giovedì 19 giugno 2008

L’eredità pesante del nucleare

L’eredità pesante del nucleare

Il Manifesto del 19 giugno 2008, pag. 2

di Giorgio Solvetti

«Chi mangia, poco o tanto, caga». Non è un’espressione da ingegnere nucleare, specie se pronunciata con accento piacentino, ma rende bene l’idea. I lavoratori della centrale in dismissione di Caorso tendenzialmente non riescono a essere contro il nucleare, ma una cosala ammettono senza problemi: non esiste un nucleare, di nessuna generazione, che non produca scorie. Lo sanno bene perché tutti i giorni sono impegnati nello smantellamento della vecchia centrale. Per Caorso sono giornate strane. Dopo 20 anni dalla chiusura della centrale seguita al referendum che pose fine al nucleare in Italia, solo da dicembre si sta finalmente procedendo al trasferimento delle barre di uranio radioattive che alimentavano il reattore. E intanto il governo Berlusconi annuncia di voler puntare nuovamente sull’energia atomica. «Arturo», questo il nome del vecchio reattore, non potrà mai più essere utilizzato, ma l’area della vecchia centrale sarà tra le prime ad essere presa in esame qualora si volessero davvero progettare nuovi impianti nucleari. «Ma come - dice Gianni, il barista del paese - hanno costruito la centrale, poi l’hanno chiusa, dal 1987 ad oggi non siamo ancora riusciti a liberarci delle scorie, e parlano ancora di nuove centrali?».



1977, nasce «Arturo»

Quello di Caorso è il più recente reattore nucleare realizzato in Italia. La tecnologia e la formazione erano state fornite dagli Usa. A quei tempi l’Italia era all’avanguardia per il nucleare, disponeva dì 4 centrali. Caorso ha raggiunto la «prima criticità», ovvero si è acceso, nel 1977. L’anno dopo ha cominciato a dare energia alla rete elettrica nazionale. E’ rimasto in «rodaggio» fino al 1980, poi è entrato in funzione a pieno regime. «Abbiamo fatto anche alcuni record in Europa», dicono orgogliosi i lavoratori più anziani. In totale la centrale ha prodotto 29 miliardi di chilowatt. Dopo il referendum dell’87 l’impianto è stato messo in stand-by: si praticavano controlli e manutenzione ma non veniva più acceso. Solo nel 1990 è stata disposta la definitiva chiusura. Ma la dismissione è andata molto a rilento. Nessuno sapeva che farne della centrale e del materiale radioattivo che conteneva. Nel 1999 l’impianto è passato dall’Enel alla Sogin, la società che ha il compito di smantellare le vecchie centrali. Ma tutto è rimasto fermo fino al 2003.



2003, comincia l’agonia

Nel corso degli anni la gestione di Sogin ha sollevato perplessità. Con il governo Prodi il cda della società è stato rimpiazzato e lo smantellamento, il cosiddetto decomissioning, è finalmente iniziato. Nel 2003 le barre di uranio sono state tolte dal reattore e immerse in speciali piscine, in attesa che il governo trovasse un sito nazionale per lo stoccaggio di materiale radioattivo. Dopo il fallimento dell’ipotesi Scanzano, è stato necessario fare un accordo con una società francese. E solo da dicembre le barre vengono spedite in Normandia, dove vengono trattate. Ma è solo una soluzione temporanea perché, prima o poi, le barre verranno riconsegnate all’Italia che ancora non sa dove metterle. Un parcheggio a tempo da centinaia di milioni di euro (finanziato con le nostre bollette della luce). Inoltre, nella centrale rimangono due «cimiteri» dove sono stoccati 10 mila fusti che contengono materiali contaminati. Per ora è stata smontata solo la turbina, ripulita nella superficie contaminata. Per il reattore le cose sono più complesse perché si tratta di materiale irradiato in profondità, molto difficile da bonificare. Che farne? Nessuno la sa.



2007, il reattore viene smontato

«Stiamo facendo tutto il possibile per trasferire le barre in Francia - spiegano alla Sogin - abbiamo deciso una forte accelerazione delle operazioni». Lo sa bene Mario Cabrini della Filcem Cgil di Piacenza. «Con il cambiamento al vertice di Sogin le cose sono andate decisamente meglio, finalmente hanno davvero cominciato il lavoro per cui sono nati. Da dicembre sono state trasportate in Francia 158 barre su un totale di 1052. La paura del paese e dei lavoratori è che una volta finito il trasferimento delle barre tutto si fermi di nuovo. Le operazioni per sanare completamente il territorio durerebbero minimo altri 15 anni e costerebbero molti soldi. Dunque è possibile che una volta rimosso il pericolo pressante della barre non si abbia la volontà di procedere oltre. Anche per i lavoratori diminuirebbe il potere contrattuale. Quando la centrale funzionava erano 450, ora sono 120, molti sono prossimi alla pensione, altri vengono incentivati ad andare in pensione. Chi farà il lavoro? Se poi si parla di nucleare di nuova generazione bisogna rendersi conto che non c’è più personale preparato. Bisognerebbe ricominciare tutto da capo». Il trasferimento delle barre comporta un lavoro molto complesso. Alla stazione di Caorso arrivano contenitori pesanti diverse tonnellate, detti cask. Dopo innumerevoli controlli i task vengono appesi a una gru e immersi nelle piscine dove sono stoccate le barre. Solo sott’acqua vengono riempiti. Se una barra emergesse dall’acqua ucciderebbe tutti i presenti. Se un cask cadesse sarebbe un disastro totale. E’ una procedura delicata che richiede la massima attenzione, una cosa che mal si concilia con la pressione impostata dall’accelerazione dei trasferimenti voluta da Sogin.



2008, ««Arturo2», la resurrezione?

In Italia non si sa dove mettere le scorie nucleari, a Caorso ci sono voluti 20 anni per cominciare con mille cautele a smantellare la vecchia centrale. Si sono perse competenze e tecnologie per ipotizzare la costruzione e la gestione di nuove centrali. Come si può riparlare di nucleare, specialmente a Caorso? Eppure, sin dalla costruzione della centrale, era stato previsto un secondo reattore che avrebbe dovuto sorgere dove ora ci sono i «cimiteri» dei fusti contaminati. Per questo Caorso sarebbe tra i primi candidati in caso di un rilancio del nucleare italiano: realizzare una centrale a fianco di quella vecchia permetterebbe di aggirare difficoltà burocratiche e risparmiare sui nuovi studi del territorio.


Che ne pensano da queste parti? Il motto è «Caorso ha già dato». Il sindaco Fabio Callori (Fi) chiede innanzitutto che venga completato lo smantellamento, anche se non chiude del tutto la porta al nucleare: «Solo dopo la fine del decomissioning si può riaprire il confronto». Lo spavento di Chernobyl a Caorso non è mai stato dimenticato. «Dopo Chernobyl - racconta Franco, un vecchio lavoratore della centrale - erano quelli che venivano da fuori a far scattare gli allarmi. L’erba dei nostri prati era più radioattiva della centrale». A Caorso però non ci sono mai stati incidenti e la centrale vuol dire soldi. Gino adesso abita a Zerbio, meno di un chilometro da Arturo. «Se vogliono rifare centrali questa volta vadano da un’altra parte». Poi ci ripensa, «o per lo meno mi diano 100 mila euro». La figlia, è anche lei contraria «a meno che non mi assumano il figlio». Giuseppina ha settant’anni, vive con la centralina dell’Arpa che misura la radioattività della sua insalata, eppure a lei basta che «le cose siano fatte bene». La interrompe la vicina: «Siamo in Italia, non mi fido, ci hanno lasciato qui con ‘sta cattedrale nel deserto per 20 anni piena di barre radioattive, come si fa a pensare che le cose possano essere fatte bene? E poi con il nucleare non si scherza, per quanti controlli ci siano, il rischio è troppo alto. Ci ha contaminato una centrale in Russia, figurati una centrale che sta a meno di un chilometro da casa mia. Non la voglio».

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