Nucleare, ritorno a Caorso
Corriere della Sera del 23 settembre 2008, pag. 10
di Giangiacomo Schiavi
Dicono che si riparte da qui.
Da quest’angolo di Padania dove il nucleare è sepolto tra l’autostrada e il Po. Ci sono i canneti, le vecchie cascine, una garitta deserta. E c’è una centrale spenta, un relitto che aspetta di essere abbattuto. Per farla funzionare, quarant’anni fa, l’Enel ha investito 468 miliardi di lire; per tenerla ferma, vent’anni fa, lo Stato ne ha bruciati diecimila.
Impossibile dimenticare Caorso. E il day after del nucleare all’italiana, un caso d’eutanasia su un paziente sano. Nel 1969 doveva essere la centrale più potente d’Europa. Nel ‘78, in funzione, poteva accendere otto milioni di lampadine da cento watt, una potenza in grado di illuminare una città come Milano. Si è fermata, guastata ed è ripartita. Ha fatto risparmiare 1.700 miliardi sulla bolletta petrolifera. Dopo Chernobyl e il referendum è finita in un angolo morto della storia. Dal 1988 ammuffisce nel deserto della Bassa: chiuso il centro d’informazione, dimenticato il raddoppio, accantonata l’ipotesi di farne una nave scuola per tecnici e ingegneri. Un caso da manuale degli sperperi: da ferma la centrale costava 300 milioni al giorno.
Per anni 177 operai e tecnici hanno aspettato il segnale di una ripartenza, come i soldati di Buzzati nella Fortezza Bastiani. Il segnale è arrivato, ma molti di loro sono già in pensione. Adesso si sente dire che sulle ceneri della vecchia centrale ne può nascere un’altra. L’ipotesi non è campata in aria: è realistica. Di raddoppio si è sempre parlato. Più il premier Berlusconi e il ministro Scajola insistono sul ritorno del nucleare in Italia, più intorno a Caorso si aspetta, o si teme, la nomination.
Ci si mette anche il leader della Lega, Umberto Bossi, a fare da sponda: «Le centrali nucleari? In Padania la gente le accetterebbe. Siamo gente civile, non vogliamo rimanere senza frigo e condizionatore». Così il sindaco di Caorso, Fabio Callori, Forza Italia, è costretto a mettere le mani avanti: «Se questa è l’intenzione, cominciamo a parlarne. Sarebbe da pazzi dire no al nucleare a Caorso, ma bisogna prima coinvolgere la gente, discutere con gli enti locali, creare il consenso». Concorda il senatore di Forza Italia Guido Possa, responsabile del dipartimento Energia per la Lombardia, già viceministro per la Ricerca e ascoltato consigliere del premier. «L’identificazione dei siti è una scelta delicata. Caorso è la prima cosa che viene in mente quando si parla di nuove centrali. C’è un patrimonio enorme di conoscenza c’è una rete di controllo sociale che non va sprecata. Ma i passaggi da fare sono tanti e siamo solo all’inizio. L’accettazione deve passare attraverso un messaggio chiaro alla popolazione coinvolta e agli enti locali».
Quarant’anni fa non andò così. Lo ricordano nel libro «Piacenza, capitale dell’energia» i protagonisti di quell’avventura. A Caorso non ci fu nessun dibattito. Il Sole non rideva sull’Italia, la legge di Nimby («Non nel mio giardino») era sconosciuta. Un funzionario dell’Enel sbrigò la faccenda da solo, bastarono un paio di incontri in Comune. Il sindaco comunista Pietro Rossetti, un galantuomo in buona fede, disse di sì con la promessa di un risarcimento per i danni di una centralina sul Po. Ti consiglio comunale approvò il reattore con una licenza edilizia, come per un condominio. Un inganno nucleare, denunciò Italia Nostra. Consumato nel silenzio di una stampa interessata più ai miliardi dell’investimento che all’impatto ambientale. Ricorda un altro ex sindaco, Enrico Fanzini, succeduto a Rossetti: «Nessuno di noi sapeva niente di nucleare. Con l’aiuto del partito sentimmo uno scienziato inglese: ci fornì ampie assicurazioni sulla sicurezza». Una. centrale atomica, diceva, è più sicura di un’automobile. Era un altro secolo e c’era un’altra Italia. La Dc al 38 per cento, Rumor presidente del Consiglio, Nenni agli esteri, Tanassi all’Industria In prima prima pagina il crac di Felicino Riva, il rapimento Lavorini, le uova marce alla Bussola. E poi il Sessantotto, gli studenti in piazza, l’autunno caldo che incombe. E Le Monde che fotografa un Paese allo sbando, con il record europeo delle ore di sciopero e 873 giornate di lavoro perse ogni 1.000 lavoratori. «L’Italia ricorda la Grecia alla vigilia del golpe militare: scioperi selvaggi, blocchi stradali, guerriglia, picchettaggi, cortei nelle fabbriche molotov, culto verbale della violenza..». Cominciò così il nucleare all’italiana. Con tanto pressapochismo, bugie, strumentalizzazioni, furberie, confusione. Ma le competenze tecniche c’erano, e anche gli uomini: Caorso, dopo errori e battaglie, diventò un modello da esportare. Normale che se ne riparli. Qui c’è già tutto per una centrale: gli studi sismici, l’acqua del Po per il raffreddamento delle barre di uranio, le convenzioni sulla protezione ambientale, una rete di monitoraggio. C’è anche il famigerato piano d’emergenza, quello che fino agli anni Ottanta era un concentrato di inutile burocrazia chiuso a chiave in prefettura e che è stato riscritto, reinventato da Comune, Provincia e Regione. «State calmi, non è successo niente di grave», si leggeva in un ridicolo volantino da distribuire alla popolazione nel 1979, quando il prefetto rispondeva così a chi gli chiedeva notizie: «Un incidente a Caorso? Facimme ‘e corna».
Che storia. E che brutto finale. Con la centrale fermata dopo tre anni a pieni giri, dal 1982 all’85, e 29 miliardi di chilowattora prodotti. E con la popolazione di Caorso che non firma per il referendum e non sfila alle marce dei Verdi. Un caso unico nell’Italia dei no. Ma c’era Chernobyl nell’86, e la politica energetica in Italia cambiò strada. In piazza a Caorso in quei giorni c’era il vicesegretario del Psi, Claudio Martelli. Lo slogan era «.Atomo, addio». Il Pci si è allineato, la De ha avuto paura. Chicco Testa, futuro presidente Enel, guidava un corteo contro l’atomo. Oggi ha cambiato idea. Ripensiamo al nucleare, scrive. Guido Possa approva: «Il governo Berlusconi ne ha fatto una bandiera». Pierluigi Bersani, ministro ombra del Pd, nella prefazione del libro su Caorso, butta la palla avanti: «Il domani del nucleare appartiene alla quarta generazione». "Sul piatto ci sono però le centrali della terza generazione. E a Caorso, nell’attesa, c’è una pattumiera di vecchie scorie.
Corriere della Sera del 23 settembre 2008, pag. 10
di Giangiacomo Schiavi
Dicono che si riparte da qui.
Da quest’angolo di Padania dove il nucleare è sepolto tra l’autostrada e il Po. Ci sono i canneti, le vecchie cascine, una garitta deserta. E c’è una centrale spenta, un relitto che aspetta di essere abbattuto. Per farla funzionare, quarant’anni fa, l’Enel ha investito 468 miliardi di lire; per tenerla ferma, vent’anni fa, lo Stato ne ha bruciati diecimila.
Impossibile dimenticare Caorso. E il day after del nucleare all’italiana, un caso d’eutanasia su un paziente sano. Nel 1969 doveva essere la centrale più potente d’Europa. Nel ‘78, in funzione, poteva accendere otto milioni di lampadine da cento watt, una potenza in grado di illuminare una città come Milano. Si è fermata, guastata ed è ripartita. Ha fatto risparmiare 1.700 miliardi sulla bolletta petrolifera. Dopo Chernobyl e il referendum è finita in un angolo morto della storia. Dal 1988 ammuffisce nel deserto della Bassa: chiuso il centro d’informazione, dimenticato il raddoppio, accantonata l’ipotesi di farne una nave scuola per tecnici e ingegneri. Un caso da manuale degli sperperi: da ferma la centrale costava 300 milioni al giorno.
Per anni 177 operai e tecnici hanno aspettato il segnale di una ripartenza, come i soldati di Buzzati nella Fortezza Bastiani. Il segnale è arrivato, ma molti di loro sono già in pensione. Adesso si sente dire che sulle ceneri della vecchia centrale ne può nascere un’altra. L’ipotesi non è campata in aria: è realistica. Di raddoppio si è sempre parlato. Più il premier Berlusconi e il ministro Scajola insistono sul ritorno del nucleare in Italia, più intorno a Caorso si aspetta, o si teme, la nomination.
Ci si mette anche il leader della Lega, Umberto Bossi, a fare da sponda: «Le centrali nucleari? In Padania la gente le accetterebbe. Siamo gente civile, non vogliamo rimanere senza frigo e condizionatore». Così il sindaco di Caorso, Fabio Callori, Forza Italia, è costretto a mettere le mani avanti: «Se questa è l’intenzione, cominciamo a parlarne. Sarebbe da pazzi dire no al nucleare a Caorso, ma bisogna prima coinvolgere la gente, discutere con gli enti locali, creare il consenso». Concorda il senatore di Forza Italia Guido Possa, responsabile del dipartimento Energia per la Lombardia, già viceministro per la Ricerca e ascoltato consigliere del premier. «L’identificazione dei siti è una scelta delicata. Caorso è la prima cosa che viene in mente quando si parla di nuove centrali. C’è un patrimonio enorme di conoscenza c’è una rete di controllo sociale che non va sprecata. Ma i passaggi da fare sono tanti e siamo solo all’inizio. L’accettazione deve passare attraverso un messaggio chiaro alla popolazione coinvolta e agli enti locali».
Quarant’anni fa non andò così. Lo ricordano nel libro «Piacenza, capitale dell’energia» i protagonisti di quell’avventura. A Caorso non ci fu nessun dibattito. Il Sole non rideva sull’Italia, la legge di Nimby («Non nel mio giardino») era sconosciuta. Un funzionario dell’Enel sbrigò la faccenda da solo, bastarono un paio di incontri in Comune. Il sindaco comunista Pietro Rossetti, un galantuomo in buona fede, disse di sì con la promessa di un risarcimento per i danni di una centralina sul Po. Ti consiglio comunale approvò il reattore con una licenza edilizia, come per un condominio. Un inganno nucleare, denunciò Italia Nostra. Consumato nel silenzio di una stampa interessata più ai miliardi dell’investimento che all’impatto ambientale. Ricorda un altro ex sindaco, Enrico Fanzini, succeduto a Rossetti: «Nessuno di noi sapeva niente di nucleare. Con l’aiuto del partito sentimmo uno scienziato inglese: ci fornì ampie assicurazioni sulla sicurezza». Una. centrale atomica, diceva, è più sicura di un’automobile. Era un altro secolo e c’era un’altra Italia. La Dc al 38 per cento, Rumor presidente del Consiglio, Nenni agli esteri, Tanassi all’Industria In prima prima pagina il crac di Felicino Riva, il rapimento Lavorini, le uova marce alla Bussola. E poi il Sessantotto, gli studenti in piazza, l’autunno caldo che incombe. E Le Monde che fotografa un Paese allo sbando, con il record europeo delle ore di sciopero e 873 giornate di lavoro perse ogni 1.000 lavoratori. «L’Italia ricorda la Grecia alla vigilia del golpe militare: scioperi selvaggi, blocchi stradali, guerriglia, picchettaggi, cortei nelle fabbriche molotov, culto verbale della violenza..». Cominciò così il nucleare all’italiana. Con tanto pressapochismo, bugie, strumentalizzazioni, furberie, confusione. Ma le competenze tecniche c’erano, e anche gli uomini: Caorso, dopo errori e battaglie, diventò un modello da esportare. Normale che se ne riparli. Qui c’è già tutto per una centrale: gli studi sismici, l’acqua del Po per il raffreddamento delle barre di uranio, le convenzioni sulla protezione ambientale, una rete di monitoraggio. C’è anche il famigerato piano d’emergenza, quello che fino agli anni Ottanta era un concentrato di inutile burocrazia chiuso a chiave in prefettura e che è stato riscritto, reinventato da Comune, Provincia e Regione. «State calmi, non è successo niente di grave», si leggeva in un ridicolo volantino da distribuire alla popolazione nel 1979, quando il prefetto rispondeva così a chi gli chiedeva notizie: «Un incidente a Caorso? Facimme ‘e corna».
Che storia. E che brutto finale. Con la centrale fermata dopo tre anni a pieni giri, dal 1982 all’85, e 29 miliardi di chilowattora prodotti. E con la popolazione di Caorso che non firma per il referendum e non sfila alle marce dei Verdi. Un caso unico nell’Italia dei no. Ma c’era Chernobyl nell’86, e la politica energetica in Italia cambiò strada. In piazza a Caorso in quei giorni c’era il vicesegretario del Psi, Claudio Martelli. Lo slogan era «.Atomo, addio». Il Pci si è allineato, la De ha avuto paura. Chicco Testa, futuro presidente Enel, guidava un corteo contro l’atomo. Oggi ha cambiato idea. Ripensiamo al nucleare, scrive. Guido Possa approva: «Il governo Berlusconi ne ha fatto una bandiera». Pierluigi Bersani, ministro ombra del Pd, nella prefazione del libro su Caorso, butta la palla avanti: «Il domani del nucleare appartiene alla quarta generazione». "Sul piatto ci sono però le centrali della terza generazione. E a Caorso, nell’attesa, c’è una pattumiera di vecchie scorie.