Ue, ora Barroso entra nel partito dell’atomo
Corriere Economia del 2 giugno 2008, pag. 11
di Luigi Offeddu
Nei palazzi di vetro dell’Unione Europea, l’hanno chiamata «terza rivoluzione industriale»: è quella che, nei prossimi 30 anni e nel pieno del cambiamento climatico, dovrebbe far marciare le economie del continente tagliando però la loro produzione di Co2, il veleno a base di carbonio. E garantendo il rispetto degli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto.
Perciò, almeno negli intenti: chi più inquinerà, più pagherà; si venderanno all’asta i «permessi di inquinamento» per le industrie pesanti, forse anche per le compagnie aeree; e si darà la caccia alle fonti di energia rinnovabili, come il sole o il vento o i biocarburanti, mentre si cercherà di saggiare un po’ meglio il mito chiamato idrogeno. Ma l’idrogeno, appunto, è un mito ancora lontano. Quanto al sole, al vento, al fotovoltaico, sono risorse preziose ma secondo vari scienziati più di tanto non possono dare. E sui biocarburanti, legati alla deforestazione e alle impennate dei prezzi alimentari, pochi sono ormai disposti a puntare tutto.
Rivoluzione industriale
Sarà anche per questo, per questa nuvola di dubbi già calata sulla «terza rivoluzione industriale» (o anche per l’azione delle onnipresenti lobbies, come lamentano gli attivisti di Greenpeace) che nei palazzi di vetro di Bruxelles ha ripreso a circolare con insistenza una parola fino a qualche anno fa ben poco frequente: energia nucleare.
Aprire il dibattito A Praga l’ha gettata al centro del tavolo lo stesso presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso, durante il secondo Forum dei 27 Paesi-membri dedicato proprio a questo tema (giovedì 22 e venerdì 23 maggio): nella Ue, ha detto Barroso, «l’energia nucleare può sicuramente offrire un contributo importante nella battaglia contro il riscaldamento climatico», anche perché «è diventata una delle fonti energetiche meno care, e può dunque proteggere l’economia europea dalla volatilità dei prezzi del petrolio». Perciò è venuto il tempo - concetti che Barroso aveva già affrontato durante il primo Forum, nel novembre 2007 - di «un dibattito aperto, libero dai tabù e da troppe idee preconcette, fra tutti i protagonisti». Bisogna discutere . «delle opportunità come anche dei rischi, dei costi come anche dei benefici»: in sostanza, bisogna ridiscutere Al futuro dell’industria in Europa».
Dopotutto, il primo germoglio di questa stessa Europa si ritrovò, nel 1957, nel trattato che a Roma istituì proprio 1’Euratom, la Comunità per l’energia atomica. I Paesi fondatori erano solo sei, compresa l’Italia, e attraverso l’atomo si voleva raggiungere l’indipendenza energetica: oltre mezzo secolo dopo, con il cerchio allargato a 27 membri e con 15 di questi che già ricorrono in parte alle centrali nucleari, si torna a dibattere gli stessi temi.
Ricette per l’autonomia
E non è solo questione di cambiamento del clima: con il ramificarsi sempre più rapido e impressionante dei gasdotti controllati dalla Russia nei Balcani e nel Caucaso, l’opzione nucleare - dicono i suoi fautori - comincia a essere considerata anche una possibile ricetta per recuperare alla Ue almeno un po’ di autonomia, e dunque di sicurezza energetica nei confronti del Cremlino. Forse non è un caso se Andris Piebalgs, commissario europeo all’Energia, un lettone che i russi li conosce bene e che con loro ha negoziato a lungo, dice che «bisogna avere il coraggio per affrontare un dibattito sull’energia nucleare». La sua collega olandese, la commissaria alla Concorrenza Neelie Kroes, ha una posizione ancora più schierata, tanto da essersi guadagnata accuse di parzialità da parte degli europarlamentari Verdi e di Greenpeace.
Segnali dalla Ue
La Commissione Europea non ha naturalmente il potere né la competenza per imporre ai singoli Stati una linea politica su questa materia. Ma i segnali che manda, non restano senza ascolto. Anche perché coincidono con una serie di altri segnali in arrivo da tutta l’Europa. Mentre Barroso parlava a Praga, a Roma. il nuovo governo italiano annunciava i suoi piani per le centrali nucleari che dovranno entrare in funzione a partire dal 2013; e a Parigi, proprio parlando della «terza rivoluzione industriale», il presidente Nicholas Sarkozy spiegava che il suo Paese già copre quasi la metà dei suoi fabbisogni energetici grazie all’atomo: la Francia ha stretto degli accordi per le nuove centrali con la Gran Bretagna di Gordon Brown, che a sua volta investe moltissimo sull’atomo. Molto più prudente la posizione del governo tedesco, mentre cechi e slovacchi - alle prese con i problemi di inquinamento delle loro «vecchie» industrie premono per l’opzione nucleare. Per i cechi, in particolare, l’atomo è «insostituibile» come fonte di energia. Tutti gli altri, vengono in ordine sparso. Ma intanto, secondo le ultime statistiche, un terzo dell’elettricità consumata oggi in Europa sarebbe già prodotta da centrali atomiche.
Corriere Economia del 2 giugno 2008, pag. 11
di Luigi Offeddu
Nei palazzi di vetro dell’Unione Europea, l’hanno chiamata «terza rivoluzione industriale»: è quella che, nei prossimi 30 anni e nel pieno del cambiamento climatico, dovrebbe far marciare le economie del continente tagliando però la loro produzione di Co2, il veleno a base di carbonio. E garantendo il rispetto degli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto.
Perciò, almeno negli intenti: chi più inquinerà, più pagherà; si venderanno all’asta i «permessi di inquinamento» per le industrie pesanti, forse anche per le compagnie aeree; e si darà la caccia alle fonti di energia rinnovabili, come il sole o il vento o i biocarburanti, mentre si cercherà di saggiare un po’ meglio il mito chiamato idrogeno. Ma l’idrogeno, appunto, è un mito ancora lontano. Quanto al sole, al vento, al fotovoltaico, sono risorse preziose ma secondo vari scienziati più di tanto non possono dare. E sui biocarburanti, legati alla deforestazione e alle impennate dei prezzi alimentari, pochi sono ormai disposti a puntare tutto.
Rivoluzione industriale
Sarà anche per questo, per questa nuvola di dubbi già calata sulla «terza rivoluzione industriale» (o anche per l’azione delle onnipresenti lobbies, come lamentano gli attivisti di Greenpeace) che nei palazzi di vetro di Bruxelles ha ripreso a circolare con insistenza una parola fino a qualche anno fa ben poco frequente: energia nucleare.
Aprire il dibattito A Praga l’ha gettata al centro del tavolo lo stesso presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso, durante il secondo Forum dei 27 Paesi-membri dedicato proprio a questo tema (giovedì 22 e venerdì 23 maggio): nella Ue, ha detto Barroso, «l’energia nucleare può sicuramente offrire un contributo importante nella battaglia contro il riscaldamento climatico», anche perché «è diventata una delle fonti energetiche meno care, e può dunque proteggere l’economia europea dalla volatilità dei prezzi del petrolio». Perciò è venuto il tempo - concetti che Barroso aveva già affrontato durante il primo Forum, nel novembre 2007 - di «un dibattito aperto, libero dai tabù e da troppe idee preconcette, fra tutti i protagonisti». Bisogna discutere . «delle opportunità come anche dei rischi, dei costi come anche dei benefici»: in sostanza, bisogna ridiscutere Al futuro dell’industria in Europa».
Dopotutto, il primo germoglio di questa stessa Europa si ritrovò, nel 1957, nel trattato che a Roma istituì proprio 1’Euratom, la Comunità per l’energia atomica. I Paesi fondatori erano solo sei, compresa l’Italia, e attraverso l’atomo si voleva raggiungere l’indipendenza energetica: oltre mezzo secolo dopo, con il cerchio allargato a 27 membri e con 15 di questi che già ricorrono in parte alle centrali nucleari, si torna a dibattere gli stessi temi.
Ricette per l’autonomia
E non è solo questione di cambiamento del clima: con il ramificarsi sempre più rapido e impressionante dei gasdotti controllati dalla Russia nei Balcani e nel Caucaso, l’opzione nucleare - dicono i suoi fautori - comincia a essere considerata anche una possibile ricetta per recuperare alla Ue almeno un po’ di autonomia, e dunque di sicurezza energetica nei confronti del Cremlino. Forse non è un caso se Andris Piebalgs, commissario europeo all’Energia, un lettone che i russi li conosce bene e che con loro ha negoziato a lungo, dice che «bisogna avere il coraggio per affrontare un dibattito sull’energia nucleare». La sua collega olandese, la commissaria alla Concorrenza Neelie Kroes, ha una posizione ancora più schierata, tanto da essersi guadagnata accuse di parzialità da parte degli europarlamentari Verdi e di Greenpeace.
Segnali dalla Ue
La Commissione Europea non ha naturalmente il potere né la competenza per imporre ai singoli Stati una linea politica su questa materia. Ma i segnali che manda, non restano senza ascolto. Anche perché coincidono con una serie di altri segnali in arrivo da tutta l’Europa. Mentre Barroso parlava a Praga, a Roma. il nuovo governo italiano annunciava i suoi piani per le centrali nucleari che dovranno entrare in funzione a partire dal 2013; e a Parigi, proprio parlando della «terza rivoluzione industriale», il presidente Nicholas Sarkozy spiegava che il suo Paese già copre quasi la metà dei suoi fabbisogni energetici grazie all’atomo: la Francia ha stretto degli accordi per le nuove centrali con la Gran Bretagna di Gordon Brown, che a sua volta investe moltissimo sull’atomo. Molto più prudente la posizione del governo tedesco, mentre cechi e slovacchi - alle prese con i problemi di inquinamento delle loro «vecchie» industrie premono per l’opzione nucleare. Per i cechi, in particolare, l’atomo è «insostituibile» come fonte di energia. Tutti gli altri, vengono in ordine sparso. Ma intanto, secondo le ultime statistiche, un terzo dell’elettricità consumata oggi in Europa sarebbe già prodotta da centrali atomiche.
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