Il pericolo atomico che viene dall'est
di Matteo Moder
Il Manifesto del 06/06/2008
Dopo l'incidente alla centrale slovacca di Krsko, si riscopre il pericolo radioattivo. Da Mochovce a Temelin, ecco gli impianti ex sovietici che fanno paura
Dissoltasi la bolla di sapone del «non incidente» nella semi obsoleta centrale nucleare di Krsko, a 130 km in linea d'aria da Trieste, troppo enfatizzato, secondo le autorità slovene e i nuclearisti nostrani, dalla stampa di mezzo mondo (ma anche a Chernobyl andò così), si va avanti col nucleare di terza, quarta, forse quinta generazione. Scajola insegna e i sostenitori dell'atomo plaudono.
«La centrale di Krsko martedì prossimo riprenderà la sua normale attività», ha detto il direttore tecnico dell'impianto nucleare sloveno, Predrag Sirola. Sul guasto avvenuto all'impianto di refrigerazione Sirola ha affermato che «non c'è nulla di particolarmente rilevante in ciò. Sono guasti - ha sostenuto - che succedono con una certa regolarità e che avvengono nelle 200 centrali sparse in Europa che funzionano con lo stesso sistema di quello di Krsko. La gente - ha spiegato - se vuole le centrali deve abituarsi a questo tipo di contrattempi e li deve anche sapere. Quanto è accaduto per me è stata una bolla di sapone che i media hanno particolarmente ampliato. Oggi qui si lavora normalmente e si lavora tutti e martedì prossimo la centrale tornerà a funzionare come prima. I pezzi di ricambio ci sono e posso aggiungere che nessun tecnico esterno è stato chiamato da noi per riparare il guasto». Chi temeva un'altra Chernobyl è servito. E così anche per il governo italiano, che parla per bocca della ministra dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, quello della centrale slovena di Krsko è «un incidente chiuso». Anzi, secondo l'esponente governativa si è cercato di utilizzare la vicenda come pretesto per fare campagna contro i piani del governo italiano di tornare all'atomo nei prossimi anni. Che, assicura l'altro ministro Scajola, saranno rispettati.
Se, lodevolmente, il Corriere della Sera ha ieri indicato le tredici centrali nucleari che si trovano a una distanza, in linea d'aria, inferiore ai 200 chilometri dall'Italia, la cosa non deve spaventare più che tanto anche se i radionuclidi sono degli irregolari, dei clandestini senza permesso di soggiorno o d'entrata. Ma quelli indicati sono prevalentemente europei al 100% (Francia, Svizzera, Germania, la cattolicissima Slovenia) per cui valgono almeno le loro comuni radici cristiane.
Quello che può preoccupare sono le centrali dell'est «unionizzato» e che fino al 1989 operavano senza tetto né legge e soprattutto senza valutazioni di impatto ambientale, sotto la morsa sovietica. Come la centrale slovacca di Mochovce, del cui adeguamento ai parametri di sicurezza «occidentale» si occuperà l'Enel, che ha da tempo acquisito il 66% della società slovacca Slovesnke Elektrarne. L'accordo prevede - secondo Greenpeace, che ha preso a gran cuore questa e altre vicende «energetiche» - «il completamento di due vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica». Si tratterebbe - a detta degli ambientalisti - di reattori VVER 440-213 ad acqua pressurizzata da 408 MW ciascuno la cui realizzazione, iniziata nel 1983, su progetti sovietici degli anni '70, fu fermata definitivamente nel 1993, quand'erano costruiti al 50%. Secondo l'associazione ambientalista la Slovacchia, con il trattato di adesione alla Ue, si era impegnata «a chiudere entro il 2008, per ragioni di sicurezza, due reattori della stessa potenza ma di prima generazione del tipo Vver 230, proibiti in Europa, che si trovano a nell'altra centrale nucleare slovacca di Bohunice e questi due di Mochovce dovrebbero rimpiazzarli». «I tentativi di finanziarne il completamento - ha sempre denunciato Greenpeace - furono respinti dalla Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo mentre un reattore dello stesso tipo fu chiuso dopo l'unificazione della Germania a Greisfwald (ex Ddr), appena entrato in funzione, mentre veniva bloccata la costruzione di altre tre unità di terza generazione Vver 1000 più nuove di quelle che Enel dovrà completare ora».
Per Giuseppe Onufrio, direttore delle campagne di Greenpeace, «è il modo peggiore di commemorare Chernobyl: il completamento dei due reattori verrà a costare 1,6 miliardi di euro per 816 Mw, quasi 2000 euro per Kw, cinque volte il costo di una centrale a gas di pari potenza, persino un costo maggiore di una centrale nucleare di nuovissima generazione, mentre in realtà si tratta di tecnologia sovietica di progettazione ante-Chernobyl».
Per Greenpeace la decisione di completare la costruzione dei reattori 3 e 4 di Mochovce è «illegittima», perché nessuna procedura di valutazione di impatto ambientale è stata avviata da vent'anni a questa parte dalle autorità locali per la realizzazione di tali reattori. Il progetto rappresenta inoltre un enorme pericolo. I due fatiscenti reattori slovacchi di tipo VVER-440/213 risalgono ai primi anni Settanta e, non potendo essere migliorati i livelli di sicurezza, non soddisfano i requisiti minimi di sicurezza richiesti dall'Europa. Nel 2012, una volta ultimati i lavori, i reattori saranno datati di oltre 40 anni.
Altra chicca è la centrale ceca di Temelin, stessa tecnologia sovietica anni '70, nessuna valutazione di impatto ambientale - impensabile sotto il regime - così vetusta e insicura che da anni ambientalisti austriaci e non e cittadini ne chiedono l'immediata chiusura. A tal fine hanno raccolto un milione e 200 mila firme.
Due anni fa dimostranti austriaci avevano bloccato per un'ora il posto di confine di Wullowitz-Dolni Dvoriste con una dozzina di trattori decorati da palloncini con la scritta «Stop Temelin», che si trova a soli 60 chilometri dal confine con l'Austria.
I lavori di costruzione dell'impianto iniziarono nel 1987. Il progetto iniziale prevedeva l'installazione di quattro reattori di tecnologia sovietica, ridotti poi a due dopo la caduta del regime comunista del 1989.
L'impianto è divenuto operativo nel 2000 ed è dotato di reattori Wer ad acqua pressurizzata del tipo V 320, mentre i sistemi di sicurezza sono stati forniti dalla società statunitense Westinghouse.
Già dal 1978 l'Austria ha espresso e manifestato ufficialmente la sua contrarietà all'utilizzo dell'energia nucleare.
di Matteo Moder
Il Manifesto del 06/06/2008
Dopo l'incidente alla centrale slovacca di Krsko, si riscopre il pericolo radioattivo. Da Mochovce a Temelin, ecco gli impianti ex sovietici che fanno paura
Dissoltasi la bolla di sapone del «non incidente» nella semi obsoleta centrale nucleare di Krsko, a 130 km in linea d'aria da Trieste, troppo enfatizzato, secondo le autorità slovene e i nuclearisti nostrani, dalla stampa di mezzo mondo (ma anche a Chernobyl andò così), si va avanti col nucleare di terza, quarta, forse quinta generazione. Scajola insegna e i sostenitori dell'atomo plaudono.
«La centrale di Krsko martedì prossimo riprenderà la sua normale attività», ha detto il direttore tecnico dell'impianto nucleare sloveno, Predrag Sirola. Sul guasto avvenuto all'impianto di refrigerazione Sirola ha affermato che «non c'è nulla di particolarmente rilevante in ciò. Sono guasti - ha sostenuto - che succedono con una certa regolarità e che avvengono nelle 200 centrali sparse in Europa che funzionano con lo stesso sistema di quello di Krsko. La gente - ha spiegato - se vuole le centrali deve abituarsi a questo tipo di contrattempi e li deve anche sapere. Quanto è accaduto per me è stata una bolla di sapone che i media hanno particolarmente ampliato. Oggi qui si lavora normalmente e si lavora tutti e martedì prossimo la centrale tornerà a funzionare come prima. I pezzi di ricambio ci sono e posso aggiungere che nessun tecnico esterno è stato chiamato da noi per riparare il guasto». Chi temeva un'altra Chernobyl è servito. E così anche per il governo italiano, che parla per bocca della ministra dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, quello della centrale slovena di Krsko è «un incidente chiuso». Anzi, secondo l'esponente governativa si è cercato di utilizzare la vicenda come pretesto per fare campagna contro i piani del governo italiano di tornare all'atomo nei prossimi anni. Che, assicura l'altro ministro Scajola, saranno rispettati.
Se, lodevolmente, il Corriere della Sera ha ieri indicato le tredici centrali nucleari che si trovano a una distanza, in linea d'aria, inferiore ai 200 chilometri dall'Italia, la cosa non deve spaventare più che tanto anche se i radionuclidi sono degli irregolari, dei clandestini senza permesso di soggiorno o d'entrata. Ma quelli indicati sono prevalentemente europei al 100% (Francia, Svizzera, Germania, la cattolicissima Slovenia) per cui valgono almeno le loro comuni radici cristiane.
Quello che può preoccupare sono le centrali dell'est «unionizzato» e che fino al 1989 operavano senza tetto né legge e soprattutto senza valutazioni di impatto ambientale, sotto la morsa sovietica. Come la centrale slovacca di Mochovce, del cui adeguamento ai parametri di sicurezza «occidentale» si occuperà l'Enel, che ha da tempo acquisito il 66% della società slovacca Slovesnke Elektrarne. L'accordo prevede - secondo Greenpeace, che ha preso a gran cuore questa e altre vicende «energetiche» - «il completamento di due vecchi reattori nucleari di progettazione sovietica». Si tratterebbe - a detta degli ambientalisti - di reattori VVER 440-213 ad acqua pressurizzata da 408 MW ciascuno la cui realizzazione, iniziata nel 1983, su progetti sovietici degli anni '70, fu fermata definitivamente nel 1993, quand'erano costruiti al 50%. Secondo l'associazione ambientalista la Slovacchia, con il trattato di adesione alla Ue, si era impegnata «a chiudere entro il 2008, per ragioni di sicurezza, due reattori della stessa potenza ma di prima generazione del tipo Vver 230, proibiti in Europa, che si trovano a nell'altra centrale nucleare slovacca di Bohunice e questi due di Mochovce dovrebbero rimpiazzarli». «I tentativi di finanziarne il completamento - ha sempre denunciato Greenpeace - furono respinti dalla Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo mentre un reattore dello stesso tipo fu chiuso dopo l'unificazione della Germania a Greisfwald (ex Ddr), appena entrato in funzione, mentre veniva bloccata la costruzione di altre tre unità di terza generazione Vver 1000 più nuove di quelle che Enel dovrà completare ora».
Per Giuseppe Onufrio, direttore delle campagne di Greenpeace, «è il modo peggiore di commemorare Chernobyl: il completamento dei due reattori verrà a costare 1,6 miliardi di euro per 816 Mw, quasi 2000 euro per Kw, cinque volte il costo di una centrale a gas di pari potenza, persino un costo maggiore di una centrale nucleare di nuovissima generazione, mentre in realtà si tratta di tecnologia sovietica di progettazione ante-Chernobyl».
Per Greenpeace la decisione di completare la costruzione dei reattori 3 e 4 di Mochovce è «illegittima», perché nessuna procedura di valutazione di impatto ambientale è stata avviata da vent'anni a questa parte dalle autorità locali per la realizzazione di tali reattori. Il progetto rappresenta inoltre un enorme pericolo. I due fatiscenti reattori slovacchi di tipo VVER-440/213 risalgono ai primi anni Settanta e, non potendo essere migliorati i livelli di sicurezza, non soddisfano i requisiti minimi di sicurezza richiesti dall'Europa. Nel 2012, una volta ultimati i lavori, i reattori saranno datati di oltre 40 anni.
Altra chicca è la centrale ceca di Temelin, stessa tecnologia sovietica anni '70, nessuna valutazione di impatto ambientale - impensabile sotto il regime - così vetusta e insicura che da anni ambientalisti austriaci e non e cittadini ne chiedono l'immediata chiusura. A tal fine hanno raccolto un milione e 200 mila firme.
Due anni fa dimostranti austriaci avevano bloccato per un'ora il posto di confine di Wullowitz-Dolni Dvoriste con una dozzina di trattori decorati da palloncini con la scritta «Stop Temelin», che si trova a soli 60 chilometri dal confine con l'Austria.
I lavori di costruzione dell'impianto iniziarono nel 1987. Il progetto iniziale prevedeva l'installazione di quattro reattori di tecnologia sovietica, ridotti poi a due dopo la caduta del regime comunista del 1989.
L'impianto è divenuto operativo nel 2000 ed è dotato di reattori Wer ad acqua pressurizzata del tipo V 320, mentre i sistemi di sicurezza sono stati forniti dalla società statunitense Westinghouse.
Già dal 1978 l'Austria ha espresso e manifestato ufficialmente la sua contrarietà all'utilizzo dell'energia nucleare.
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