Scorie nucleari, quel «lavoro sporco» ancora da fare
Corriere della Sera del 18 giugno 2008, pag. 9
di Stefano Agnoli, Giancarlo Pireddu
Pubblichiamo uno stralcio del libro « Il prezzo da pagare»
Come tutti gli impianti produttivi anche le centrali nucleari hanno un ciclo di vita, all’incirca sui quarant’anni, un periodo dopo il quale è necessario pensare alla loro sostituzione, e ai delicati problemi che presenta. A fine 2007 sul pianeta risultavano in esercizio 439 reattori, e di questi 167 si trovavano in Europa. Circa 119 impianti hanno invece già terminato la loro attività, e 78 sono localizzati nel Vecchio continente. Ecco perché il decommissioning e un’attività in piena crescita: secondo la World Nuclear Association, nei prossimi dodici anni si prevede che nel mondo si dovrà gestire lo smantellamento di circa 300 vecchi reattori, più o meno un centinaio ogni quattro anni, e una settantina di essi saranno europei.
In Italia, a fine 2006, cioè diciannove anni dopo lo stop referendario, l’attività di effettivo smantellamento aveva interessato solo il 6% delle strutture, mentre la maggior parte delle spese era stata dedicata a mantenere in sicurezza l’esistente (...). L’opinione pubblica, insomma, non ha la percezione che buona parte del «lavoro sporco» rimanga ancora da fare (...). Nel caso italiano, inoltre, l’operazione diventa un costo secco per il consumatore, perché dovrà essere finanziata ad hoc. La stima più recente per il decommissioning nazionale è di circa 4,3 miliardi di euro, una cifra contenuta nell’ultimo piano industriale della Sogin, quello 2007-11. La data di conclusione delle bonifiche sarebbe il 2024, se fosse operativo il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi.
Ma di qui ad allora andranno sciolti parecchi nodi. Primo fra tutti proprio quello delle scorie, visto che attualmente i rifiuti di seconda e terza categoria ammontano a circa go mila metri cubi. Così distribuiti: 25 mila provengono dalle «vecchie» quattro centrali e dagli impianti di ricerca dove sono stati stoccati. Gli altri 65 mila arriveranno direttamente dall’attività di smantellamento. Tra tutte le scorie, quelle di terza categoria rappresentano il 5% del totale. Ma sono proprio loro a costituire il «nocciolo» del problema. «Terza categoria» significa infatti materiali ad alta attività, che non esistono in natura, come il plutonio, molto tossici e con un periodo di dimezzamento di diverse migliaia di anni (ventiquattromila nel caso specifico). Pur variando dal 3 al 5% del totale, sono tuttavia responsabili del 95% della radioattività che viene emessa (...).
Nell’aprile del 2007 la Sogin e la francese Areva hanno sottoscritto un contratto per il «riprocessamento» di 235 tonnellate del combustibile nucleare irraggiato ancora presente in Italia e in una domenica d’inverno, il 16 dicembre 2007, i primi vagoni ferroviari con le barre fino a quel momento depositate nell’impianto piacentino di Caorso si sono messi in viaggio per attraversare le Alpi. Per essere completate, le operazioni di trasferimento richiederanno complessivamente circa cinque anni, e dopo il trattamento a Le Hague i residui vetrificati dovranno prendere la direzione opposta per rientrare in Italia entro il 31 dicembre 2025. Il tutto secondo i termini di un’intesa che comporta per la Sogin e il contribuente italiano un esborso superiore a 25o milioni di euro, che comprende il trasporto, il trattamento e il condizionamento dei combustibile delle ex centrali di Caorso (190 tonnellate), Trino Vercellese (32 tonnellate) e del Garigliano (13 tonnellate). Qualche anno prima era stato invece già inviato in Galles il combustibile della centrale di Latina, che funzionava con tecnologia britannica, e di parte di quello del Garigliano. Alla richiesta di maggiori dettagli relativi alla presenza a Sellafield di combustibile nucleare italiano - si dovrebbe trattare di 1.452 tonnellate di combustibile Magnox - la risposta ufficiale inglese è che molto di quel materiale è già stato «riprocessato», mentre una sua parte è ancora in attesa di trattamento. Le scorie, si aggiunge, torneranno in Italia in seguito agli accordi contrattuali, ma i particolari sul materiale radioattivo custodito a Sellafield sono considerati confidenziali e non possono essere rivelati.
Seguendo il programma in corso d’opera, dal trattamento delle scorie «francesi» e «inglesi» si ricaveranno invece dei rifiuti vetrificati che dovranno essere collocati nel futuro, incognito, deposito nazionale. A individuarne la localizzazione sarà il ministero dello Sviluppo, che dovrà pur sempre tenere conto della posizione delle Regioni. Un gruppo di lavoro misto si è messo al lavoro a marzo 2008, e si è dato sei mesi per individuare il modo di realizzare lo stoccaggio. Il deposito dovrà ospitare non solo i materiali radioattivi di uso medico e industriale, ma anche i rifiuti di seconda categoria, e «temporaneamente» anche quelli di terza categoria. Un eufemismo per dire «a tempo indeterminato», in attesa cioè che gli sviluppi scientifici mondiali consentano di individuare soluzioni adatte.
Malgrado i propositi di accelerazione rispetto al più recente passato, secondo le stime della Sogin le attività di decontaminazione e smantellamento delle centrali, e di bonifica finale dei siti che ospitano gli impianti, a Trino Vercellese finirebbero completamente entro il 2013. Bosco Marengo (produzione delle barre di combustibili) dovrebbe chiudere entro il 2oog. Mentre al 2011 Caorso sarà smantellata al 40%, Saluggia (impianto Eurex di riprocessamento) al 35%, Trisaia (Itrec, riprocessamento) al 30%, Casaccia (laboratorio Opec, impianto plutonio) al 25%, Garigliano al 20% e Latina al 10% (...).
(recensione)
Corriere della Sera del 18 giugno 2008, pag. 9
di Stefano Agnoli, Giancarlo Pireddu
Pubblichiamo uno stralcio del libro « Il prezzo da pagare»
Come tutti gli impianti produttivi anche le centrali nucleari hanno un ciclo di vita, all’incirca sui quarant’anni, un periodo dopo il quale è necessario pensare alla loro sostituzione, e ai delicati problemi che presenta. A fine 2007 sul pianeta risultavano in esercizio 439 reattori, e di questi 167 si trovavano in Europa. Circa 119 impianti hanno invece già terminato la loro attività, e 78 sono localizzati nel Vecchio continente. Ecco perché il decommissioning e un’attività in piena crescita: secondo la World Nuclear Association, nei prossimi dodici anni si prevede che nel mondo si dovrà gestire lo smantellamento di circa 300 vecchi reattori, più o meno un centinaio ogni quattro anni, e una settantina di essi saranno europei.
In Italia, a fine 2006, cioè diciannove anni dopo lo stop referendario, l’attività di effettivo smantellamento aveva interessato solo il 6% delle strutture, mentre la maggior parte delle spese era stata dedicata a mantenere in sicurezza l’esistente (...). L’opinione pubblica, insomma, non ha la percezione che buona parte del «lavoro sporco» rimanga ancora da fare (...). Nel caso italiano, inoltre, l’operazione diventa un costo secco per il consumatore, perché dovrà essere finanziata ad hoc. La stima più recente per il decommissioning nazionale è di circa 4,3 miliardi di euro, una cifra contenuta nell’ultimo piano industriale della Sogin, quello 2007-11. La data di conclusione delle bonifiche sarebbe il 2024, se fosse operativo il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi.
Ma di qui ad allora andranno sciolti parecchi nodi. Primo fra tutti proprio quello delle scorie, visto che attualmente i rifiuti di seconda e terza categoria ammontano a circa go mila metri cubi. Così distribuiti: 25 mila provengono dalle «vecchie» quattro centrali e dagli impianti di ricerca dove sono stati stoccati. Gli altri 65 mila arriveranno direttamente dall’attività di smantellamento. Tra tutte le scorie, quelle di terza categoria rappresentano il 5% del totale. Ma sono proprio loro a costituire il «nocciolo» del problema. «Terza categoria» significa infatti materiali ad alta attività, che non esistono in natura, come il plutonio, molto tossici e con un periodo di dimezzamento di diverse migliaia di anni (ventiquattromila nel caso specifico). Pur variando dal 3 al 5% del totale, sono tuttavia responsabili del 95% della radioattività che viene emessa (...).
Nell’aprile del 2007 la Sogin e la francese Areva hanno sottoscritto un contratto per il «riprocessamento» di 235 tonnellate del combustibile nucleare irraggiato ancora presente in Italia e in una domenica d’inverno, il 16 dicembre 2007, i primi vagoni ferroviari con le barre fino a quel momento depositate nell’impianto piacentino di Caorso si sono messi in viaggio per attraversare le Alpi. Per essere completate, le operazioni di trasferimento richiederanno complessivamente circa cinque anni, e dopo il trattamento a Le Hague i residui vetrificati dovranno prendere la direzione opposta per rientrare in Italia entro il 31 dicembre 2025. Il tutto secondo i termini di un’intesa che comporta per la Sogin e il contribuente italiano un esborso superiore a 25o milioni di euro, che comprende il trasporto, il trattamento e il condizionamento dei combustibile delle ex centrali di Caorso (190 tonnellate), Trino Vercellese (32 tonnellate) e del Garigliano (13 tonnellate). Qualche anno prima era stato invece già inviato in Galles il combustibile della centrale di Latina, che funzionava con tecnologia britannica, e di parte di quello del Garigliano. Alla richiesta di maggiori dettagli relativi alla presenza a Sellafield di combustibile nucleare italiano - si dovrebbe trattare di 1.452 tonnellate di combustibile Magnox - la risposta ufficiale inglese è che molto di quel materiale è già stato «riprocessato», mentre una sua parte è ancora in attesa di trattamento. Le scorie, si aggiunge, torneranno in Italia in seguito agli accordi contrattuali, ma i particolari sul materiale radioattivo custodito a Sellafield sono considerati confidenziali e non possono essere rivelati.
Seguendo il programma in corso d’opera, dal trattamento delle scorie «francesi» e «inglesi» si ricaveranno invece dei rifiuti vetrificati che dovranno essere collocati nel futuro, incognito, deposito nazionale. A individuarne la localizzazione sarà il ministero dello Sviluppo, che dovrà pur sempre tenere conto della posizione delle Regioni. Un gruppo di lavoro misto si è messo al lavoro a marzo 2008, e si è dato sei mesi per individuare il modo di realizzare lo stoccaggio. Il deposito dovrà ospitare non solo i materiali radioattivi di uso medico e industriale, ma anche i rifiuti di seconda categoria, e «temporaneamente» anche quelli di terza categoria. Un eufemismo per dire «a tempo indeterminato», in attesa cioè che gli sviluppi scientifici mondiali consentano di individuare soluzioni adatte.
Malgrado i propositi di accelerazione rispetto al più recente passato, secondo le stime della Sogin le attività di decontaminazione e smantellamento delle centrali, e di bonifica finale dei siti che ospitano gli impianti, a Trino Vercellese finirebbero completamente entro il 2013. Bosco Marengo (produzione delle barre di combustibili) dovrebbe chiudere entro il 2oog. Mentre al 2011 Caorso sarà smantellata al 40%, Saluggia (impianto Eurex di riprocessamento) al 35%, Trisaia (Itrec, riprocessamento) al 30%, Casaccia (laboratorio Opec, impianto plutonio) al 25%, Garigliano al 20% e Latina al 10% (...).
(recensione)
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