Nucleare: ciò che stiamo decidendo è adeguato alle grandi strategie e ai livelli della ricerca internazionale o è già un sistema di retroguardia?
Corriere adriatico del 2 marzo 2009, pag. 1
Fulvio Cammarano
Sulla questione del “ritorno” al tema delle centrali nucleari, come soluzione al fabbisogno energetico del Paese, si possono fare mille considerazioni di merito, ma sarebbe prima opportuno farne una, preliminare, di metodo. Come ci apprestiamo ad affrontare un simile decisivo argomento? Come si formerà, a ventidue anni dalla consultazione referendaria, che disse “no” al nucleare in Italia con oltre l’80% dei favorevoli, una nuova opinione pubblica sul tema? All’epoca la scelta venne influenzata emotivamente dal clima di paura sorto dopo l’incidente di Chernobil, a fronte di un’informazione carente e di conflitti tra grandi interessi economici di cui i cittadini non ebbero alcun sentore. Oggi si rischia, sia pur in senso opposto, di scegliere secondo gli stessi parametri: scarsa informazione, pressione emotiva (per le costanti difficoltà nell’approvvigionamento del gas russo) e affari colossali su cui sarebbe opportuno saperne di più.
E come allora, “non si fanno prigionieri”: non c’è spazio per il dubbio, come conferma il ministro per le attività produttive Scajola che in un’intervista ha definito “sciagurato” il referendum del 1987 confermando però indirettamente, con l’elogio alla sicurezza delle attuali centrali di nuova generazione, che quelle di allora non erano poi così sicure. Sappiamo che il “discorso” politico, in generale, procede per spot, manifestando solo grandi certezze che non di rado si trasformano in triste sicumera. Ci sono però questioni su cui anche le esigenze della retorica politica dovrebbero fare un passo indietro. Una di queste riguarda il modo di far fronte al problema dell’approvvigionamento energetico. Ecco dunque perché, prima ancora del merito, è importante accordarci sul metodo per orientarci in una realtà, quella dell’energia nucleare, dove chi cerca di semplificare e parlare per slogan apocalittici, in un senso o nell’altro, sta già disinformando. Sarebbe invece necessaria una seria campagna d’informazione a partire dai programmi Tv. Se la dirigenza televisiva è riuscita, come sembra, nel difficile compito di rianimare Sanremo, dovrebbe, senza difficoltà, essere in grado di gestire una efficace informazione su un tema appassionante e drammaticamente importante per tutti noi come quello dell’energia. Come cittadini vorremmo sapere di più sulle scelte di politica energetica, sulla lotta politica che le determina, sui centri di potere che stanno dietro affari miliardari. Vorremmo sapere i pro e i contro del metodo in auge, quello della fissione nucleare, ma anche come funzionano gli altri sistemi, a cominciare da quello della fusione nucleare, e sulle ragioni per cui non se ne parla più. Si tratta di riflessioni importanti perché la scelta che stiamo per compiere, oltre a incidere sulla sicurezza dell’ambiente, determinerà una linea di politica economica e un modello di sviluppo che influenzeranno per decenni la nostra società. Ciò che stiamo decidendo in nome del nucleare è adeguato alle grandi strategie e ai livelli della ricerca internazionale o è già un sistema di retroguardia? E soprattutto, a che punto siamo con la sicurezza che in ambito nucleare, ormai lo sanno tutti, non significa solo produzione senza incidenti, ma anche smaltimento delle scorie radioattive? Insomma i temi sarebbero tanti e tanti sarebbero anche i competenti in materia. Perché allora non si costruisce una vera politica dell’informazione, una serie televisiva sul nucleare, sul format “Report”-“Quark”, tanto per intenderci? Perché non far intervenire scienziati che sanno di cosa parlano? Nessuno di noi, ovviamente, crede nella “neutralità” della scienza, tuttavia dati fattuali presentati da competenti, per quanto controvertibili, rappresentano un buon punto di partenza per farsi un’opinione.
Quello che andrebbe invece evitato è il dibattito tra politici travestiti da tecnici sul modello di quanto accaduto a “Porta a porta” poche sere fa, in cui il confronto tra il ministro Scajola e l’esponente di Rifondazione Ferrero si è risolto in una sorta di sagra paesana delle opinioni “un tanto al chilo”. Eccone un passaggio emblematico. Ferrero: “…la centrale nucleare dura una ventina d’anni”; Scajola: “di più”; F.: “no, no stiamo a una ventina d’anni di attività”; S.: “Ma no”; F.: “mi spiace, tutte le statistiche lo dimostrano”; S.: “Non sarebbero economiche”; F.: “Infatti, non sono economiche”; S.: “Lo dice solo lei”; F.: “Solo l’intervento dello stato…”; S.: “Ma se tutti i paesi del mondo le stanno costruendo ci sarà un motivo e non saranno tutti fessi”; F.: “Non è vero che tutti i paesi del mondo le stanno costruendo”; S.: “ci sono 45 centrali in costruzione nel mondo in questo momento”; F.: “C’è il problema di come smaltire le centrali dopo 20-25 anni che sono anch’esse radioattive”. A questo punto, Vespa passa la parola al presidente dell’Autorità per l’energia che cambia discorso. Ecco fatto: l’informazione è servita. Dormite pure tranquilli.
Corriere adriatico del 2 marzo 2009, pag. 1
Fulvio Cammarano
Sulla questione del “ritorno” al tema delle centrali nucleari, come soluzione al fabbisogno energetico del Paese, si possono fare mille considerazioni di merito, ma sarebbe prima opportuno farne una, preliminare, di metodo. Come ci apprestiamo ad affrontare un simile decisivo argomento? Come si formerà, a ventidue anni dalla consultazione referendaria, che disse “no” al nucleare in Italia con oltre l’80% dei favorevoli, una nuova opinione pubblica sul tema? All’epoca la scelta venne influenzata emotivamente dal clima di paura sorto dopo l’incidente di Chernobil, a fronte di un’informazione carente e di conflitti tra grandi interessi economici di cui i cittadini non ebbero alcun sentore. Oggi si rischia, sia pur in senso opposto, di scegliere secondo gli stessi parametri: scarsa informazione, pressione emotiva (per le costanti difficoltà nell’approvvigionamento del gas russo) e affari colossali su cui sarebbe opportuno saperne di più.
E come allora, “non si fanno prigionieri”: non c’è spazio per il dubbio, come conferma il ministro per le attività produttive Scajola che in un’intervista ha definito “sciagurato” il referendum del 1987 confermando però indirettamente, con l’elogio alla sicurezza delle attuali centrali di nuova generazione, che quelle di allora non erano poi così sicure. Sappiamo che il “discorso” politico, in generale, procede per spot, manifestando solo grandi certezze che non di rado si trasformano in triste sicumera. Ci sono però questioni su cui anche le esigenze della retorica politica dovrebbero fare un passo indietro. Una di queste riguarda il modo di far fronte al problema dell’approvvigionamento energetico. Ecco dunque perché, prima ancora del merito, è importante accordarci sul metodo per orientarci in una realtà, quella dell’energia nucleare, dove chi cerca di semplificare e parlare per slogan apocalittici, in un senso o nell’altro, sta già disinformando. Sarebbe invece necessaria una seria campagna d’informazione a partire dai programmi Tv. Se la dirigenza televisiva è riuscita, come sembra, nel difficile compito di rianimare Sanremo, dovrebbe, senza difficoltà, essere in grado di gestire una efficace informazione su un tema appassionante e drammaticamente importante per tutti noi come quello dell’energia. Come cittadini vorremmo sapere di più sulle scelte di politica energetica, sulla lotta politica che le determina, sui centri di potere che stanno dietro affari miliardari. Vorremmo sapere i pro e i contro del metodo in auge, quello della fissione nucleare, ma anche come funzionano gli altri sistemi, a cominciare da quello della fusione nucleare, e sulle ragioni per cui non se ne parla più. Si tratta di riflessioni importanti perché la scelta che stiamo per compiere, oltre a incidere sulla sicurezza dell’ambiente, determinerà una linea di politica economica e un modello di sviluppo che influenzeranno per decenni la nostra società. Ciò che stiamo decidendo in nome del nucleare è adeguato alle grandi strategie e ai livelli della ricerca internazionale o è già un sistema di retroguardia? E soprattutto, a che punto siamo con la sicurezza che in ambito nucleare, ormai lo sanno tutti, non significa solo produzione senza incidenti, ma anche smaltimento delle scorie radioattive? Insomma i temi sarebbero tanti e tanti sarebbero anche i competenti in materia. Perché allora non si costruisce una vera politica dell’informazione, una serie televisiva sul nucleare, sul format “Report”-“Quark”, tanto per intenderci? Perché non far intervenire scienziati che sanno di cosa parlano? Nessuno di noi, ovviamente, crede nella “neutralità” della scienza, tuttavia dati fattuali presentati da competenti, per quanto controvertibili, rappresentano un buon punto di partenza per farsi un’opinione.
Quello che andrebbe invece evitato è il dibattito tra politici travestiti da tecnici sul modello di quanto accaduto a “Porta a porta” poche sere fa, in cui il confronto tra il ministro Scajola e l’esponente di Rifondazione Ferrero si è risolto in una sorta di sagra paesana delle opinioni “un tanto al chilo”. Eccone un passaggio emblematico. Ferrero: “…la centrale nucleare dura una ventina d’anni”; Scajola: “di più”; F.: “no, no stiamo a una ventina d’anni di attività”; S.: “Ma no”; F.: “mi spiace, tutte le statistiche lo dimostrano”; S.: “Non sarebbero economiche”; F.: “Infatti, non sono economiche”; S.: “Lo dice solo lei”; F.: “Solo l’intervento dello stato…”; S.: “Ma se tutti i paesi del mondo le stanno costruendo ci sarà un motivo e non saranno tutti fessi”; F.: “Non è vero che tutti i paesi del mondo le stanno costruendo”; S.: “ci sono 45 centrali in costruzione nel mondo in questo momento”; F.: “C’è il problema di come smaltire le centrali dopo 20-25 anni che sono anch’esse radioattive”. A questo punto, Vespa passa la parola al presidente dell’Autorità per l’energia che cambia discorso. Ecco fatto: l’informazione è servita. Dormite pure tranquilli.
Nessun commento:
Posta un commento