martedì 16 giugno 2009

La fatica di resuscitare il nucleare italiano

La fatica di resuscitare il nucleare italiano

La Repubblica - Affari e Finanza del 15 giugno 2009, pag. 56

di Eugenio Occorsio

Della "ripartenza" del programma nucleare in Italia, ad oltre vent’anni dal referendum che bloccò qualsiasi iniziativa, si parla ormai da più di un anno, praticamente dal giorno dopo l’insediamento dei governo Berlusconi. Un passo avanti e l’altro indietro, in tutti questi mesi non si è ancora compiuto nessun passo formale né tantomeno appaltata alcuna centrale, e neanche ha avuto seguito l’accordo siglato con i francesi quest’inverno, ma si è arrivati almeno a capire le intenzioni del ministro dello Sviluppo, Claudio Scajola, responsabile dell’operazione. Allora: dovrebbe essere, nelle intenzioni del governo e per arrivare al 2025% di fabbisogno risolto con questa fonte, ripristinata l’originaria vocazione nucleare di Montalto di Castro nell’alto Lazio, di Caorso vicino Piacenza e probabilmente di Trino Vercellese. In pratica delle antiche centrali nucleari italiane poi dismesse sarebbero escluse Latina e Garigliano perché intorno ad essi sono nate case, fabbriche, coltivazioni. Ci sono poi altri 34 comuni di cui il ministro Scajola giura di avere in tasca l’adesione, di cui uno in Sicilia e uno in Sardegna. Anche per lo stoccaggio delle scorie il posto ci sarebbe, fra i calanchi della provincia di Matera. Insomma, faticosamente il governo va avanti con le sue intenzioni, e inevitabilmente salgono di tono anche le polemiche. «Avete pensato al problema delle forniture di uranio?», attacca Carlo Rubbia, che spiega: «Ce n’ è pochissimo in tutto il mondo, e il prezzo è soggetto a speculazioni come e peggio del petrolio». Se la dinamica sarà la stessa che l’uranio ha seguito dal 2000 ad oggi, aumentando di venti volte da 7 a 130 dollari per libbra, ha spiegato il fisico premio Nobel, potrebbe arrivare a 500, e il costo dell’elettricità nucleare schizzerebbe da 40 a 65 euro per Megawatt, un livello insostenibile. Si aggiunge il problema della disponibilità: «Le riserve conosciute valgono non più di una trentina d’anni, per due terzi il mercato dipende dalle forniture militari, e il più grande impianto di estrazione, quello di CigarLake in Canada, tarda ad entrare in esercizio». Riprende fiato anche la storica opposizione dei radicali sul tema della sicurezza: «E’vero che la tecnologia si è evoluta, ma non vogliamo che all’ideologia dell’antinucleare si sostituisca l’entusiasmo fanatico del nucleare che porta ad uguali delusioni», dice Emma Bonino. «In tutti questi anni la politica si è disinteressata all’energia. I recenti incidenti in Svezia e Francia, dove hanno dovuto chiudere per diversi mesi la centrale di Tricastin per la fuoriuscita di acqua radioattiva, ci dicono che i problemi di sicurezza sono tutt’altro che risolti». Non ci sono solo i problemi di sicurezza. Manca anche un quadro preciso dei costi e della loro copertura. In Finlandia, dove è in costruzione una centrale nucleare, un’indefinitezza del genere la stanno pagando cara: «Sono in ritardo di due anni sui tempi previsti e del 50% sul budget», dice la Bonino. «Da noi, il governo ha deciso prima di indicare i siti e poi di fare la conferenza programmatica: non sarebbe più logico invertire i tempi?» La partita dei costi è controversa. L’Enel sostiene che servono cinque centrali al costo di 3,54 miliardi di euro l’una, quindi una ventina di miliardi, e si dice in grado di autofinanziare l’investimento. Per i tempi, si parla di 718 anni (forse qualcosa di meno stando ad alcune dichiarazioni dell’Ansaldo che costruisce centrali in tutto il mondo) dopodichè è l’unica nota positiva - grazie ai miglioramenti tecnologici la durata di vita di una centrale si sta allungando oltre i 30 anni. Ma come si vede il cammino è lungo e incerto.

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