Il nucleare. Storia politica dell'energia nucleare
Edito da Liguori, 1986
492 pagine, € 27,50
ISBN 9788820715045
di Bertrand Goldschmidt
Recensione di Caracciolo, N., L'Indice 1986, n. 6
"Il Nucleare" di Bertrand Goldschmidt pubblicato da Liguori, con prefazione di Felice Ippolito, è certamente un libro sfortunato, più di quanto, forse, meriti. Bertrand Goldschmidt, ci informa Felice Ippolito, "è uno dei quattro o cinque personaggi chiave" del programma nucleare francese (di gran lunga il più importante del mondo rispetto a reddito nazionale e popolazione). Contiene, infatti, su quello che è stato lo sviluppo del nucleare prima militare e poi pacifico in occidente, una quantità d'informazioni che ne fanno un testo prezioso. Ma ahimé esce al momento sbagliato, basato com'è su due presupposti totalmente falsi e sui quali è stato costruito il gigantesco piano nucleare francese, come del resto tutti gli altri piani nucleari di questo mondo: che il costo del petrolio fosse destinato a salire sempre e che il nucleare fosse una fonte d'energia assolutamente sicura - la più sicura di tutte quelle esistenti.
Si noti una cosa: nelle polemiche di questi giorni si parla molto di arretratezza nucleare sovietica, arretratezza che spiegherebbe un incidente considerato impossibile in Europa o negli Stati Uniti. Di queste preoccupazioni nel libro non c'è traccia. Il programma sovietico, come tutti i programmi nucleari di cui l'autore si occupa viene considerato pienamente affidabile. E del resto finora della fisica sovietica tutti avevano sempre detto un gran bene.
In realtà il libro, a chi è contrario al nucleare, risulta fastidioso per quella sorta di dogmatismo inflessibile, che ha reso per tanti anni impossibile ogni discorso coi "nucleari". Della convenienza del nucleare - sostiene Goldschmidt - è inutile discutere in sede politica o scientifica. Chi vi si oppone lo fa per motivi "psicologici ed emotivi". Si tratta di gente che va rassicurata dato che le sue paure non hanno un fondamento razionale. Ippolito, a suo tempo, scrisse assai di peggio: gli antinucleari erano finanziati dai petrolieri, sostenne con bella larghezza di vedute.
È una mentalità aggressiva che tutto il mondo industrializzato rischia di pagare cara. Il nucleare è una tecnologia che probabilmente verrà abbandonata. Tornare indietro per paesi come la Francia, I'Unione Sovietica e il Giappone che hanno costruito un subisso di centrali, comporta gravi danni. La Gran Bretagna ne ha fatte di meno. Gli Stati Uniti prima hanno anch'essi spinto l'acceleratore, ma poi, dopo l'incidente di Three Miles Island nel 1979, hanno bloccato tutto. In Italia - merito, penso io con qualche soddisfazione, di un movimento antinucleare particolarmente agguerrito - s'è fatto pochissimo: ci sono in funzione tre reattori (a Latina, Caorso e Trino Vercellese) e due sono in costruzione a Montalto di Castro. Per noi rinunciare non è difficile.
Tra "nano-curie", "millirem", iodio, cesio, stronzio radioattivi, l'opinione pubblica è stata bombardata da una tale quantità d'informazioni da causare, per forza di cose, confusione. E si tende quindi a trascurare il ragionamento essenziale, che è semplice. "Nel 1980", scrive Goldschmidt, "erano in funzione 250 reattori nucleari di potenza in oltre venti paesi". Questo complesso aveva accumulato, sommando gli anni di funzionamento di tutti i reattori che fino ad allora erano stati costruiti, circa duemila "anni-reattore". Oggi i reattori in funzione sono 370 e la somma degli "anni-reattore" è di circa quattromila. Si faccia attenzione perché questo è il nocciolo del ragionamento. L'incidente più grave, la fusione del nocciolo - quello che è avvenuto sia pure con conseguenze diverse a Three Miles Island e a Cernobyl - si è realizzato finora due volte. Il che fa una media di un incidente ogni duemila anni reattore. Si può opporre che i due incidenti sin qui avvenuti sono il prodotto di una incredibile serie di sfortune e di sciatterie (i russi, si dice, sono molto trasandati) ma che non fanno testo. È una spiegazione che non convince. Si sono verificati nel mondo almeno tre o quattro incidenti in cui si è sfiorata la catastrofe. Dico "almeno" perché dei guasti in Urss non sappiamo nulla e, per la verità, non sappiamo molto nemmeno delle centrali francesi. Cioè le quattro "quasi catastrofi" che ci sono state, provano che le due "vere catastrofi" non sono eventi fortuiti. Il che significa - se non si aggiungeranno altri reattori a quelli esistenti - che si può contare nel mondo su un incidente come Cernobyl ogni sette o otto anni. Se le prospettive che Goldschmidt indica come possibili e auspicabili per l'industria venissero realizzate nel duemila, passando dal 2% della produzione d'energia (tutte le energie) nel 1980 al 15%, tenuto anche conto dell'aumento dei consumi energetici, significherebbe (d'accordo, sono stime approssimative ma pur sempre valide) grosso modo duemila reattori in funzione. Il che comporterebbe la probabilità di una Cernobyl all'anno. Intendiamoci: quelle che i tecnici chiamano "fluttuazioni statistiche" sono sempre possibili e la frequenza delle catastrofi potrebbe essere anche parecchio diversa (in più o in meno) da quanto appare ora. Il che non esime tuttavia i tecnici dell'Enel e dell'Enea dal darci spiegazioni. All'epoca delle prime dimostrazioni di Montalto nel 1977 essi stimavano la possibilità di fusione sulla base del celebre rapporto Rasmussen, a una per miliardo d'anni reattore.
Facciamo un esempio, per capirci. Supponete che Gianni Agnelli mi confessi d'essere un po' preoccupato per la quota libica nella Fiat, vorrebbe trovare un compratore. Mi faccio avanti. Quanto vuole Gheddafi? Cinquemila miliardi, mi dice. Lo rassicuro : ci sono qua io, sarei lieto di comprare la quota dei libici. Ho giusto la disponibilità di quella somma in banca. L'Avvocato è finalmente sereno e soddisfatto, ma dura poco: la mattina dopo ci vediamo con tanti libici avidi di denaro e gli spiego di essermi sbagliato. In banca non ho cinquemila miliardi ma dieci milioni, con i quali propongo comunque di acquistare una grande Panda con tutti gli accessori. Resta il mistero di come sia stato possibile per i tecnici nucleari fare uno sbaglio di questa immensità.
Due parole su un'altra questione angosciosa. Cosa significa l'incidente di Cernobyl per la salute della gente? Secondo le stime correnti si parla di cinquecento o mille casi in più di cancro e leucemia diluiti nei prossimi vent'anni, per l'Italia. Per l'Europa si potrebbe pensare a una cifra oscillante tra i cinquemila e i diecimila casi in vent'anni. Siamo, intendiamoci, sempre in un campo di grande approssimazione. Comunque, se la corrente oggi prevalente tra gli esperti di radio protezione ha ragione, queste sono previsioni ragionevoli. C'è tuttavia un'altra scuola, di cui l'esponente più celebre è il professor Morgan, già presidente dell'Istituto Internazionale per la Radio Protezione, che ritiene queste cifre sottostimate di settanta o ottanta volte. Ci sarebbero così più di trecentomila vittime. Cernobyl assumerebbe cioè le proporzioni d'un'immensa, inutile strage. Che debbo dire? Spero di tutto cuore che Morgan e i suoi discepoli abbiano torto, ma, penso, sarebbe imprudente dare la cosa per scontata. Concludendo, "Il Nucleare" di Bertrand Goldschmidt è un libro incredibilmente vecchio e sorpassato. È stato scritto in un'altra epoca storica, prima del disastro di Cernobyl.
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