lunedì 16 giugno 2008

Nucleare, una scelta sbagliata

Nucleare, una scelta sbagliata

L'Unità del 16 giugno 2008, pag. 25

di Sergio Gentili

L’incidente nella centrale nucleare di Krsko, in Slovenia, pur di livello minore (garantiscono), ha suscitato allarme e apprensione nelle popolazioni. Ha pesato il ricordo del tragico incidente di Cernobyl e soprattutto la consapevolezza dei rischi e dei limiti che ancora oggi impedisce alla tecnologia nucleare di avere un peso significativo nel sistema energetico mondiale. Tanto che l’International Energy Agency prevede, entro il 2030, una robusta riduzione della quota di produzione elettrica da nucleare che non supererà neppure il 10% della produzione totale.



Il centro destra, viceversa, propone il ritorno al nucleare. Dicono per soddisfare la domanda di energia e per tutelare l’ambiente. Ma queste motivazioni non stanno in piedi. Sul terreno della tecnologia il discorso è semplice. Il cosiddetto nucleare "sicuro", di quarta generazione, come ci ricorda in una recente intervista l’ad dell’Enel, Fulvio Conti, ancora non c’è. E non ci sarà per i prossimi 20/30 anni. La tecnologia che il Ministro (del G8) Scajola vuole dare al paese, quindi, è quella di prima, più sofisticata ma non è né conveniente, né strutturalmente più sicura. Il problema delle scorie radioattive non è risolto. Esse continuano ad essere fortemente inquinanti. Non si sa dove metterle. Nessuno le vuole (anzi il governo ha il dovere di risolvere il problema di quelle vecchie evitando "invenzioni" dannose come fu per Scanzano Ionico) e i costi di smaltimento sono elevatissimi, a carico degli utenti: pagare di più per meno sicurezza è proprio un buon affare! Il nucleare ha costi elevati, non è competitivo e aggraverà la stessa bolletta elettrica delle famiglie. La ricerca scientifica per un nucleare "pulito", tuttavia, è in azione. Aiutiamola, con fiducia ed ottimismo. Oggi, però, quello che si propone è un azzardo costoso e di difficile gestione sociale. Ma c’è di più. E la strategia economica che sta dietro al nucleare che è sbagliata. Essa non si confronta in modo strategico con la competizione globale e, tanto meno, dà risposte immediate alla crisi petrolifera in atto. Il costo del barile di petrolio è alle stelle e l’economia mondiale corre sul filo della recessione, settori economici sono in sofferenza e in agitazione, si è aggravata la crisi alimentare mondiale e ciò nei paesi più poveri significa disperazione e fame. Ma gli effetti negativi della crisi incideranno anche sui livelli di vita e di consumo delle famiglie italiane. La vera sfida che abbiamo di fronte è, quindi, quella di riuscire a tenere insieme politiche energetiche strategico-innovative e politiche antirecessive. Se nel ‘73, nella prima crisi petrolifera, l’alternativa al petrolio fu cercata nel nucleare, che però non portò a cambiamenti strutturali, oggi, viceversa, ci sono alternative nuove e più valide: nell’immediato il mix gas-metano con risparmio energetico, nel medio e lungo periodo, la crescita nel mix delle fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico geotermia) e l’idrogeno. Certamente la scelta tecnologica non è neutrale, essa implica una visione del modello energetico, degli interessi sociali e della competitività globale. E scegliere le tecnologie per un sistema energetico sostenibile significa guardare agli interessi del clima, dell’impresa, del lavoro e della ricerca scientifica. E nell’intreccio tra recessione e nuove risposte energetiche che si pone il confronto tra risparmio energetico e fonti rinnovabili da una parte, e quella del nucleare dall’altra. Il ritorno al nucleare, accompagnato da un potenziamento dell’uso del carbone, cancellerebbe le politiche per il risparmio energetico e darebbe un durissimo colpo alla nascente industria delle fonti rinnovabili. Il risultato sarebbe lo sradicamento di quella robusta politica d’incentivi per il risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili messa in essere dal centro sinistra e che teneva insieme sia la costruzione di un nuovo modello energetico, sia una politica antirecessiva. Politica che camminava su due gambe: a) sostegno alla domanda, difesa dei redditi delle famiglie, delle imprese e dei bilanci degli enti locali, che con piccoli investimenti, rimborsati per il 55% e finanziati con vantaggiosi accordi bancari, potevano/possono risparmiare sulla bolletta elettrica, diventare autoproduttori e vendere alla rete le eccedenze elettriche a prezzi vantaggiosi; b) stimolo alle imprese (meccanica, elettronica, edilizia, commercio) incentivate a progettare, produrre, vendere ed installare pannelli solari e termici, ristrutturare immobili, produrre macchinari ed elettrodomestici a risparmio energetico, incentivati a far crescere la bioedilizia, l’illuminazione del risparmio, la manutenzione. Questi provvedimenti hanno avviato la costruzione di un nuovo segmento dell’economia che già oggi è strategico sia come politica antirecessiva, sia nella competitività globale. Stranamente, la Confindustria sembra non interessata allo sviluppo di queste imprese, di questo fronte strategico della competizione globale.



In Italia, il ritorno al nucleare rappresenterebbe un modello opposto: centralistico, pesante, con imprese oligopolistiche, insicuro, bollette più care, minima occupazione, fuori tempo nel contrastare la recessione e la crisi ambientale, minore ricerca, non innovazione delle imprese piccole e medie. Ciò porterebbe il nostro paese ai margini di quella competizione di qualità che è in atto tra grandi paesi e grandi aree geopolitiche. Gli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, indicati dall’Europa (meno 20% di C02, più 2(% di energia dal rinnovabile, più 20% di risparmio entro il 2020) vanno letti nel loro duplice significato: di responsabilità verso i mutamenti climatici e di sfida competitiva nella globalizzazione. Proprio Sarkozy, ai margini del vertice della Fao di Roma, ha sostenuto che il clima, il risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili sono la prima sfida dell’Europa. Già oggi, le nazioni europee più forti si stanno attrezzando. Il settore del rinnovabile ha già una sua robustezza in Spagna, Danimarca, Portogallo, Germania, sia in termini di produzione elettrica che di occupazione. Così anche negli Usa. Queste tecnologie che riducono l’uso del petrolio e non creano pericoli o rischi, avranno grandi opportunità di sviluppo in Occidente come in Cina, in India, nei paesi dell’America Latina e nella poverissima Africa. Sono una grande opportunità. E sono una necessità per bloccare il riscaldamento del pianeta che non è più un rischio, ma una realtà con cui fare i conti. Il centro destra, invece, porta l’Italia da un’altra parte. Non c’è nessuna contrarietà ideologica verso il nucleare. L’unica ideologia che si intravvede invece è quella solita e vecchia, dell’affare per l’affare.

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