giovedì 26 febbraio 2009

Chi lo conosce lo evita. Tutti contro il nucleare

Chi lo conosce lo evita. Tutti contro il nucleare

Checchino Antonini

Liberazione del 26/02/2009

C'è chi è scettico (Alberto Fiorillo di Legambiente nella sua Rassegna stanca quotidiana) che davvero entro il 2020 spunteranno centrali atomiche. C'è chi fa il gradasso perché ha gli amici forzuti (il repubblicano Nucara) e dice che le polemiche non lo preoccupano. Ronchi, ministro di An alle politiche comunitarie, ne vorrebbe una anche sotto casa sua. Ecco perché è contrario alle moschee (è andato a Genova a soffiare sul fuoco), perché tolgono spazio vitale al nucleare, mica perché è islamofobo. Lo spirito della scoria. Se ci fosse un referendum, dice sicuro-sicuro, stavolta gli ambientalisti canaglia non la spunterebbero. Si lascia convincere, lo statista, da una stampa addomesticata su cui non trova spazio altro che non sia di entusiasta accondiscendenza. Articolo 21 lancia l'allarme per l'ennesimo programma a reti unificate. Intanto i Verdi sono pronti a raccogliere firme per un nuovo referendum e il forum ambientalista lancia, con Ciro Pesacane, una campagna nazionale con petizione on line.
La mappa sui siti papabili fa tornare alla mente le grandi battaglie ecologiste degli anni 80. Montalto di Castro, nel Lazio, Caorso in Emilia, Trino Vercellese, Latina. Poi ci sono Viadana e San Benedetto Po, in Lombardia, Avetrana e nardò, in Puglia, new entry nella terrificante lista delle grandi opere. Servono luoghi, per i piani di Scajola e dei suoi radioattivi amici francesi, non sismici, vicini al mare per il raffreddamento, lontano da impianti industriali e da città. Ma dalle Regioni arrivano fumate nere. L'Italia è una striscia allungata e densamente popolata, ricorda Vendola, governatore della Puglia, che sa quanto sia costosa e ingovernabile e neppure redditizia la svolta nucleare. La Puglia, per l'atomo, sarà «confine non superabile». Più contorta la posizione del suo omologo laziale: «Nei rapporti con il governo nazionale abbiamo bisogno di interventi oggi, di non disperdere le risorse in progetti futuribili e che arriveranno a tempo scaduto, di rincorsa a un nucleare, magari con tecnologie obsolete e magari collocate in aree del nostro territorio che già soffrono di un'elevatissima concentrazione di strutture di produzione energetica». Secondo Marrazzo, «l'insufficienza delle politiche nazionali non può e non deve costituire per noi nè un pretesto nè un alibi. Dobbiamo comunque fare la nostra parte, così come, ad esempio, abbiamo già fatto per i lavoratori dell'Alitalia». Voleva dire no? Nel dubbio il capogruppo Prc, Ivano Peduzzi, chiede che il consiglio regionale dica un no più chiaro: «Con i soldi degli italiani, e mettendo a rischio la sicurezza del Paese, si dà il via libera a una tecnologia di terza generazione che in Francia ha prodotto vari incidenti e messo in crisi la costruzione della nuova centrale di Flamanville. Inoltre, viene previsto l'utilizzo del surplus di plutonio prodotto in Francia dall'industria bellica. In sostanza, con l'accordo di ieri sono stati annunciati 30 miliardi di euro per produrre poco più del 5% dell'energia consumata in Italia (non il 25% come dichiarato da Palazzo Chigi) togliendo risorse alla ricerca su nuove fonti e energie rinnovabili e impedendo lo sviluppo di impianti a basso impatto ambientale e a grande richiesta occupazionale».
Contraria per ora l'Italia dei valori ma forse non ha ancora sentito il più realista Di Pietro, ultrà di grandi opere, grandi cantieri, grandi appalti, grandi disastri 8suo malgrado, si capisce). Infatti parlano (fino al momento in cui Liberazione va in macchina) solo i peones del suo partito. Invece sono preoccupatissimi in provincia di Viterbo, sia i livelli istituzionali, che quelli di movimento: sull'area incombono centrali a carbone che già mettono a repentaglio la salute pubblica. Giura il partito del tumore che quel carbone è pulito, che gli ambientalisti sanno solo dire no.
«Abbiamo già dato», dice dalla Sicilia, il segretario regionale di Rifondazione riferendosi ai costi della devastazione ambientale. Melilli, Priolo, Gela stanno lì a testimoniarlo ma Lombardo s'è detto disponibile a offrire (suo malgrado, si capisce) a Cosa nostra un posto nella cordata italofrancese. Dalla Provincia di Ragusa arriva il no secco del presidente, Franco Antoci e del sindaco di Vittoria che sospetta di essere nella lista dei 34 fortunati paesi designati. E, risalendo al nord, anche Bresso Mercedes, che pure le grandi opere non le dispiacciono (chiedere in Val Susa) mette le mani avanti assieme al suo assessore all'Energia. E poi, il Piemonte è anche la regione che più ha investito sulle rinnovabili (300 milioni di euro). Di scheletri nell'armadio non c'è scarsità: a poca distanza da Trino, c'è Saluggia col suo 75% delle scorie liquide nazionali sepolti in un'area alluvionale della Dora Baltea e sopra una falda che disseta 300mila piemontesi. Sempre più a nord: c'è il no dell'Alto Adige e quello sindacale delle Rdb perché resuscitare il nucleare sarebbe «come puntare sulle carrozze a cavalli dopo l'invenzione del vapore».
«Non è vero che sarà l'energia del futuro - dice Marco Bersani di Attac che ha appena pubblicato per Alegre "Nucleare, se lo conosci lo eviti" - che è competitivo e che serva contro il gas serra. Sono veri gli usi militari, i ripetuti incidenti e le scorie che consegneremo alle prossime generazioni». Serve un nuovo movimento. Come vent'anni fa.

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