venerdì 6 giugno 2008

"I nuovi reattori non sono sicuri bisogna scommettere sulla ricerca"

"I nuovi reattori non sono sicuri bisogna scommettere sulla ricerca"

La Repubblica del 6 giugno 2008, pag. 15

di Antonio Cianciullo

«E’ sempre il vecchio problema della trasparenza che abbiamo conosciuto ai tempi di Chernobyl. In Francia dicono "annegare il pesce", cioè confondere le acque. Tre ore di ritardo nel segnalare alle autorità internazionali il guasto nella centrale slovena sono troppe, decisamente troppe». Dal suo osservatorio svizzero, Carlo Rubbia segue con una certa preoccupazione gli eventi che hanno portato al blocco della centrale nucleare di Krsko.



Pensa che quelle tre ore di ritardo avrebbero potuto scatenare problemi più gravi?

«Dico che ancora non sappiamo con esattezza quello che è successo, che i tecnici stanno cercando di capire cosa non ha funzionato, cosa ha prodotto il malfunzionamento».



Un problema che comunque non sembra essere stato particolarmente grave.

«Non è stato particolarmente grave ma si è trattato dell’ennesimo campanello di allarme. Siamo di fronte a una tecnologia che è già vecchia e sta diventando obsoleta».



Oggi però i reattori di terza generazione, quelli che seguiranno il primo in costruzione in Finlandia, vengono presentati come il nuovo.

«Sinceramente non vedo una grande differenza tra i reattori di seconda generazione, quelli di cui leggiamo spesso nelle pagine di cronaca, e i reattori di terza generazione. I miglioramenti sono marginali, non vanno a intaccare il cuore del problema».



Cioè la sicurezza?

«Non solo la sicurezza. I punti critici riguardano le scorie, l’approvvigionamento dell’uranio, l’efficienza delle macchine, la proliferazione nucleare. Con la terza generazione, quella che si potrebbe costruire oggi, tutti questi fattori, che finora hanno costituito un freno potente allo sviluppo della tecnologia nucleare, restano in campo. Noi stiamo parlando di una tecnologia che risale agli anni Sessanta, ai tempi dei primi sottomarini nucleari. Ma veramente vogliamo tenerla in vita fino al 2050, quando avrà quasi un secolo di storia sulle spalle?».



Eppure è proprio questo il progetto lanciato in Italia: avviare oggi la costruzione di impianti nucleari che nella migliore delle ipotesi, se nessuno si opporrà e tutto filerà liscio, saranno pronti attorno al 2020.

«Cosa vuole che le dica... Io le posso dare solo un giudizio scientifico. Se si vuole veramente fare un salto in avanti, se si vuole imboccare la strada di un’energia efficiente e a basso impatto ambientale, bisogna avere il coraggio di scommettere sulla ricerca, bisogna puntare sulla quarta generazione. Quella sì darà vantaggi reali e significativi».



Proviamo a descriverli.

«Quando si parla di quarta generazione non si parla di un modello unico ma di una famiglia di reattori, tra cui quello al torio su cui ho lavorato per dieci anni, che hanno in comune altissime prestazioni. Innanzitutto l’efficienza: un reattore di terza generazione ha bisogno di 200 tonnellate l’annodi uranio, una risorsa piuttosto limitata, mentre a un reattore di quarta generazione basta una tonnellata l’anno di torio, che è abbondante come il piombo».



E per quanto riguarda le scorie?

«La sicurezza fa un salto a tutti i livelli, anche a quello delle scorie. Si passa da una radioattività che dura milioni di anni a un problema che si misura nell’arco dei secoli».



Da un orizzonte geologico a un orizzonte umano.

«Esattamente. E poi si risolve anche in maniera radicale la minaccia della proliferazione atomica che oggi rappresenta una preoccupazione crescente e che, con eventuali reattori al plutonio, diventerebbe ancora più allarmante. Con il torio invece è tutto molto più semplice per l’ottima ragione che con questo materiale non si costruiscono bombe».



Ritiene che il nuovo allarme spingerà a riconsiderare l’opzione nucleare?

«Io penso che dobbiamo affrontare una grande sfida e non possiamo permetterci di sbagliare: il rischio è troppo alto. Abbiamo di fronte scenari segnati da un livello di inquinamento agghiacciante e da una formidabile pressione climatica che rischia di avere conseguenze devastanti. E per sfuggire a questa doppia minaccia c’è solo una possibilità: scommettere sulla scienza. Non possiamo accontentarci di soluzioni vecchie e pericolose: dobbiamo investire risorse e intelligenza nella costruzione di un sistema energetico che sia al tempo stesso efficiente e sicuro».

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