Il risiko delle nomine attorno all'atomo
Affari & Finanza (La Repubblica) del 10 maggio 2010
Massimo Minella
Il primo tassello è andato a posto. Ma ne restano altri cinque per completare il mosaico del nucleare pubblico italiano. Perché il ritorno italiano all’atomo è ancora tutto da discutere, al di là delle dichiarate volontà del governo Berlusconi, ma le poltrone, quelle, sono già pronte. E sono tutte pesanti e strategiche per chi vuole governare la complessa partita energetica, anche dopo l’uscita di scena del ministro allo Sviluppo Economico Claudio Scajola, grande sostenitore del ritorno tricolore al business nucleare. In gioco, infatti, ci sono i vertici dell’Authority per l’Energia, in scadenza a fine anno, ma anche quelli dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare, ancora da costituire ma già contesa per la sede e per la politica
che ne rivendica la leadership.
E poi restano sempre aperte le grande partite dell’Enea e della Sogin, commissariate dallo scorso anno, per chiudere con la Siet, controllata Enea e anch’essa con il consiglio in scadenza. Ma andiamo per ordine, perché qualcosa si è già spostato sullo scacchiere pubblico. La prima mossa, infatti, è stata fatta nei giorni con il rinnovo dell’intero consiglio di amministrazione della "Nucleco", società che fa capo a Sogin (per il 60%) e all’Enea (per il restante 40%) specializzata nella gestione dei rifiuti radioattivi. Una decina di giorni fa, il consiglio in scadenza, guidato dal presidente Francesco Troiani e dall’amministratore delegato Lamberto D’Andrea, si era presentato all’assemblea dei soci, consegnando un bilancio inutile per 1,3 milioni di euro.
Gli azionisti avevano ringraziato, ben contenti della cedola, ma avevano evitato di fornire indicazioni sul nuovo consiglio. Tutto faceva pensare a una proroga, in attesa delle decisioni. E le dimissioni di Scajola dal dicastero che sovrintende alla nomina degli amministratori (il Tesoro ha le azioni, ma è lo Sviluppo Economico il referente operativo di queste società) non faceva che corroborare questa tesi. E invece, a sorpresa, giovedì mattina i rappresentanti in assemblea di Sogin ed Enea hanno presentato la lista dei consiglieri: tutti nuovi, tranne uno, Pietro Canepa, docente di Chimica all’Università di Genova, ex sindaco forzista del piccolo comune di Bogliasco, nella Riviera di Levante, fedelissimo di Claudio Scajola, promosso da consigliere a presidente. L’amministratore delegato, invece, è un uomo di provata fede leghista, Paolo Mancioppi. Nel consiglio ha trovato spazio anche Stanislao Chimenti, avvocato, titolare di uno studio insieme al parlamentare pidiellino Donato Bruno, che già difese Stefano Ricucci, nella vicenda Magiste, e Mediaset nella causa civile che il gruppo sostenne contro la Rai per la trasmissione Satyricon. Un consiglio blindato politicamente, insomma, per la guida di una società di medie dimensioni (ricavi per 17 milioni di euro, 164 dipendenti), ma considerata uno snodo centrale per il rientro dell’Italia nel nucleare, anche per il suo patrimonio professionale e perla sua capacità di competere nel difficile mercato del’ decommissioning" italiano.
Si tratta adesso di sistemare le altre caselle, a cominciare dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas. E’ qui che il confronto è più serrato e che si tenterà una mediazione politica fra maggioranza e opposizione. L’Authority, al momento, è retta dalla coppia Alessandro Ortis (presidente) Tullio Fanelli (consigliere), con tre posti vacanti, proprio per l’incapacità di trovare una mediazione su come completare un consiglio che dev’essere votato dalle commissioni parlamentari competenti con una maggioranza dei due terzi.
Tradotto: visto che la scadenza naturale del consiglio è a fine anno, senza l’accordo fra centrodestra e Pd non si combina nulla. Nelle mani del centrosinistra c’è quindi una carta non certo di poco conto, che si può far valere per arrivare a soluzioni condivise ed estese, a questo punto, anche alle altre società del nucleare pubblico italiano. Nella partita entrano così le due realtà commissariate, Sogin ed Enea, le controllate più piccole (Siete Fn) i cui consigli scadono a fine mese con l’approvazione del bilancio 2009, e l’Agenzia per la Sicurezza Nucleare. Proprio quest’ultima giocherà un ruolo da protagonista nella ripartenza (annunciata) del nucleare nostrano.
Da mesi, ormai, slitta l’annuncio del governo sulla sede dell’agenzia e sulla composizione del vertice che sarà formato da un presidente più quattro consiglieri e un direttore generale. L’indicazione dev’essere condivisa fra i ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, ma l’uscita di scena di Scajola rischia di allungare ancora i tempi delle decisioni. Oltretutto, la Liguria, con Genova sede di realtà come Ansaldo Energia e Ansaldo Nucleare, coltivava legittime ambizioni per diventare sede dell’Agenzia, forte anche del sostegno promesso da Scajola, in alternativa a Milano e a Venezia (sostenuta in campagna elettorale dal ministro Renato Brunetta).
Per quanto riguarda la presidenza, invece, proprio nella logica di una scelta condivisa, nelle scorse settimane era circolato con insistenza il nome del professor Maurizio Cumo, un luminare della materia, già nominato due volte in passato dai governi di centrosinistra alla presidenza della Sogin. Ma proprio su quest’ultima società la politica si trova a fare i conti con una situazione di quasi totale empasse. Fra il commissario Francesco Mazzuca ed il suo vice Giuseppe Nucci, infatti, non parrebbe esserci grande sintonia e la questione sarebbe già al vaglio del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta.
Altrettanto complessa la situazione in casa Enea, anch’essa commissariata e affidata a Giovanni Lelli, ex direttore generale, considerato anch’esso vicino all’ex ministro Scajola.
Chiudono la partita due altre aziende, piccole ma molto interessanti dal punto di vista tecnologico: la Siet e la Fn. La prima è una società di Piacenza che ha l’Enea come azionista di riferimento (ma nel capitale ci sono anche Enel, Ansaldo Energia, Politecnico di Milano e fallimento Belleli Holding), che ha in mano lo sviluppo di un vero e proprio "gioiellino" tecnologico, il reattore Iris, di nuova generazione e di piccola taglia, invidiato da tutti, ma per il quale, per uno dei tanti paradossi italiani, non si riescono a trovare i fondi per completare le ricerche.
La seconda è la Fn, ex Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo, ora riconvertita ad altre tecnologie energetiche.