No al nucleare da 15 Regioni. «Incostituzionale la legge sull’atomo»: anche Firenze la impugna
16 gennaio 2010. IL TIRRENO
Non è stato preso in considerazione il parere degli enti locali e manca un piano energetico
ROMA. In un documento anti-centrale nucleare, quindici regioni italiane lamentano, rispetto alla delega del governo per la localizzazione dei siti «l’ennesimo vulnus al principio di leale collaborazione» e chiedono «intese più forti». Questo il risultato raggiunto da una riunione degli assessori regionali all’Ambiente, che si è svolta ieri a Roma.
La legge (approvata a fine luglio, la 99/2009) sul ritorno al nucleare è stata impugnata da 11 regioni per «incostituzionalità». E - riferiscono gli assessori - «da una lettera che il ministro Fitto ha inviato alla presidenza del Senato il 28 dicembre scorso» per accompagnare lo schema di decreto attuativo del provvedimento, si evince come «non venga preso in considerazione» il parere degli enti locali.
Il documento anti-centrale è stato formulato dalle stesse 11 Regioni (oltre alla Toscana, Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Umbria, Lazio, Puglia, Liguria, Marche, Piemonte, Molise) che hanno impugnato la legge sul ritorno al nucleare ma il documento ha poi ricevuto il sostegno anche da parte di Veneto, Campania, Sardegna e Sicilia, arrivando così a un totale di 15 regioni. Per gli assessori «il decreto non è assolutamente coordinato con la normativa vigente».
Eccesso di delega. Le Regioni lamentano che per l’autorizzazione, la localizzazione e la realizzazione degli impianti nucleari si ricorra a «una mera intesa di Conferenza unificata invece di intese più forti con le Regioni interessate territorialmente». Si parla anche di «un eccesso di delega» relativamente «alle procedure autorizzative oltre che al quadro pianificatorio strategico nazionale che esclude le Regioni e il loro piani energetici». Inoltre, il Consiglio dei ministri potrebbe superare «il diniego regionale all’intesa mediante una deliberazione motivata».
Piano energetico. Il Piano energetico serve, si dice, «a capire dove si vuole andare e in che modo». Secondo l’assessore del Lazio, Filiberto Baratti, è «folle procedere verso il nucleare senza un Piano».
Deposito scorie. Si parla delle «scorie che ci saranno senza pensare a quelle pregresse presenti sul territorio dall’86» che avrebbero bisogno dell’individuazione di un deposito nazionale.
Vas. In quanto alle procedure di impatto ambientale e strategico, «si nota che la procedura Vas prevista dal decreto, non tiene conto della localizzazione degli impianti, limitandosi a essere una procedura autorizzativa solo su parametri».
Agenzia nucleare. Il ruolo dell’Agenzia risulta «ambiguo, essendo di fatto l’unico ente cui tutti i diversi enti competenti rilasciano le singole autorizzazioni.
Misure compensative. Lo schema, si legge nel documento, «non individua le Regioni tra i destinatari delle misure compensative né prevede che le Regioni abbiano la competenza a effettuare l’attività programmatoria, di indirizzo e di verifica. Questo, rivelano gli assessori, crea «un corto circuito istituzionale» in cui non solo «non si rispettano più le regole ma il governo non rispetta nemmeno le sue stesse leggi».
16 gennaio 2010. IL TIRRENO
Non è stato preso in considerazione il parere degli enti locali e manca un piano energetico
ROMA. In un documento anti-centrale nucleare, quindici regioni italiane lamentano, rispetto alla delega del governo per la localizzazione dei siti «l’ennesimo vulnus al principio di leale collaborazione» e chiedono «intese più forti». Questo il risultato raggiunto da una riunione degli assessori regionali all’Ambiente, che si è svolta ieri a Roma.
La legge (approvata a fine luglio, la 99/2009) sul ritorno al nucleare è stata impugnata da 11 regioni per «incostituzionalità». E - riferiscono gli assessori - «da una lettera che il ministro Fitto ha inviato alla presidenza del Senato il 28 dicembre scorso» per accompagnare lo schema di decreto attuativo del provvedimento, si evince come «non venga preso in considerazione» il parere degli enti locali.
Il documento anti-centrale è stato formulato dalle stesse 11 Regioni (oltre alla Toscana, Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Umbria, Lazio, Puglia, Liguria, Marche, Piemonte, Molise) che hanno impugnato la legge sul ritorno al nucleare ma il documento ha poi ricevuto il sostegno anche da parte di Veneto, Campania, Sardegna e Sicilia, arrivando così a un totale di 15 regioni. Per gli assessori «il decreto non è assolutamente coordinato con la normativa vigente».
Eccesso di delega. Le Regioni lamentano che per l’autorizzazione, la localizzazione e la realizzazione degli impianti nucleari si ricorra a «una mera intesa di Conferenza unificata invece di intese più forti con le Regioni interessate territorialmente». Si parla anche di «un eccesso di delega» relativamente «alle procedure autorizzative oltre che al quadro pianificatorio strategico nazionale che esclude le Regioni e il loro piani energetici». Inoltre, il Consiglio dei ministri potrebbe superare «il diniego regionale all’intesa mediante una deliberazione motivata».
Piano energetico. Il Piano energetico serve, si dice, «a capire dove si vuole andare e in che modo». Secondo l’assessore del Lazio, Filiberto Baratti, è «folle procedere verso il nucleare senza un Piano».
Deposito scorie. Si parla delle «scorie che ci saranno senza pensare a quelle pregresse presenti sul territorio dall’86» che avrebbero bisogno dell’individuazione di un deposito nazionale.
Vas. In quanto alle procedure di impatto ambientale e strategico, «si nota che la procedura Vas prevista dal decreto, non tiene conto della localizzazione degli impianti, limitandosi a essere una procedura autorizzativa solo su parametri».
Agenzia nucleare. Il ruolo dell’Agenzia risulta «ambiguo, essendo di fatto l’unico ente cui tutti i diversi enti competenti rilasciano le singole autorizzazioni.
Misure compensative. Lo schema, si legge nel documento, «non individua le Regioni tra i destinatari delle misure compensative né prevede che le Regioni abbiano la competenza a effettuare l’attività programmatoria, di indirizzo e di verifica. Questo, rivelano gli assessori, crea «un corto circuito istituzionale» in cui non solo «non si rispettano più le regole ma il governo non rispetta nemmeno le sue stesse leggi».
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