giovedì 26 febbraio 2009

Patto scellerato sul nucleare

Patto scellerato sul nucleare

Carlo Lania

Il Manifesto del 25/02/2009

Accordo Italia-Francia per la costruzione di quattro centrali nel nostro Paese. Ma manca la legge che autorizza l'intesa. Berlusconi attacca la sinistra

La via italiana al nucleare parla francese. A 22 anni dal referendum che mise al bando le centrali nucleari, il governo Berlusconi si prepara a reintrodurre l'atomo nel nostro Paese. E lo fa con un accordo siglato ieri a Roma tra il premier e il presidente francese Nicolas Sarkozy che prevede la partecipazione italiane nella costruzione di una centrale Oltralpe, ma anche l'avvio delle procedure per realizzare nel nostro Paese - grazie alla tecnologia francese - quattro impianti atomici di terza generazione entro il 2020.
Accordo che, almeno sulla carta, non dovrebbe valere molto, visto che prima di ripartire con l'atomo il governo avrebbe dovuto attendere almeno l'approvazione da parte del Senato del disegno di legge sullo sviluppo che, all'articolo 14, affida all'esecutivo le deleghe in materia di nucleare. Berlusconi invece ha fretta di tornare al passato, come ha spiegato chiaramente nella conferenza stampa tenuta ieri insieme al presidente francese: «Dobbiamo svegliarci dal nostro sonno, perché il futuro è nell'energia rinnovabile è nel nucleare», ha detto prima di tornare ad attaccare la sinistra e quanti, nel 1987, rifiutarono di convivere con una centrale: «Eravamo protagonisti del nucleare negli anni '70 - ha polemizzato Berlusconi - , poi per il fanatismo ideologico di una parte politica abbiamo interrotto la costruzione di due centrali che erano vicine ad essere completate».
Adesso invece la corsa può riprendere, anche se non è chiaro dove porterà. Il documento siglato ieri avvia una collaborazione tra l'Enel e il gruppo francese Edf per la ricerca, la produzione di energia nucleare e lo stoccaggio delle scorie e prevede anche la costruzione di quattro centrali con la tecnologia dei reattori di classe Epr. In cambio l'Enel potrebbe entrare con una quota del 12,5% nel progetto per la costruzione di un secondo reattore nucleare a Penly, in Normandia.
Nonostante l'entusiamo del premier, la strada in realtà è ancora tutta in salita. L'iter da compiere perché l'Italia possa davvero ripartire con il nucleare è infatti ancora lungo e passa prima di tutto attraverso l'approvazione del disegno di legge sullo sviluppo. Il testo viene votato oggi dalla commissione Industria del Senato e poi passerà all'esame dell'aula. Ma solo dopo il via libera definitivo del parlamento, potranno cominciare i contatti con gli Enti locali alla ricerca dei quattro siti ritenuti idonei per le centrali.
Su questo punto vale però la pena sottolineare almeno due cose. La prima è che già nello scorso mese di giugno il ministro Scajola annunciò la creazione di un «comitato di saggi» che avrebbe dovuto avviare il confronto con le popolazioni e gli enti locali. Sono passati otto mesi e il comitato non ha mai visto la luce. La seconda è che le regioni hanno già messo le mani avanti manifestando la propria opposizione al nucleare. In n documento inviato al governo il 22 ottobre scorso, infatti, gli assessori all'Ambiente di tutta Italia ribadiscono come «incompatibile» l'opzione nucleare e invitano alla ricerca di fonti rinnovabili di energia. Solo un po' più aperto un secondo documento scritto questa volta dagli assessori regioni allo Sviluppo economico e in cui gli amministratori chiedono di essere interpellati prima di ogni decisione.
Pareri importanti che però il governo, forse prevedendone l'opposizione, si prepara a ignorare. Sempre nel ddl sullo sviluppo, infatti, l'articolo 14 al punto f prevede la possibilità per il governo di decidere d'autorità in caso di mancato accordo con gli enti locali.
Entro l'inizio dell'estate, infine, e per la precisione non oltre il 30 giugno, il governo dovrà varare un decreto con i criteri morfologici e geologici che dovranno avere i nuovi siti.
Resta da capire la cosa più importante, vale a dire dove sorgeranno le nuove centrali. Un'ipotesi potrebbe essere quella di riutilizzare i quattro impianti dismessi (Trino Vercellese, Caorso, Latina e Sessa Aurunca sul Garigliano). Il piano del governo prevede che che due centrali siano costruite al Nord, una al Centro e una al Sud. Siccome gli impianti di terza generazione hanno bisogno di molta acqua per il raffreddamento, c'è chi ipotizza che per quanto riguarda il nord le centrali potrebbero sorgere lungo il Po, ma se si considera la secca che ha colpito due anni fa il primo fiume italiano, l'ipotesi si perde di credibilità. Escluse anche le località di mare per la salinità dell'acqua, resta solo la possibilità di aprire i cantieri nelle prossimità dei laghi. Popolazioni permettendo, è ovvio.

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