"Abbiamo le scorie ci bastano quelle"
La Stampa del 14 maggio 2009, pag. 8
Marco Neirotti
Guardinghi. Non mostrano muscoli, non mescolano politica, però la storia del nucleare che torna o non torna, in questa terra piemontese di risaie e imprese, contadini e fiumi, lascia un allarme, una difesa: «Abbiamo già dato», è la battuta più veloce, «sistemiamo ieri e poi pensiamo a domani» è la risposta riflessiva. La sintesi viene da Giovanni Ravasenga, già sindaco a Trino Vercellese, ora ricandidato in una delle due liste di un centrodestra alle urne in disaccordo. Non «contrario per natura» al nucleare e anzi «favorevole a qualunque risorsa in un mix di fonti energetiche», contesta qualunque «rigidità di schemi» e dice: «Dopo cinquant’anni stiamo dismettendo impianti e non sappiamo ancora dove portare le scorie. L’errore è fare prima le centrali e poi affrontare quel che ne deriva. Si guardi bene tutto prima e allora si può discutere. La Enrico Fermi non è un capannone industriale che ha fatto il suo tempo, è altro e altro lascia sul territorio».
D’accordo, però è vero che a Roma pensano: loro sono già abituati a convivere con il futuro. Ravasenga: «Certo. Però si è anche abituati a leggere e capire: indicazioni geofisiche, geotecniche, idrogeologiche, superficialità delle falde e delle acque sorgive. Quest’area non è idonea non perché lo dico io, ma perché lo dicono le regole scientifiche. Individuare qui un sito sarebbe una grande follia».
La follia non è là dove la vede chi da queste parti - città, paesoni, campagne - non vive, non è paura di un botto, un’esplosione accanto a casa, come nei «Missili in giardino» di Max Shulman (1954), divenuto film con Joan Collins e Paul Newman. È secondo Gianni Esposito, segretario generale della Cgil, nei danni che possono scorrere silenziosi tra i giardini appunto, le case, la quotidianità. Siamo di nuovo alle scorie: «Questa è, per i tumori, una zona rossa, ad alta densità di malattia. Ci sono anche diserbanti, un inceneritore, la discarica, va detto. Ma abbiamo già dato». Non nomina Eternit, l’amianto, ma scorre tra la gente, nei caffé o tra i banchi di una libreria, il suono ritmato delle udienze torinesi per il processo sulle morti passate, presenti e future di Casale. Ancora Esposito: «La mia paura? Che si arrivi a un baratto: non volete la centrale? Siete già attrezzati, vi terrete il sito delle scorie. Non è fattibile, non è giusto». Si parla di incentivi: «Certo. Dove sono stati i vantaggi della gente? Dovevano installare la produzione di pannelli fotovoltaici, quella sì che portava lavoro. L’hanno destinata a Catania».
Il Vercellese non sta facendo le prove di resistenza come fu l’inizio di No-Tav («Sarà dura», slogan coniato in dialetto dal Bové della Val Susa) quando cominciarono le cariche della forza pubblica. Ma fa educatamente sapere di essere pronto e compatto. Giampiero Godio, Legambiente: «Il nucleare in Piemonte c’è già. E non si può aprire alcuna nuova stagione senza chiudere con decenza quella passata. Non è pensabile imporre dall’alto qualcosa con leggi vessatorie. Confidiamo nella Regione, in un piano energetico firmato da una giunta di centrodestra presieduta da Enzo Ghigo che dice “si sceglie di non fare uso di fonte nucleare a scopo energetico”. L’imposizione senza consultare, decisa a livello centrale è un’esibizione di forza che fa i conti con la gente».
Godio elenca i rifiuti radioattivi italiani: «L’85% sta in Piemonte, quasi tutti a Saluggia, sulla sponda della Dora Baltea. Il Nobel Carlo Rubbia, quand’era presidente dell’Enea, disse che era un caso di pericolosità unico al mondo». Lo stesso Godio, durante un collegamento con «Striscia la notizia», definì il sito come luogo ideale per Bin Laden. Cita Trino, Saluggia, Bosco Marengo. Cita le concentrazioni di materiale pericoloso per ogni kilowattore prodotto: «Non Cernobyl che esplode: che dissemina».
E Cernobyl a casa sua non la vede nemmeno il sindaco leghista di Novara, Massimo Giordano. Alle voci poi più o meno smentite di un sito nel suo territorio, risponde con ironica flemma: «Sapere una decisione così importante, se vera, da voi non sarebbe bello». E se vera è? «Non si passa sulla popolazione, sappiamo che sa erigere muri. Si chiede una disponibilità? si danno garanzie? si mettono sul piatto incentivi seri? Diventa interessante andare a vedere. A vedere».
La Stampa del 14 maggio 2009, pag. 8
Marco Neirotti
Guardinghi. Non mostrano muscoli, non mescolano politica, però la storia del nucleare che torna o non torna, in questa terra piemontese di risaie e imprese, contadini e fiumi, lascia un allarme, una difesa: «Abbiamo già dato», è la battuta più veloce, «sistemiamo ieri e poi pensiamo a domani» è la risposta riflessiva. La sintesi viene da Giovanni Ravasenga, già sindaco a Trino Vercellese, ora ricandidato in una delle due liste di un centrodestra alle urne in disaccordo. Non «contrario per natura» al nucleare e anzi «favorevole a qualunque risorsa in un mix di fonti energetiche», contesta qualunque «rigidità di schemi» e dice: «Dopo cinquant’anni stiamo dismettendo impianti e non sappiamo ancora dove portare le scorie. L’errore è fare prima le centrali e poi affrontare quel che ne deriva. Si guardi bene tutto prima e allora si può discutere. La Enrico Fermi non è un capannone industriale che ha fatto il suo tempo, è altro e altro lascia sul territorio».
D’accordo, però è vero che a Roma pensano: loro sono già abituati a convivere con il futuro. Ravasenga: «Certo. Però si è anche abituati a leggere e capire: indicazioni geofisiche, geotecniche, idrogeologiche, superficialità delle falde e delle acque sorgive. Quest’area non è idonea non perché lo dico io, ma perché lo dicono le regole scientifiche. Individuare qui un sito sarebbe una grande follia».
La follia non è là dove la vede chi da queste parti - città, paesoni, campagne - non vive, non è paura di un botto, un’esplosione accanto a casa, come nei «Missili in giardino» di Max Shulman (1954), divenuto film con Joan Collins e Paul Newman. È secondo Gianni Esposito, segretario generale della Cgil, nei danni che possono scorrere silenziosi tra i giardini appunto, le case, la quotidianità. Siamo di nuovo alle scorie: «Questa è, per i tumori, una zona rossa, ad alta densità di malattia. Ci sono anche diserbanti, un inceneritore, la discarica, va detto. Ma abbiamo già dato». Non nomina Eternit, l’amianto, ma scorre tra la gente, nei caffé o tra i banchi di una libreria, il suono ritmato delle udienze torinesi per il processo sulle morti passate, presenti e future di Casale. Ancora Esposito: «La mia paura? Che si arrivi a un baratto: non volete la centrale? Siete già attrezzati, vi terrete il sito delle scorie. Non è fattibile, non è giusto». Si parla di incentivi: «Certo. Dove sono stati i vantaggi della gente? Dovevano installare la produzione di pannelli fotovoltaici, quella sì che portava lavoro. L’hanno destinata a Catania».
Il Vercellese non sta facendo le prove di resistenza come fu l’inizio di No-Tav («Sarà dura», slogan coniato in dialetto dal Bové della Val Susa) quando cominciarono le cariche della forza pubblica. Ma fa educatamente sapere di essere pronto e compatto. Giampiero Godio, Legambiente: «Il nucleare in Piemonte c’è già. E non si può aprire alcuna nuova stagione senza chiudere con decenza quella passata. Non è pensabile imporre dall’alto qualcosa con leggi vessatorie. Confidiamo nella Regione, in un piano energetico firmato da una giunta di centrodestra presieduta da Enzo Ghigo che dice “si sceglie di non fare uso di fonte nucleare a scopo energetico”. L’imposizione senza consultare, decisa a livello centrale è un’esibizione di forza che fa i conti con la gente».
Godio elenca i rifiuti radioattivi italiani: «L’85% sta in Piemonte, quasi tutti a Saluggia, sulla sponda della Dora Baltea. Il Nobel Carlo Rubbia, quand’era presidente dell’Enea, disse che era un caso di pericolosità unico al mondo». Lo stesso Godio, durante un collegamento con «Striscia la notizia», definì il sito come luogo ideale per Bin Laden. Cita Trino, Saluggia, Bosco Marengo. Cita le concentrazioni di materiale pericoloso per ogni kilowattore prodotto: «Non Cernobyl che esplode: che dissemina».
E Cernobyl a casa sua non la vede nemmeno il sindaco leghista di Novara, Massimo Giordano. Alle voci poi più o meno smentite di un sito nel suo territorio, risponde con ironica flemma: «Sapere una decisione così importante, se vera, da voi non sarebbe bello». E se vera è? «Non si passa sulla popolazione, sappiamo che sa erigere muri. Si chiede una disponibilità? si danno garanzie? si mettono sul piatto incentivi seri? Diventa interessante andare a vedere. A vedere».
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