domenica 9 agosto 2009

Hiroshima brucia ancora

Hiroshima brucia ancora

Roberto Fieschi * e Francesco Lenci **

il manifesto del 06/08/2009

Alle 7,30 del 6 agosto 1945 gli Usa sganciarono la prima di due bombe atomiche che distrussero Hiroshima e Nagasaki. Iniziava così, con l'equilibrio del terrore, la guerra fredda

All'isola di Tinian, Little Boy, la bomba all'uranio era pronta il 31 luglio. Gli equipaggi dei B-29 avevano già compiuto varie esercitazioni e si attendevano solo le previsioni meteorologiche. Alle 7.30 del giorno 6 agosto l'aereo comandato da Tibbets, giunto in prossimità di Hiroshima prese quota per ridurre l'impatto con l'onda d'urto. Little Boy esplose a un'altezza di seicento metri sopra la città poco dopo le 8 (ora di Hiroshima). La potenza della bomba di Hiroshima, che era equivalente a quella di circa 13.000 tonnellate di tritolo (kilotoni), uccise circa 68.000 persone e ne ferì 76.000. Fat Man, la bomba al plutonio, avrebbe dovuto essere pronta per l'11, ma i lavori furono accelerati in modo da essere pronti per il 9, giorno in cui si prevedeva tempo buono. L'obiettivo prescelto, Kokura, era poco visibile a causa di nuvole basse, quindi il B-29 proseguì per Nagasaki, dove la bomba fu sganciata ed esplose, con una potenza di ventidue kilotoni, alle 11 del mattino. Uccise circa 38.000 persone e ne ferì 21.000. Sul perché di questo anticipo, che comportò fasi di frenetica attività per la messa a punto della bomba, pesano ancora oggi molti interrogativi, e una delle ipotesi più agghiaccianti è che, se il Giappone si fosse arreso, la bomba non avrebbe potuto essere sganciata. Il 10 agosto il Giappone offrì di arrendersi alla condizione che l'autorità dell'Imperatore non fosse messa in discussione. Il 13 un grande raid aereo rovesciò sul Giappone cinquemila tonnellate di bombe esplosive e incendiarie. Nella notte fra il 13 e il 14 l'Imperatore accettò le condizioni di resa e lo comunicò al suo popolo il 15 agosto. Dai documenti recenti risulta che il Giappone, probabilmente, si sarebbe arreso anche se le bombe atomiche non fossero state impiegate. Certamente fu del tutto inutile la seconda. Nessuna arma nucleare fu più impiegata in seguito. Forse la visione delle enormi distruzioni delle città giapponesi convinse i grandi della terra che una guerra nucleare non avrebbe mai potuto essere combattuta e che da essa non sarebbe emerso alcun vincitore; ma la minaccia di usarle fu più volte avanzata come potente forma di pressione e di intimidazione. Dopo la fine della guerra William Pollard, che aveva collaborato al progetto Manhattan e che in seguito era diventato vescovo, dichiarò: «Hiroshima sta diventando un mito profondamente immerso nella psiche di tutti i popoli della Terra [...]. Nella dimensione sacra i fatti storici gradualmente assumono la stabilità del mito, mentre nella dimensione profana essi perdono gradualmente la loro presa sulla gente e diventano semplicemente materia per gli storici. Questo è il destino di Hiroshima: trasformarsi in un mito universale profondamente affondato nel tempo sacro di tutti i popoli della Terra; il simbolo della loro convinzione che non si deve permettere una guerra nucleare». Nel 1950 Blackett scrisse lucidamente: «Dobbiamo dunque concluderne che il lancio delle bombe atomiche, piuttosto che l'ultima azione militare della seconda guerra mondiale, è stato in realtà la prima grande operazione della guerra fredda diplomatica contro la Russia (..). [Gli scienziati atomici] compresero che il loro lavoro era stato sfruttato per architettare una vittoria diplomatica, in previsione di una politica di potenza nel mondo nell'immediato dopoguerra, e non per risparmiare vite americane; questa rivelazione risultò per molti troppo sgradevole per venir coscientemente ammessa». Lo scopo per il quale il Progetto Manhattan era nato, dunque, non sussisteva più, ma nessuno degli scienziati coinvolti nel progetto lo abbandonò, con una sola eccezione: Joseph Rotblat, un giovane e brillante fisico ebreo d'origine polacca, che era andato a Los Alamos dall'Inghilterra, e che la sera della vigilia di Natale del 1944 partì da Los Alamos per tornare in Inghilterra. Qui, per il resto della vita, si dedicò alla causa del disarmo (fu tra i firmatari del Manifesto Russell-Einstein del 1955 e tra i fondatori del movimento Pugwash nel 1957) ed alle applicazioni biologiche e mediche della fisica nucleare e a problemi di radiobiologia. Nel 1995 il suo straordinario valore ed impegno gli valse l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace Come molti scienziati avevano previsto, la bomba segnò solo l'inizio di una corsa sempre più folle al riarmo; il monopolio nucleare che i militari e i politici americani, sordi alle ammonizioni di molti scienziati, credevano di poter conservare per parecchi anni, decenni forse, pur in mancanza di un accordo internazionale, fu perso nel 1949. Gli impianti per la separazione degli isotopi e per la produzione del plutonio continuarono a marciare a pieno ritmo, bombe mille volte più potenti di quelle sganciate sul Giappone furono costruite, centinaia di esperimenti furono compiuti per controllarne il funzionamento. Nei paesi occidentali questo processo fu validamente sostenuto dal complesso militare-industriale, la cui nefasta azione era stata denunciata da Dwight Eisenhower già nel 1961. John Kenneth Galbraith osservò, nel 1967: «Per sua natura una competizione imperniata sulla tecnologia non si conclude mai. In una competizione tecnologica l'obsolescenza è un sostituto quasi perfetto del logorio causato da una guerra combattuta. Nell'Unione sovietica il riarmo missilistico e nucleare fu sostenuto dall'ossessione dei gruppi dirigenti di raggiungere la parità, o la superiorità rispetto agli Usa, dissanguando le più limitate risorse del paese». Come è noto, oggi, anche in seguito alla dissoluzione dell'Unione sovietica, la corsa agli armamenti nucleari si è arrestata, anzi si è invertita. Oggi, secondo il settimanale Time , gli arsenali nucleari mondiali sono così costituiti: Stati uniti 9400, Russia 13000, Regno unito 185, Francia 300,Cina 240, Pakistan 80, India 60, Israele 80, Nord Corea meno di 10 (??). Come previsto e da tutti auspicato, il Summit tra il presidente degli Stati uniti Barack Obama e il presidente russo Medvedev (oltre che con il primo ministro Putin) del 6 e 7 luglio di quest'anno a Mosca, si è concluso con la firma di un fondamentale protocollo d'intesa al quale dovranno attenersi i negoziatori del nuovo Trattato bilaterale sul disarmo nucleare che sostituirà entro il 2009 lo Start (Strategic Arms Reduction Talks, in scadenza alla fine del 2009). Sulla base di questo documento, Stati uniti e Russia dovrebbero ridurre il numero delle loro testate strategiche a 1500-1675 e quello dei loro missili strategici a 500-1100, una ulteriore significativa diminuzione rispetto a quanto stabilito dallo Stat e dal Sort, Strategic Offensive Reductions Talks (2200 testate e 1600 sistemi di lancio). Pieno l'accordo anche sull'urgenza di rafforzare il regime di non proliferazione orizzontale delle armi nucleari, richiamando l'importanza dell'impegno da parte ti tutti gli stati firmatari del trattato per una conclusione positiva della Conferenza di Rassegna del Tnp (Trattato di Non Proliferazione) del 2010. Rimangono, ovviamente diversi nodi da sciogliere nel rapporto tra Usa e Federazione russa: la Georgia, l'Iran e, di particolare importanza, il progetto dell'Amministrazione Bush di installare dei sistemi di difesa antimissile in Europa, ma finalmente si può cominciare a sperare di avere, un giorno, un mondo libero da armi nucleari.

*Dipartimento di Fisica Università di Parma, Consiglio Scientifico Unione Scienziati Per Il Disarmo (Uspid)

**Cnr Istituto di BioFisica Pisa, Consiglio Scientifico Uspid

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