Greenpeace: il nucleare non conviene
L’Unità del 15 luglio 2008, pag. 7
di Eduardo Di Blasi
Non è solo una questione ambientale. È soprattutto una questione di soldi: l’energia nucleare costa e l’impennata dei prezzi alla produzione delle materie prime (petrolio, acciaio e cementi speciali, assieme all’uranio), non fa sperare a nessuno nel mondo che l’atomo possa essere una prospettiva alternativa al petrolio nella produzione di energia. Giuseppe Onufrio di Greenpeace mette un dato dietro l’altro per dimostrare la propria teoria: il nucleare non conviene. Negli Stati Uniti gli incentivi economici proposti dal governo per la sostituzione delle centrali giunte a esaurimento non ha prodotto nemmeno un investimento nel settore. Anche una vecchia volpe della finanza come Warren Buffer, uno degli uomini più ricchi del mondo, dopo aver commissionato uno studio milionario nell’eventualità di acquisire un impianto nell’Idaho, ha pensato bene di non spendere un dollaro per quell’acquisto. Perché? Perché le centrali nucleari, ha ritenuto, sono antieconomiche, e non basta a giustificare il dato il balzo il dato che le sole materie prime per costruire le centrali abbiano fatto lievitare i costi del 173%. Prendiamo l’uranio. Il rapporto congiunto Iaea-Nea afferma che oggi ne abbiamo 3,3 milioni di tonnellate «ragionevolmente sicure», mentre sono 5,5 tonnellate quelle «stimate». Che significa? «Che se per i 439 reattori oggi funzionanti è necessario adoperare 70mila tonnellate di materiale l’anno, tra 50-70 anni non ci sarà più uranio», spiega Onufrio. E se le centrali raddoppiassero? «Gli anni potrebbero scendere a 25», con una non difficilmente immaginabile impennata del prezzo della materia prima negli anni a venire. Ma non è solo questa l’unica ragione dell’antieconomicità del nucleare. La costruzione di una centrale nucleare è infatti questione complessa, come dimostra il cantiere finlandese di Olkiluoto (3), opera della francese Areva e della tedesca Siemens, colossi del settore assieme all’americana Westinghouse: reattore di ultima generazione, 1650 megawatt di potenza istallata, bandiera del nuovo protagonismo europeo nel mercato dell’atomo. Secondo il progetto iniziale l’impianto sarebbe costato 3,2 miliardi di euro. Ad oggi la costruzione è in ritardo di almeno due anni. I costi sono già lievitati di due miliardi di euro, ma, soprattutto, l’Autorità di sicurezza nucleare finlandese, ha già riscontrato 1500 «problemi di qualità», che vanno dall’eccesso di acqua nella miscelazione del cemento per le fondamenta, alle saldature a mano troppo distanti nella calotta d’acciaio esterna. Così com’è l’impianto non sarà mai messo in funzione. I costi saliranno, e saranno spalmati sui consumatori che riceveranno l’energia prodotta dal reattore.
L’Unità del 15 luglio 2008, pag. 7
di Eduardo Di Blasi
Non è solo una questione ambientale. È soprattutto una questione di soldi: l’energia nucleare costa e l’impennata dei prezzi alla produzione delle materie prime (petrolio, acciaio e cementi speciali, assieme all’uranio), non fa sperare a nessuno nel mondo che l’atomo possa essere una prospettiva alternativa al petrolio nella produzione di energia. Giuseppe Onufrio di Greenpeace mette un dato dietro l’altro per dimostrare la propria teoria: il nucleare non conviene. Negli Stati Uniti gli incentivi economici proposti dal governo per la sostituzione delle centrali giunte a esaurimento non ha prodotto nemmeno un investimento nel settore. Anche una vecchia volpe della finanza come Warren Buffer, uno degli uomini più ricchi del mondo, dopo aver commissionato uno studio milionario nell’eventualità di acquisire un impianto nell’Idaho, ha pensato bene di non spendere un dollaro per quell’acquisto. Perché? Perché le centrali nucleari, ha ritenuto, sono antieconomiche, e non basta a giustificare il dato il balzo il dato che le sole materie prime per costruire le centrali abbiano fatto lievitare i costi del 173%. Prendiamo l’uranio. Il rapporto congiunto Iaea-Nea afferma che oggi ne abbiamo 3,3 milioni di tonnellate «ragionevolmente sicure», mentre sono 5,5 tonnellate quelle «stimate». Che significa? «Che se per i 439 reattori oggi funzionanti è necessario adoperare 70mila tonnellate di materiale l’anno, tra 50-70 anni non ci sarà più uranio», spiega Onufrio. E se le centrali raddoppiassero? «Gli anni potrebbero scendere a 25», con una non difficilmente immaginabile impennata del prezzo della materia prima negli anni a venire. Ma non è solo questa l’unica ragione dell’antieconomicità del nucleare. La costruzione di una centrale nucleare è infatti questione complessa, come dimostra il cantiere finlandese di Olkiluoto (3), opera della francese Areva e della tedesca Siemens, colossi del settore assieme all’americana Westinghouse: reattore di ultima generazione, 1650 megawatt di potenza istallata, bandiera del nuovo protagonismo europeo nel mercato dell’atomo. Secondo il progetto iniziale l’impianto sarebbe costato 3,2 miliardi di euro. Ad oggi la costruzione è in ritardo di almeno due anni. I costi sono già lievitati di due miliardi di euro, ma, soprattutto, l’Autorità di sicurezza nucleare finlandese, ha già riscontrato 1500 «problemi di qualità», che vanno dall’eccesso di acqua nella miscelazione del cemento per le fondamenta, alle saldature a mano troppo distanti nella calotta d’acciaio esterna. Così com’è l’impianto non sarà mai messo in funzione. I costi saliranno, e saranno spalmati sui consumatori che riceveranno l’energia prodotta dal reattore.
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