venerdì 23 maggio 2008

La solita scoria

La solita scoria

L'Unità del 23 maggio 2008, pag. 1

di Pietro Greco

Il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, intervenendo ieri all’assemblea di Confindustria, ha annunciato che il quarto governo Berlusconi terrà fede alle promesse effettuate in campagna elettorale ed entro questa legislatura porrà «la prima pietra per la costruzione nel nostro paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione». La neopresidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha dichiarato di condividere gli obiettivi indicati da Scajola. E l’Enel si è detta pronta a realizzarli. Ma a realizzare, esattamente, che cosa?

Scajola ha parlato di un gruppo di centrali nucleari di «nuova generazione» che verrà realizzato «in modo sicuro, a costi competitivi e nel rispetto dell’ambiente».

In questo momento, nel mondo, sono funzionanti alcune centinaia (quattrocento, perla precisione) di centrali di «seconda» e di «terza generazione». Se Scajola parla di centrali di nuova generazione intende, intende le centrali di «quarta generazione», che si annunciano per l’appunto, sicure, economicamente competitive e rispettose dell’ambiente. Queste «nuove centrali» hanno molti pregi e un difetto. I pregi consistono nel fatto che i sei principali tipi di reattori di «quarta generazione» sono a sicurezza (sia passiva che attiva) intrinseca, producono molte meno scorie dei reattori presenti nelle centrali di generazione precedente, sono economicamente competitivi e producono meno materiali, come dire, militarmente sensibili (leggi plutonio). Il difetto consiste nel fatto che le centrali di «quarta generazione» non esistono. Non ancora, almeno. Sono allo studio. I più ottimisti calcolano che saranno pronte all’uso non prima del 2030. E quindi, per quanto credito vogliamo concedere alla capacità progettuale del nuovo governo e per quanto convinti estimatori siamo delle capacità industriali dell’Enel, non sarà assolutamente possibile in alcun modo dar seguito alle indicazioni di Scajola e porre la «la prima pietra per la costruzione nel nostro paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione» entro il 2013.



D’altra parte l’Italia, come ha fatto notare Pierluigi Bersani, ministro ombra dello Sviluppo economico, è già impegnata nella ricerca sul nucleare di «quarta generazione», avendo sottoscritto col governo Prodi la Global Nuclear Energy Partnership (GNEP). Ma neppure rafforzando questa partecipazione già in atto sarà minimamente possibile mettere una qualche pietra di un qualcosa di nuovo che produca energia da fonte nucleare entro la fine di questa legislatura. È dunque chiaro che il ministro, facendo un po’ di confusione, si riferisce a «un gruppo di centrali nucleari di vecchia generazione». Ovvero a un tipo di nucleare che, come ha fatto notare Ermete Realacci, è piuttosto costoso e che soprattutto produce un problema, le scorie, che ancora non ammette una soluzione accettabile. Inoltre bisognerebbe capire dove e come - in un paese ad alta concentrazione demografica come l’Italia e con non poche peculiarità geologiche - sarebbero costruite in pochi anni un numero così elevato di centrali nucleari di vecchia generazione (almeno una decina da 1 GW ciascuna) da costituire un gruppo significativo nel nostro paniere energetico. A meno di non militarizzare, come si farà in Campania con le discariche per i rifiuti, ampie zone del territorio nazionale.



Quella di Scajola è, dunque, una proposta tanto confusa quanto ideologica (per usare ancora una definizione di Realacci). Che, in più, rischia di portarci fuori strada. Fuori, almeno, dalla strada tracciata dall’Unione Europea. Che prevede, entro il 2012 (un anno prima della fine della legislatura), la rigorosa attuazione del protocollo di Kyoto (riduzione del 6% delle emissioni digas serra rispetto ai livelli del 1990 e, quindi, di quasi il 15% rispetto ai livelli attuali) ed entro il 2020 il pacchetto «20-20» (riduzione delle emissioni di gas serra del 20% rispetto ai livelli del 1990 e, quindi, di oltre il 30% rispetto ai livelli italiani attuali; incremento fino ad almeno il 20% delle fonti rinnovabili nel paniere energetico).



Tecnicamente il «vecchio» nucleare potrebbe rientrare nella strada indicata dall’Europa. Ma in pratica no. Non in Italia, almeno. Per due motivi. Perché sarà molto difficile se non impossibile costruire in così poco tempo (solo sette anni tra il 2013, anno della prima pietra, e il 2020, anno limite del «pacchetto 20-20») dieci epiù grandi centrali nucleari (che peraltro nascerebbero già obsolete, visto che intorno al 2030 dovrebbero iniziare a essere disponibili le centrali di effettiva «nuova generazione»). E perché l’impresa assorbirebbe così tante risorse, da svuotare quelle disponibili per stimolare il risparmio energetico (la maggiore, la più accessibile e la più sostenibile delle opzioni che è possibile attivare non a fine legislatura, ma già ora, per modificare il paradigma energetico del paese) e le altre fonti di energia rinnovabili ed effettivamente «nuove»: dal solare all’eolico, fino allo stesso nucleare di «quarta generazione».

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