, con una fuga nel terreno di uranio arricchito. Chareyron ricorda i valori abnormi di tritio e carbonio 14 rilevati solo un anno fa. Alla Areva minimizzano: «La situazione è sempre stata sotto controllo, noi abbiamo sempre fornito la massima trasparenza. Il ministro vuole chiarezza? È solo una questione politica». Ma si ricordano solo l’incidente «del 1977, quando ci fu una fuga di esafluoruro d’uranio dalla Comurhex». La gente però vuole chiarezza mentre il moloch dei misteri continua a sbuffare vapore in questa pianura condannata, senz’acqua, ad appassire.
La Stampa del 18 luglio 2008, pag. 12
di Francesco Spini
Tirando le somme, quei settantaquattro chili di uranio che una decina di giorni fa sono sfuggiti dalla centrale nucleare di Tricastin, cuore nero della Provenza di Cézanne e a due passi dal confine con l’Italia, sono solo l’ultimo dei misteri che aleggiano dietro il più grande sito di Francia, del mondo pure. Misteri fatti di materiali radioattivi sfuggiti di mano, scorie dimenticate, perfino di bombe atomiche.
I silenzi, le mezze verità che hanno contrassegnato da subito l’incidente segnalato la mattina dell’8 luglio e in realtà successo la sera prima, da subito hanno instillato il dubbio: cosa c’è dietro Tricastin? Il quadro uscito negli ultimi giorni è sorprendente: incidenti finora poco o per nulla noti e contaminazioni oltre le attese. L’ultima scoperta è di due giorni fa: a un paio di chilometri di distanza dalla centrale sono state trovate falde freatiche e pozzi privati dove il tasso di uranio rilevato dall’Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare, l’Irsn, arriva a punte di 64 microgrammi per litro, ben oltre i 15 ammessi dall’Oms per dichiarare potabile l’acqua.
Gli abitanti dei quattro Comuni - Bollène, Lapalud, Lamotte-du-Rhone, Mondragon - che vivono all’ombra di queste due grandi ciminiere che interrompono bruscamente lo skyline della pianura a cavallo tra la Vaucluse e la Drome, vivono senz’acqua (proibito berla, nuotarci, mangiarne il pesce, irrigare i campi...) e nel panico. E ora guardano con sospetto quest’ambiente contaminato da uranio e bugie: difficile infatti che l’ultimo incidente sia alla base di contaminazioni così lontane dal sito. Non è un caso, quindi, che anche la politica ora si muova. Il ministro dell’Ambiente Jean-Louis Borloo ha chiesto controlli a tappeto attorno a tutte le 58 centrali francesi: «Non voglio che la gente sia sfiorata dal dubbio che venga nascosta o sottaciuta alcuna situazione. Voglio trasparenza, trasparenza, trasparenza».
Il sito nucleare non è solo «la centrale» che batte la bandiera di Edf. È fatta da una serie di laboratori - dalla Comurhex a Eurodif, fino a Socatri, tutti del gruppo Areva - che lavorano l’uranio grezzo, ne ottengono un gas, lo arricchiscono affinché sia utile alla fissione con cui si produce energia. Quindi decontaminano gli strumenti serviti per l’arricchimento: lì è successo l’ultimo incidente. È sotto questi capannoni che vanno cercate le risposte alle tante domande che restano a mezz’aria. A cominciare da quelle falde sotterranee contaminate. Secondo la Criirad, commissione di ricerca indipendente sulla radioattività, la contaminazione sarebbe collegata alle 700 tonnellate di scorie nucleari «sepolte» sotto un cumulo di quattro metri di terra proprio nel sito nucleare. È il prodotto della ventennale opera della Cogema (sempre del gruppo Areva) che dal ‘70 al ‘96 ha supportato la grandeur nucleare francese al fianco della Cea, la commissione atomica: lì arricchivano l’uranio (al 90% contro il 3% dell’uranio «civile») per costruire ordigni nucleari. E sarebbero i rifiuti di quei processi ad aver «arricchito» pure le acque di Bollène. «È falso, quei rifiuti ci sono, ma sono assolutamente in sicurezza», ribattono da Areva.
La Criirad però non finisce qui nell’elenco dei piccoli incidenti che già nel 2002 l’avevano portata a rilevare tutt’intorno a Tricastin livelli di «radiazioni abnormi - spiega l’ingegnere nucleare Bruno Chareyron, a capo del laboratorio di Criirad -. Non si può parlare di pericolo immediato, ma di rischi nel lungo periodo per la popolazione di contrarre tumori, quello sì». Si può andare ancora più indietro, al 1986 - l’epoca funesta di Chernobyl -, più precisamente al 23 giugno quando una fuga di esafluoruro d’uranio portò il livello di radioattività dell’aria a 130 bequerel per metro cubo, «quando il dato normale è di 0.00001». Non basta? Esiste una ricerca dell’Alto Commissariato per l’energia atomica (il rapporto Guillemont), che riporta quest’ultimo incidente, così come altri occorsi nel ‘91 (sgocciolamento di nitrato d’uranio sulla ferrovia della Sogema) e nel ‘97, con una fuga nel terreno di uranio arricchito. Chareyron ricorda i valori abnormi di tritio e carbonio 14 rilevati solo un anno fa. Alla Areva minimizzano: «La situazione è sempre stata sotto controllo, noi abbiamo sempre fornito la massima trasparenza. Il ministro vuole chiarezza? È solo una questione politica». Ma si ricordano solo l’incidente «del 1977, quando ci fu una fuga di esafluoruro d’uranio dalla Comurhex». La gente però vuole chiarezza mentre il moloch dei misteri continua a sbuffare vapore in questa pianura condannata, senz’acqua, ad appassire.
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