"Impianti vecchi, scorie, terrorismo i francesi sono seduti su una bomba”
La Repubblica del 24 luglio 2008, pag. 3
di Antonio Cianciullo
«Poche settimane fa, mentre volavo con mia moglie su Parigi pensavo: "I francesi sono seduti su una bomba a orologeria, devono disinnescarla". Quello che ora sta avvenendo conferma, purtroppo, la mia convinzione». Jeremy Rifkin, il profeta dell’era dell’idrogeno, commenta dal suo studio di Washington l’accavallarsi degli incidenti nucleari nel paese dotato delle tecnologie atomiche più affidabili.
Dietro la moltiplicazione degli allarmi c’è un fattore strutturale? C’è l’invecchiamento di un parco centrali nato assieme al sogno della force de frappe?
«Il problema è doppio. Da un lato pesala decisione, non solo in Francia, di allungare la vita media delle centrali per evitare, a fronte di una difficoltà crescente nel costruire nuovi impianti, il crollo della produzione elettrica del settore. A questo punto non si può più pensare che la minaccia venga solo da Est, il rischio riguarda tutta l’Europa. Ma c’è poi un altro fattore strutturale che viene spesso taciuto: l’elenco dei mal funzionamenti e dei guasti nelle centrali nucleari è lunghissimo anche nel caso di reattori nuovi perla semplice ragione che queste macchine non sono sicure. E che le probabilità di un incidente catastrofico non vanno trascurate».
Eppure, per molti anni, i francesi hanno vissuto tranquillamente a fianco dei loro 59 reattori.
«E si possono considerare fortunati per essere arrivati fino a oggi contando solo incidenti di livello non molto grave. Anche perché bisogna tener conto di un fatto fondamentale: il rischio non è legato solo a problemi di funzionamento dei reattori. C’è il trasporto. C’è l’accumulo di una enorme quantità di scorie che resteranno pericolose per ere geologiche. C’è il pericolo terrorismo, che non è solo teorico, come il piano d’attacco recentemente sventato in Australia dimostra. Io temo che il prossimo 11 settembre riguardi una centrale nucleare: l’esposizione è troppo alta e cresce con il crescere del numero dei reattori».
La nuova serie di incidenti è stata data con buona evidenza dalla stampa francese. Vuol dire che qualcosa sta cambiando nell’opinione pubblica?
«Sì, è un processo iniziale ma già netto. Anche perché la Francia si sta concretamente interrogando sul suo futuro e sul ruolo dell’Europa nella grande partita energetica che oggi si è aperta sotto la spinta potente di due fattori inarrestabili: il cambiamento climatico e la crescita del prezzo del petrolio. I combustibili fossili appartengono al passato: il ventunesimo secolo avrà un altro segno e chilo capirà prima ne trarrà anche un vantaggio economico».
C’è chi sostiene che proprio per combattere il cambiamento climatico occorra far ricorso al nucleare.
«Il nucleare è la tecnologia della guerra fredda. Appartiene a un mondo diviso in due in cui gli equilibri erano segnati dal terrore e da una struttura energetica centralizzata figlia, anche economicamente, di quella logica militare. Il secolo che si è appena aperto è il secolo della terza rivoluzione industriale. Il secolo di Internet e dell’energia dolce che viene prodotta dal basso, nei quartieri, nelle case, mettendo in rete, in entrata e in uscita, i flussi dell’informazione e dell’energia. E’ un modello decentrato, democratico, più affidabile sia dal punto di vista dei costi che da quello dell’indipendenza della produzione».
Non le sembra un’utopia in un mondo che lotta disperatamente per il controllo dell’ultimo barile di petrolio?
«Guardi, un segnale di grande speranza viene proprio dalla Francia. Il 13 luglio, a Parigi, è stato firmato l’accordo per la costituzione dell’Unione euro mediterranea dell’energia solare. E’ un evento epocale, che fa pensare al momento in cui un piccolo gruppo di grandi sognatori fondò la Comunità europea per l’acciaio e per il carbone. Quell’atto cambiò il futuro del continente e oggi l’Europa è chiamata a un salto analogo».
Eppure il presidente francese ha rilanciato l’ipotesi nucleare.
«C’è una lotta tra il passato e il futuro. Ma, con la decisione di Nicolas Sarkozy di lanciare l’Unione euro mediterranea dell’energia solare, la Francia ha compiuto una mossa strategica indicando un progetto vincente: usare il potenziale tecnologico della sponda Nord del Mediterraneo per rendere utilizzabile l’enorme quantità di energia solare disponibile sulla sponda Sud e sulla sponda Est. L’Unione euro mediterranea dell’energia solare è il primo pilastro di questo grande progetto. Si tratta di poggiare gli altri: l’idrogeno per immagazzinare l’energia del sole, le reti intelligenti per diffonderla, gli edifici bioclimatici per catturarla. Ma la direzione è quella giusta. Chi avesse ancora dubbi guardi cosa sta succedendo nell’altra Francia: quella del nucleare».
La Repubblica del 24 luglio 2008, pag. 3
di Antonio Cianciullo
«Poche settimane fa, mentre volavo con mia moglie su Parigi pensavo: "I francesi sono seduti su una bomba a orologeria, devono disinnescarla". Quello che ora sta avvenendo conferma, purtroppo, la mia convinzione». Jeremy Rifkin, il profeta dell’era dell’idrogeno, commenta dal suo studio di Washington l’accavallarsi degli incidenti nucleari nel paese dotato delle tecnologie atomiche più affidabili.
Dietro la moltiplicazione degli allarmi c’è un fattore strutturale? C’è l’invecchiamento di un parco centrali nato assieme al sogno della force de frappe?
«Il problema è doppio. Da un lato pesala decisione, non solo in Francia, di allungare la vita media delle centrali per evitare, a fronte di una difficoltà crescente nel costruire nuovi impianti, il crollo della produzione elettrica del settore. A questo punto non si può più pensare che la minaccia venga solo da Est, il rischio riguarda tutta l’Europa. Ma c’è poi un altro fattore strutturale che viene spesso taciuto: l’elenco dei mal funzionamenti e dei guasti nelle centrali nucleari è lunghissimo anche nel caso di reattori nuovi perla semplice ragione che queste macchine non sono sicure. E che le probabilità di un incidente catastrofico non vanno trascurate».
Eppure, per molti anni, i francesi hanno vissuto tranquillamente a fianco dei loro 59 reattori.
«E si possono considerare fortunati per essere arrivati fino a oggi contando solo incidenti di livello non molto grave. Anche perché bisogna tener conto di un fatto fondamentale: il rischio non è legato solo a problemi di funzionamento dei reattori. C’è il trasporto. C’è l’accumulo di una enorme quantità di scorie che resteranno pericolose per ere geologiche. C’è il pericolo terrorismo, che non è solo teorico, come il piano d’attacco recentemente sventato in Australia dimostra. Io temo che il prossimo 11 settembre riguardi una centrale nucleare: l’esposizione è troppo alta e cresce con il crescere del numero dei reattori».
La nuova serie di incidenti è stata data con buona evidenza dalla stampa francese. Vuol dire che qualcosa sta cambiando nell’opinione pubblica?
«Sì, è un processo iniziale ma già netto. Anche perché la Francia si sta concretamente interrogando sul suo futuro e sul ruolo dell’Europa nella grande partita energetica che oggi si è aperta sotto la spinta potente di due fattori inarrestabili: il cambiamento climatico e la crescita del prezzo del petrolio. I combustibili fossili appartengono al passato: il ventunesimo secolo avrà un altro segno e chilo capirà prima ne trarrà anche un vantaggio economico».
C’è chi sostiene che proprio per combattere il cambiamento climatico occorra far ricorso al nucleare.
«Il nucleare è la tecnologia della guerra fredda. Appartiene a un mondo diviso in due in cui gli equilibri erano segnati dal terrore e da una struttura energetica centralizzata figlia, anche economicamente, di quella logica militare. Il secolo che si è appena aperto è il secolo della terza rivoluzione industriale. Il secolo di Internet e dell’energia dolce che viene prodotta dal basso, nei quartieri, nelle case, mettendo in rete, in entrata e in uscita, i flussi dell’informazione e dell’energia. E’ un modello decentrato, democratico, più affidabile sia dal punto di vista dei costi che da quello dell’indipendenza della produzione».
Non le sembra un’utopia in un mondo che lotta disperatamente per il controllo dell’ultimo barile di petrolio?
«Guardi, un segnale di grande speranza viene proprio dalla Francia. Il 13 luglio, a Parigi, è stato firmato l’accordo per la costituzione dell’Unione euro mediterranea dell’energia solare. E’ un evento epocale, che fa pensare al momento in cui un piccolo gruppo di grandi sognatori fondò la Comunità europea per l’acciaio e per il carbone. Quell’atto cambiò il futuro del continente e oggi l’Europa è chiamata a un salto analogo».
Eppure il presidente francese ha rilanciato l’ipotesi nucleare.
«C’è una lotta tra il passato e il futuro. Ma, con la decisione di Nicolas Sarkozy di lanciare l’Unione euro mediterranea dell’energia solare, la Francia ha compiuto una mossa strategica indicando un progetto vincente: usare il potenziale tecnologico della sponda Nord del Mediterraneo per rendere utilizzabile l’enorme quantità di energia solare disponibile sulla sponda Sud e sulla sponda Est. L’Unione euro mediterranea dell’energia solare è il primo pilastro di questo grande progetto. Si tratta di poggiare gli altri: l’idrogeno per immagazzinare l’energia del sole, le reti intelligenti per diffonderla, gli edifici bioclimatici per catturarla. Ma la direzione è quella giusta. Chi avesse ancora dubbi guardi cosa sta succedendo nell’altra Francia: quella del nucleare».
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