mercoledì 14 ottobre 2009

Sfide e costi dell'opzione nucleare in Italia

dal sito: radicali.it
Sfide e costi dell'opzione nucleare in Italia

di Bernard Laponche

I promotori del nucleare avanzano tre tipi di argomenti per vantare i meriti dell’utilizzo di questa forma di energia per la produzione di elettricità: la sicurezza energetica (se non « l’indipendenza energetica »), la riduzione dei gas ad effetto serra e gli altri aspetti ambientali, l’interesse economico.

Esaminiamo rapidamente nel presente documento queste tre problematiche.

1. La sicurezza energetica

1.1 La dipendenza petrolifera

È sorprendente constatare come la maggior parte delle tesi a favore dell’opzione nucleare cominciano col descrivere i considerevoli rischi legati alla dipendenza petrolifera. Infatti, per il maggior numero dei paesi ed in particolare per la grande maggioranza dei paesi europei, la prima minaccia che incombe sulla sicurezza energetica è la dipendenza delle loro economie nei confronti del petrolio importato (aumento dei prezzi, rischio geopolitico, limiti delle risorse mondiali…).

Eppure, l’opzione nucleare non offre alcuna riduzione di tale vincolo, come è dimostrato dall’esempio della Francia, che occupa un posto particolare nel mondo per l’importanza del suo programma nucleare[2].

La tabella 1 mostra che il consumo di petrolio per abitante della Francia è più elevato di quello dei suoi grandi vicini. L'enorme programma nucleare non diminuisce in alcun modo la dipendenza petrolifera della Francia.

Tabella 1: Il consumo di petrolio pro capite in quattro paesi europei nel 2007

Paese

Francia

Germania

Italia

Regno Unito

Popolazione (milioni)

61,7

82,4

59,6

60,9

Consumo di petrolio

86,9 Mt

109,2 Mt

78,9 Mt

74,9 Mt

Tonnellate pro capite

1,46

1,36

1,31

1,33

Fonte: Enerdata[3]

1.2 Il contributo del nucleare al consumo di energia finale

Per giudicare l'importanza del contributo del nucleare alla totalità dell'energia consumata nelle attività economiche e sociali (industria, trasporti, habitat, terziario, agricoltura), è interessante osservare la scomposizione del consumo di energia finale tra i diversi prodotti energetici.

La tabella 2 mostra tale scomposizione per la Francia e per l’Italia.


Tabella 2: Consumo di energia finale* della Francia e dell’Italia (2007)

Prodotti

energetici

Carbone

Prodotti petroliferi

Gas

Elettricità

Calore

Biomassa

Totale

FRANCIA

Mtep

5,8

86,2

32,3

36,6

4,3

10,7

175,9

Parte

3,3%

49,0 %

18,4 %

20,8%

2,4%

6,1%

100 %

ITALIA

Mtep

5,0

65,9

40,9

26,6

5,2

1,6

145,2

Parte

3,4%

45,4%

28,2%

18,3%

3,6%

1,1%

100%

* Compresi gli utenti non energetici (rispettivamente 17,0 Mtep e 9,8 Mtep di prodotti petroliferi e gas).

** Biomassa, solare termica, materiali di rifiuto.

*** Mtep: milioni de tonnellate equivalente petrolio.

Fonte: Enerdata.

In entrambi i paesi, i prodotti petroliferi occupano di gran lunga il primo posto (quasi la metà del consumo finale).

In Francia, il contributo del nucleare al consumo finale di elettricità è del 67%. Poiché la parte dell'elettricità nel consumo di energia finale è del 20,8%, il contributo del nucleare al consumo di energia finale della Francia è del 13,9%. È pertanto difficile pretendere che l'energia nucleare assicuri l’indipendenza energetica della Francia.

In Italia, il consumo di elettricità rappresenta il 18,3% del consumo finale totale.

Il governo italiano ha annunciato che, conformemente al suo progetto, la produzione di origine nucleare dovrebbe assicurare il 25% della produzione totale di elettricità. Ciò significa che, se tale progetto si realizzasse, il contributo del nucleare al consumo finale di energia dell'Italia sarebbe del 4,5%.

È ancora più difficile pretendere che il suddetto programma nucleare contribuirebbe in modo decisivo all'indipendenza energetica de l'Italia.

1.3 Il risparmio di gas naturale

Se il nucleare non ha assolutamente alcun ruolo rispetto alla dipendenza petrolifera, può invece costituire un sostituto del gas naturale per la produzione di elettricità.

In Francia, per fornire alla rete la stessa quantità di elettricità di quella proveniente dalle centrali nucleari, bisognerebbe consumare 34 Mtep di gas naturale più 7,5 Mtep di energie rinnovabili non termiche (idraulica, eolica, fotovoltaica). In queste nuove condizioni, la quantità di gas supplementare "in sostituzione" del nucleare rappresenterebbe il 16% del consumo di energia primaria totale.

Detto ciò, il consumo di elettricità in Francia è particolarmente elevato, in particolare a causa dello sviluppo del riscaldamento elettrico.

In Italia, il 25% di elettricità che sarebbe rappresentato dal nucleare (supponendo fabbisogni costanti), vale a dire 90 TWh[4], si sostituirebbe ad un consumo di 13 Mtep di gas naturale in centrali a ciclo combinato con un rendimento del 58%. Ciò rappresenta solo il 19% del consumo di gas naturale dell'Italia nel 2007 ed il 9% del suo consumo di idrocarburi (petrolio più gas).

Questo livello di riduzione del consumo di gas naturale deve poter essere realizzato più facilmente e più economicamente attraverso risparmi energetici realizzati sia sull'elettricità sia sul consumo di gas nel settore residenziale e terziario[5].

D’altronde, la questione del gas non si pone negli stessi termini di quella del petrolio, soprattutto per l'Italia. Infatti, le risorse mondiali di gas sono almeno altrettanto importanti di quelle del petrolio e poiché il consumo mondiale di gas naturale è notevolmente inferiore a quello del petrolio[6], la questione delle risorse è meno pressante. D’altra parte, le fonti di approvvigionamento per l'Europa sono diversificate: Norvegia, Russia, Algeria ma anche Libia e paesi del Golfo. Infine, l'Italia è un luogo di transito del gas dal Nord Africa verso l'Europa, cosa che le attribuisce un ruolo privilegiato ed una maggior sicurezza di approvvigionamento. Infine, non dimentichiamo l’aumento in potenza delle energie rinnovabili che permetterà importanti sostituzioni al gas naturale attraverso lo sviluppo dell'architettura bioclimatica, la produzione di acqua calda ed il riscaldamento con il solare termico e soprattutto con la produzione di elettricità attraverso l’eolico, in particolare off-shore, ed il fotovoltaico.

1.4 L’approvvigionamento in uranio

Nelle statistiche energetiche, l'elettricità di origine nucleare è considerata come una "elettricità primaria", prodotta integralmente sul territorio nazionale (così come l'elettricità idraulica, per esempio) e la sua produzione è pertanto considerata come "nazionale".

In realtà, une centrale nucleare è una centrale termica particolare, nella quale il calore è prodotto attraverso le fissioni all'interno del reattore nucleare e la fonte di energia è l'uranio utilizzato come combustibile (uranio leggermente "arricchito" in Uranio 235, a partire dall'uranio naturale).

La fonte primaria di energia è quindi l'uranio naturale che, nel caso della Francia, così come sarebbe anche per l'Italia, è totalmente importato.

È pertanto anormale considerare il nucleare come un’energia "nazionale". E anche se si potessero costituire importanti riserve d'uranio, la garanzia dell'approvvigionamento sui quattro o cinque decenni della durata di vita di una centrale nucleare che verrebbe costruita nel prossimo decennio è ben lungi dall’essere assicurata, se non altro per l’esaurimento delle risorse di uranio naturale accessibili a prezzi competitivi.

2. Cambiamento climatico, ambiente e rischi

Esaminiamo ora la questione del nucleare e dell'ambiente, con la consapevolezza che se la minaccia del cambiamento climatico è oggi considerata come la principale questione ambientale sul piano mondiale, non potrebbe costituire l’unico criterio di valutazione delle qualità e dei difetti delle differenti politiche energetiche possibili. È necessario prendere in considerazione anche i problemi di inquinamento locale, dei rischi d’incidenti e delle scorie, come pure le necessità di acqua per il raffreddamento delle centrali nucleari.

2.1 Nucleare e clima: le emissioni di gas a effetto serra

Per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica CO2, la produzione di elettricità di origine nucleare presenta un netto vantaggio rispetto alla produzione di origine fossile. Bisogna tuttavia tenere conto delle emissioni dell'insieme del sistema nucleare, ivi comprese le industrie del combustibile (estrazione e trasformazione del minerale, trasporti, trattamento e fabbricazione del combustibile, trattamento e trasporto delle scorie, smantellamento degli impianti…).

Le emissioni di CO2 sono stimate tra 20 e 90 grammi di CO2 per kWh, secondo se si considera o no l’insieme del sistema nucleare. Sono quindi superiori a quelle delle energie rinnovabili. Per quanto concerne la produzione di elettricità di origine fossile, le emissioni variano da 840 grammi di CO2 per kWh, per una centrale a carbone moderna (rendimento del 42%), a 370 grammi per kWh per una centrale a ciclo combinato a gas naturale (rendimento del 58%).

Se il sequestro del CO2 diventasse una tecnica realizzabile ed economicamente accettabile, tali livelli sarebbero nettamente inferiori.

Le emissioni di gas a effetto serra della Francia sono state nel 2005 di 553 Mteq CO2[7], di cui 378 tonnellate di anidride carbonica.

Per valutare il contributo del nucleare alla riduzione delle emissioni, paragoniamo le emissioni di anidride carbonica del sistema nucleare attuale alle emissioni prodotte da centrali a ciclo combinato a gas naturale che assicurerebbero la stessa quantità di elettricità al consumatore finale. Secondo il livello di emissioni per kWh attribuito al nucleare, la differenza tra le emissioni di questi due sistemi rappresenta tra 60 e 100 Mteq CO2, cioè tra il 15% ed il 20% delle emissioni totali di gas a effetto serra della Francia. È tutt’altro che trascurabile ma rimane sempre una quantità tra l’80 e l’85%. Inoltre, questa stima è un valore massimo, giacché la Francia è costretta (in particolare a causa del riscaldamento elettrico) ad importare elettricità di origine fossile, le cui emissioni di anidride carbonica alla produzione dovrebbero logicamente esserle attribuite.

Se la produzione di origine nucleare viene sostituita da una produzione di origine rinnovabile, il guadagno in riduzione delle emissioni di CO2 è paragonabile e perfino superiore (nel caso dell’eolico, per esempio).

La comparazione internazionale presentata nella tabella 5 dimostra chiaramente che il vantaggio della Francia in termini di emissioni di gas a effetto serra a ragione del suo programma nucleare, anche se è reale, non è così significativo come lo pretendono i promotori del nucleare.

Tabella 3: Emissioni di gas a effetto serra (GES) di quattro paesi europei (2005)

Francia

Germania

Italia

Regno Unito

Emissione GES totale

(Mteq CO2)

553

1001

582

657

Popolazione

(milioni)

60,8

82,4

58,8

60,2

Emissione GES pro capite

(teq CO2)

9,1

12,1

9,9

10,9

Scarto con la Francia (%)

0%

+ 33%[8]

+ 9%

+ 20%

Fonte: Agenzia Europea dell'Ambiente.

2.2 Inquinamenti e rischi legati alla produzione di elettricità di origine nucleare

La produzione di elettricità di origine nucleare – per lo meno con le tecniche attuali – è gravata da tre grossi inconvenienti: il rischio d’incidente grave, la gestione delle scorie radioattive ed il rischio di proliferazione delle armi nucleari. Tutto ciò è valido in particolar modo per il reattore EPR, ultimo modello del programma nucleare francese.

Il rischio d’incidente grave

Il rischio d’incidente grave che provochi conseguenze serie per il personale, la popolazione vicina (o anche oltre) o l’ambiente attorno ai reattori nucleari ed agli impianti di combustibile nucleare può essere considerato come scarsamente probabile grazie alle precauzioni adottate nei paesi che hanno finora sviluppato le centrali nucleari ma non è affatto inesistente e le conseguenze di questo tipo d’incidenti possono essere devastanti, come lo ha dimostrato l’incidente di Chernobyl nell’aprile del 1986.

L'accettabilità di un tale rischio non deve dipendere dagli esperti ed ancora meno dai promotori del nucleare. È una questione la cui risposta spetta ai cittadini, attraverso un processo democratico.

Le scorie radioattive

Due modalità di trattamento sono attualmente in vigore per la gestione dei combustibili irradiati provenienti dai reattori nucleari. La maggior parte dei paesi immagazzinano i combustibili irradiati così come sono. Se questa soluzione è indubbiamente la più semplice e la più economica a breve e media scadenza, non è sicuramente soddisfacente a lunga scadenza. Tuttavia, offre il vantaggio di non presentare i numerosi rischi che accompagnano la soluzione del ritrattamento dei combustibili.

La soluzione del ritrattamento dei combustibili irradiati è sviluppata e sostenuta principalmente dalla Francia[9], con il duplice obiettivo della produzione del plutonio e del trattamento delle scorie. Il ritrattamento è di per sé un’operazione chimica complessa in un ambiente fortemente radioattivo e l'impianto di ritrattamento è ad alto rischio in termini di incidenti o aggressioni potenziali. D’altra parte, si tratta di un’operazione che emette gas residui e liquidi pericolosi per la salute come per l’ambiente (inquinamento del Nord Atlantico). Inoltre, il trasporto dei combustibili irradiati e delle scorie radioattive e di plutonio costituiscono anch’essi operazioni ad alto rischio. Infine, il ritrattamento moltiplica le scorie radioattive di varia natura, con radioattività scarsa ma sufficientemente pericolosa perché ci si pongano domande riguardo alla loro collocazione definitiva.

Nella misura in cui tutti i combustibili irradiati non sono ritrattati, in particolare i combustibili misti uranio - plutonio (MOX), è pertanto necessario prevedere contemporaneamente la collocazione dei combustibili irradiati non ritrattati e quella delle diverse categorie di scorie provenienti dal ritrattamento.

Alla fine del funzionamento delle centrali nucleari, vi sarà inoltre da gestire una nuova quantità considerevole di materiali radioattivi, vale a dire tutti i rifiuti prodotti dallo "smantellamento" delle centrali nucleari. Infatti, le centrali nucleari chiuse rimangono siti a rischio di radioattività che devono essere smontate, distrutte e di cui è necessario evacuare e collocare i "detriti".

La proliferazione

L'utilizzazione di materie e di tecniche nucleari ai fini di aggressioni militari o terroristiche pone un grave problema a livello mondiale.

Se l'origine dei reattori attuali utilizzati per attrezzare le centrali produttrici di elettricità è in realtà di natura militare[10], si può considerare che nella maggior parte dei paesi, i programmi civili di costruzione delle centrali non hanno un legame diretto con le questioni militari. La situazione è del tutto diversa per quanto riguarda il combustibile nucleare.

La prima questione riguarda lo sviluppo del nucleare civile a livello di uno Stato. Il grande argomento avanzato dai promotori del nucleare è "l'indipendenza nazionale". Anche senza considerare il modo in cui il paese in questione si procura l'uranio naturale (interamente importato dall’estero per i paesi europei), tale indipendenza esige che il paese interessato domini le tecnologie di fabbricazione del combustibile e quindi la tecnica dell’arricchimento dell'uranio. D’altra parte, se il paese s'impegna nel ritrattamento dei combustibili irradiati, sempre a scopi "civili", potrà produrre plutonio.

L'arricchimento permette di produrre uranio altamente arricchito in uranio 235 ed il ritrattamento permette di produrre plutonio 239 quasi puro: la padronanza di queste due tecniche o di una delle due permette al paese, quando lo decida, di passare rapidamente alla fabbricazione di "bombe atomiche".

L'aggressione terroristica che utilizzi materiali nucleari o semplicemente scorie radioattive ha bisogno di procurarsi queste materie per furto o "dirottamento". È chiaro che se quantità considerevoli di scorie radioattive o di plutonio dovessero essere trasportate in tutto il pianeta, tale operazione diventerebbe sempre più facile.

Oltre alle difficoltà tecnologiche, alla necessità di un altissimo livello di perizia nella condotta, la manutenzione e la sicurezza dei reattori e degli impianti, la propagazione sconsiderata delle tecnologie nucleari da parte dei loro promotori rischia di far aumentare in modo considerevole il pericolo di conflitto o di aggressione nucleare.

Una questione importante per l'Italia: l'acqua per il raffreddamento delle centrali nucleari

In una centrale nucleare, il calore prodotto nel reattore è ricuperato da un circuito primario d’acqua sotto pressione[11], trasmessa ad un circuito secondario d'acqua anche attraverso uno scambiatore: quest’acqua viene così vaporizzata nello scambiatore (denominato per questo motivo "generatore di vapore"). È questo vapore che attiverà la turbina che a sua volta aziona il generatore di elettricità. Il vapore acqueo deve essere raffreddato in un "condensatore" dopo il suo passaggio nella turbina. A causa del rendimento del ciclo di Carnot, circa i 2/3 del calore prodotto nel reattore sono trasmessi all'acqua di raffreddamento che circola nel condensatore, mentre 1/3 viene trasformato in energia elettrica. L'acqua di raffreddamento del condensatore, prelevata in un corso d'acqua o nel mare, è rigettata ad una temperatura superiore a quella della sua immissione.

La scelta dei siti per impiantare una centrale nucleare come pure la potenza di quest’ultima possono avere importanti ripercussioni sulla temperatura dell'acqua e sulla quantità che ne è utilizzata. Se il raffreddamento avviene direttamente attraverso la circolazione dell'acqua (canale derivato da un fiume o dal mare), l'esempio delle centrali francesi dimostra che una centrale di 2500 MWe riscalda di 10 gradi un flusso di 125 metri cubi al secondo. Se un riscaldamento di questa misura può essere accettabile per un sito in riva al mare, non lo è se il raffreddamento è effettuato con l'acqua di un corso d’acqua o di un fiume[12]. In questo caso si ricorre a refrigeranti atmosferici che dissipano il calore vaporizzando acqua. Si tratta di camini di un’altezza da 100 a 150 m e di un diametro dello stesso ordine di grandezza. Il refrigerante atmosferico consuma acqua per evaporazione e, per una centrale di 1000 Mwe, viene evaporata una quantità dell’ordine di un metro cubo al secondo.

3. I costi del nucleare

3.1 Bisogna considerare l’insieme dei costi

La valutazione economica della produzione di elettricità di origine nucleare, passata o futura, deve prendere in considerazione l'insieme dei costi su un lungo periodo di tempo, e questa è una caratteristica particolare di questo tipo di tecnologia. È molto importante poter stimare non solo i costi d'investimento ma anche i costi di funzionamento sulla durata di vita della centrale e ben oltre: costi dello smantellamento delle centrali e degli impianti nucleari, costi della gestione dei combustibili irradiati e delle scorie radioattive.

Nel caso della Francia, uno studio realizzato nel 1999 per il Primo ministro[13] ha dimostrato che, sulla durata di vita del programma francese di centrali nucleari (fino al 2000), il costo d'investimento rappresenta il 25% del costo totale, il costo di operazione e di manutenzione rappresenta il 43% ed il costo del combustibile il 32% (20% per il combustibile prima del reattore e 12% per il combustibile dopo il reattore), con grandi incertezze sul costo reale del combustibile dopo il reattore.

3.2 I costi d’investimento

- La centrale nucleare stessa ed in particolare il reattore nucleare, in funzione della scelta di un’industrializzazione autonoma o dell'importazione della tecnologia.

- Le industrie del combustibile nucleare, con la stessa alternativa (arricchimento dell'uranio, fabbricazione dei combustibili).

- La gestione e lo stoccaggio dei combustibili irradiati e/o delle scorie provenienti dal ritrattamento. Necessità comunque di capacità di stoccaggio.

- Gli equipaggiamenti di Ricerca e Sviluppo.

- Un investimento spesso dimenticato: quello delle linee ad altissima tensione per il trasporto dell'elettricità in partenza dalle centrali nucleari di grandissima potenza (da 1000 a 1500 MWe per unità; in genere, una centrale comprende due unità su uno stesso sito).

Nel caso della scelta di uno sviluppo autonomo, gli investimenti sono molto elevati. Se la parte essenziale della tecnologia nucleare è importata, lo sviluppo dipende da una tecnologia e da prezzi stabiliti dal venditore, senza benefici per l'industria e l’occupazione locali.

3.3 I costi di funzionamento

- Combustibile nucleare (uranio naturale, uranio arricchito, elementi combustibili);

- Operazione[14] e manutenzione (sostituzione dei pezzi) della centrale nucleare;

- Gestione dei combustibili irradiati e delle scorie radioattive;

- Declassamento e smantellamento delle centrali nucleari e degli impianti del combustibile nucleare;

- Costi di funzionamento della Ricerca e Sviluppo;

- Valutazione e controllo della sicurezza nucleare delle centrali e degli impianti nucleari (un enorme lavoro tecnico ed amministrativo che ricade a carico dello Stato).

Se il costo di una centrale nucleare è noto quando questa viene costruita o acquistata, il costo del combustibile nucleare può variare in modo importante in funzione del prezzo dell'uranio durante i quaranta o cinquant’anni della vita tecnica della centrale. È certo che un rilancio del nucleare a livello mondiale porterebbe ad un aumento considerevole del costo dell'uranio poiché le sue risorse sono limitate. D’altra parte, il costo a media e lunga scadenza della gestione e dello stoccaggio delle scorie rimane poco noto, come poco noto è soprattutto il costo dello smantellamento delle centrali le cui stime, basate su alcune prime esperienze, continuano ad aumentare.

3.4 Non esistono « prezzi di mercato » per le centrali nucleari

Storicamente, nella maggior parte dei paesi che hanno sviluppato il nucleare, ciò è avvenuto nell’ambito di una politica dello Stato, molto spesso in collegamento con programmi militari che, d’altronde, hanno dettato la scelta del tipo di reattori e del combustibile. Una parte dei costi è stata presa a carico dallo Stato.

Più recentemente, a causa dello scarsissimo sviluppo della produzione di elettricità di origine nucleare nel mondo ed in particolare nei paesi dell'OCSE da una ventina d’anni, non esistono "prezzi di mercato" per le centrali nucleari che possano essere paragonati ai prezzi di mercato delle tecniche ampiamente sviluppate come le centrali a carbone, a gas, idrauliche ed anche eoliche.

La tabella 4 presenta l'aumento delle capacità installate di produzione di elettricità per le diverse filiere sul periodo 2003-2006.

Tabella 4: Aumento delle capacità installate delle centrali elettriche tra il 2003 ed il 2006.

Filiera

Gas

Carbone

Idraulica

Eolico

Nucleare

Biomassa

Petrolio

Totale

1000 MWe

203

182

71

34

10

8

-51

450

Parte

45%

40%

16%

7%

2%

2%

- 12%

100%

Fonte: Enerdata.

3.5 I costi d’investimento delle centrali EPR

Con un ordine collocato in Finlandia ed uno in Francia, l’EPR (European Pressurized Water Reactor), un reattore da 1600 MWe basato su un concetto francese e tedesco e venduto da AREVA, è il primo reattore la cui costruzione è stata avviata in Europa occidentale da diciassette anni (ventotto anni fuori dalla Francia) ed il primo del suo genere ad essere costruito nel mondo.

Da parte finlandese, la compagnia di elettricità TVO aveva annunciato, durante la fase di richiesta di autorizzazione, un costo di 2,5 miliardi di euro per questa nuova centrale (Olkiluoto 3) ed una durata di costruzione di quattro anni. Con la scelta dell’EPR, il prezzo (fisso) è salito a 3,2 miliardi di euro. A metà 2008, due anni e mezzo dopo l’inizio dei lavori, il totale dei costi d’investimento è stimato a 5 miliardi di euro e la durata di costruzione a sette anni.

Da parte francese, le prime stime fornite nel 2003 al governo dalla sua amministrazione erano di un costo dell’ordine di 2 miliardi di euro d’investimento e 28,4 euro a MWh[15]. D’altronde, si è cessato molto rapidamente di fornire queste stime « ufficiali » in nome del « segreto commerciale ». In modo più realistico, EdF prevedeva che il costo di produzione del suo nuovo reattore sarebbe stato di 43, poi di 46 euro 2004 a MWh, sulla base di un costo d’investimento di 3,4 miliardi di euro (stima di luglio 2008). Nel dicembre 2008, EdF ha rivisto le proprie stime ed ha annunciato un costo a MWh di 55 euro, sulla base di un costo d’investimento di 4 miliardi di euro.

Da parte sua, la compagnia tedesca E.ON stima un investimento da 5 a 6 miliardi di euro per un EPR[16].

In tal modo, la competitività del nucleare è sempre meno percettibile in confronto alle centrali a gas o a carbone. E ciò con la massima incertezza sui costi futuri di smantellamento, di gestione delle scorie e dell’uranio.

Si può infine stimare ad almeno 40 miliardi di euro in moneta costante, il costo d’investimento delle sole centrali nucleari (otto unità EPR) previste dal progetto attuale del governo italiano.

4. Conclusione

Il chiarimento apportato dall’analisi del programma nucleare francese, considerato come un modello da molti dei promotori del "nucleare in tutti i paesi", permette di sottoporre alcune riflessioni sul progetto presentato dal governo italiano di "rilancio del nucleare".

In termini di dipendenza petrolifera, l'Italia si trova alla stessa insegna della maggior parte dei grandi paesi europei. Il petrolio è la prima energia consumata e tale consumo si concentra sempre di più sui trasporti, che dipendono quasi esclusivamente dal petrolio. Il nucleare non apporta nulla a questa questione centrale. Sembra indispensabile ed urgente fare del controllo dell'energia nei trasporti il progetto prioritario della politica energetica. Lo sviluppo dei trasporti "dolci" e dei trasporti collettivi nelle agglomerazioni, quello del treno per i trasporti di viaggiatori, del treno e del cabotaggio marittimo per i trasporti di merci, il miglioramento delle condizioni di guida e di manutenzione degli autoveicoli, la regolamentazione riguardo alla velocità ed alle potenze, la messa sul mercato di veicoli ad elevate prestazioni, costituiscono un cantiere importante, portatore di nuove attività, di un gran numero di posti di lavoro ed un’opportunità da cogliere al volo da parte dell'industria italiana il cui spirito d'innovazione è particolarmente adatto ad una trasformazione di questo tipo.

La dipendenza dal gas, per quanto sia reale, non è assolutamente dello stesso ordine di quella dal petrolio. Le fonti di approvvigionamento sono varie, gli usi molto distribuiti e l'Italia ha un ruolo cardine da svolgere in questo campo poiché è nel cuore degli scambi mediterranei. La carta de gas è tanto più interessante da mettere in gioco in quanto può vantaggiosamente essere completata dalla messa a punto di tecniche efficaci di utilizzazione del gas, dallo sviluppo delle energie rinnovabili e dall’efficacia energetica in tutte le loro diversità:

- risparmio energetico (isolamento, doppie finestre) ed architettura bioclimatica nell’edilizia;

- risparmio di elettricità per le attrezzature e gli apparecchi elettrici;

- sviluppo del solare termico per il riscaldamento degli alloggi nuovi e per la produzione d'acqua calda per tutti gli usi;

- sviluppo della produzione di elettricità di origine rinnovabile ed in particolare l’eolico (in particolare off-shore) ed il fotovoltaico.

Anche qui, il tessuto italiano molto ricco di piccole e medie imprese ed il decentramento amministrativo che dà alle città, alle provincie ed alle regioni grandi poteri d'iniziativa e d’innovazione sono perfettamente adatti a questo tipo di sviluppo se è portato da una volontà politica a livello del governo.

Efficacia energetica in tutti i settori, politica di trasformazione del sistema di trasporto, utilizzazione razionale ed efficace del gas, sviluppo delle energie rinnovabili, ci sembrano dover essere le priorità della politica energetica italiana: è una strategia vincente di reciproco vantaggio, sul piano dell’economia e dell’occupazione, della sicurezza energetica, dell'ambiente e della cooperazione internazionale, in particolare in ambito mediterraneo. Il potenziale è notevole ed i tempi di redditività degli investimenti diventano più favorevoli a misura che i prezzi dell'energia aumentano.

Paragonato a questa strategia coerente, il rilancio del nucleare non sembra presentare un grande interesse. Mentre il nucleare si è sviluppato in un paese come la Francia nella seconda metà del ventesimo secolo con un sostegno permanente e considerevole dello Stato, si presenterebbe oggi in Italia in un’economia di mercato con costi molti difficili da prevedere a termine e certamente superiori a quelli annunciati dai suoi promotori.

L'effetto del progetto presentato dal governo sarebbe molto scarso sulla sicurezza energetica come pure sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra: il progetto nucleare italiano, così come lo conosciamo oggi, potrebbe offrire un contributo di appena il 4,5% al consumo di energia finale del paese, per un investimento che, solo per le centrali nucleari, è stimato oggi ad almeno 40 miliardi di euro.

D'altra parte, i vantaggi sulla riduzione delle emissioni de gas a effetto serra sarebbero relativamente marginali e lontani dal compensare i rischi e gli inquinamenti provocati da un programma nucleare, anche ridotto. Infine, e non è il problema minore, la scelta dei siti d’impianto delle future centrali nucleari porrebbe enormi problemi.

Per finire, la realizzazione del programma nucleare previsto dal governo richiederebbe tempi molto lunghi di avvio ed i primi risultati – se tutto andasse bene – si farebbero notare dopo un termine di almeno un decennio. Al contrario, un programma di efficacia energetica e di sviluppo delle energie rinnovabili può essere avviato molto rapidamente e dare risultati fin dai primi anni.

Il bilancio tra costo e vantaggi, sulla base dell'insieme dei criteri di giudizio, porta a nostro avviso a rinunciare al progetto nucleare in Italia.



[2] Per i dieci paesi in cui la produzione di elettricità di origine nucleare rappresenta l’85% della produzione mondiale, la parte del nucleare nella produzione di elettricità nel 2005 era la seguente: Francia (79%), Ucraina (49%), Svezia (40%), Corea del Sud (38%), Giappone (28%), Germania (26%), Regno Unito (20%), Stati Uniti (19%), Russia (16%), Canada (15%) – Fonte: AIE 2007.

[3] www.enerdata.fr

[4] Ciò corrisponde alla produzione di circa 12 000 MW di potenza nucleare installata funzionante in base.

[5] Contrariamente al consumo di petrolio che è fortemente concentrato sui trasporti, il consumo di gas naturale è distribuito in Italia tra il 40% per la produzione di elettricità, il 34% nel residenziale e nel terziario ed il 23% nell’industria.

[6] Rispettivamente il 34% del consumo mondiale di energia primaria (12 miliardi di Tep) per il petrolio ed il 21% per il gas naturale.

[7] La "tonnellata CO2 equivalente" o teq CO2 è un’unità convenzionale comune per le emissioni dei diversi gas a effetto serra.

[8] L'importanza dello scarto con la Germania è dovuta alla forte proporzione di produzione di elettricità a partire dal carbone in tale paese.

[9] Il ritrattamento dei combustibili irradiati è praticato anche nel Regno Unito. La tecnica del ritrattamento è stata sviluppata inizialmente per la produzione di plutonio a scopi militari.

[10] I reattori PWR sono stati sviluppati negli anni ‘50 per attrezzare i sottomarini nucleari.

[11] È così nei reattori PWR. Tutti i reattori delle centrali nucleari francesi sono di questo tipo.

[12] I fiumi europei hanno flussi relativamente deboli (200 m3 al secondo per la Senna a Parigi).

[13] Studio richiesto da Lionel Jospin e realizzato da J.-M. Charpin, Direttore del Commissariato per il Piano, B. Dessus, Direttore al CNRS, R. Pellat, Alto Commissario per l'Energia Atomica, su "La valutazione economica della filiera nucleare".

[14] L'organico del personale di condotta (500 agenti per un’unità di 1500 MWe) è molto superiore a quello di una centrale classica.

[15] 1 MWh (megawatt ora) vale 1000 kWh (kilowatt ora).

[16] Giornale « Les Echos » del 3 dicembre 2008.

Nessun commento: